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«Non parlare al manovratore», di Lietta Tornabuoni

La manovra economica e il suo manovratore, il governo, hanno offerto e offrono uno spettacolo molto interessante.

Si poteva pensare che per una nazione rimediare 24 miliardi non fosse poi una «mission impossible»: se no cosa dovrebbe fare la Francia, che di miliardi deve tirarne fuori cento? Ma non è così: intorno a quei 24 miliardi è montato un disordine imprevedibile.

Il governo manovratore è riuscito a scontentare tutti, a provocare forti reazioni promettendo tagli alle categorie più diverse e inopportune: poliziotti, disabili, professori, che già guadagnano meno di un gatto.

Le reazioni sono risultate tanto vive che quei tagli sono stati subito ritirati e si è andati a tagliare altrove. Il primo manovratore, il presidente del Consiglio, non ha voluto ricevere i rappresentanti degli enti locali, che se ne sono assai impermaliti.

E perché, poi? Timore, fastidio, paura di lasciarsi convincere? Ma non sarebbe il suo lavoro? Altre idee luminose: far pagare i ticket autostradali anche a chi fa il raccordo anulare romano per andare a casa a mangiare, tagliare le pensioni di invalidità con relativo accompagnamento, tassare auto e moto.

Insomma, una variante del caos davvero ingiustificata: anche cercando di rifletterci su, non si riesce a capire il perché di comportamenti tanto ricchi di gaffes, tanto improvvidi e confusi.

È certo vero che ogni categoria colpita dai tagli avrebbe ed ha reagito male: ma questo è normale, non si può opporvisi con un andirivieni di «taglio te, no taglio lui», né finir per trasferire i tagli sulle famiglie meno portate alle proteste.

Il fatto è che spesso i manovratori non sono agguerriti professionisti della politica, sono invece usi a scaricare su altri ogni responsabilità: sistema reso piuttosto facile dal «ghe pensi mi» presidenziale, dalla visione blindata del ministro dell’Economia, dalla scarsità di contatti con i cittadini. E dalla poca autorità riconosciuta a ministri che del resto se ne infischiano: a luglio basta che c’è ‘sto sole, basta che c’è ‘sto mare.

da www.lastampa.it