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"Una manovra reazionaria", di Emilia De Biasi

Intervento dell’On. Emilia De Biasi sulla manovra economica in discussione alla Camera
Signor Presidente, all’economista Rawls viene attribuita la frase che abbiamo sentito molto spesso in questo periodo. La citerò in italiano, e la traduzione è più o meno così: una crisi è un avvenimento terribile, che sarebbe un peccato sprecare. O meglio, se vogliamo spiegarla, è un’occasione da non sprecare. Siamo partiti da questo per fare la nostra analisi della manovra. È una frase che è stata usata dalla maggioranza e dall’opposizione allo stesso modo e con finalità ed esiti che ritengo molto diversi. Sono convinta che questa crisi avrebbe potuto significare una manovra di bilancio seriamente in grado di ammodernare finalmente questo Paese, che richiede e abbisogna di un grande ammodernamento nella strategia degli interventi e nelle prospettive di crescita. Ci troviamo di fronte, viceversa, ad una manovra che è fondamentalmente di contenimento della spesa pubblica, fatto di per sé assolutamente meritorio, ma al quale non corrisponde
nel modo più assoluto una prospettiva di crescita del Paese. Questo è il primo grande limite da cui derivano poi le scelte che afferiscono ai diversi comparti di intervento.
In questo quadro stanno i tagli lineari e la depressione di settori che nel mondo rappresentano settori importanti di crescita, per fare in modo appunto che la crisi diventi un’occasione da non sprecare, per proporre quel cambiamento e quella velocizzazione della crescita di cui questo Paese ha bisogno. Per velocizzare la crescita bisogna puntare sugli elementi della modernità e, segnatamente, sulla società della conoscenza, cosa che viceversa questa manovra deprime in modo assoluto e totale, con l’umiliazione dell’università, con i tagli agli enti di ricerca, con l’incertezza
molto grande sul numero degli enti su cui si spalma il taglio per gli istituti culturali. Non è cosa di poco conto. Non riusciamo a capire – aspettiamo risposte convincenti dal Governo – se il taglio avvenga solo ed esclusivamente sugli istituti di cultura – pure ridotto e questo va ammesso – o se viceversa si spalmi su un ventaglio più ampio di enti, il che significherebbe, per esempio, tagliare una parte del finanziamento al CNR. Mi pare che in generale la ricerca e l’università in questo Paese non abbisognino esattamente di essere
ulteriormente tagliate.
In questo quadro, stanno la depressione e il calo, che trovo davvero vergognoso, dell’investimento nella spesa nel campo della cultura, come lo stesso Ministro Bondi ha ammesso. Con questi tagli il nostro Paese scende al di sotto dello 0,3 per cento del prodotto interno lordo per la spesa in cultura; significa che si scende sotto quei quasi 1.700 milioni, che rappresentano, appunto, lo 0,3 per cento del PIL, a fronte di Paesi europei che investono quanto meno l’1 per cento, ripeto, che investono, perché ricordo che Sarkozy ha speso e ha investito nell’agenzia del cinema il doppio di quanto viene previsto in Italia solo ed esclusivamente per il Fondo unico per lo spettacolo, cioè per l’intero mondo dello spettacolo dal vivo e della cinematografia.
Siamo, io credo, abbastanza alla vergogna, non solo perché l’Italia possiede il 52 per cento del patrimonio artistico mondiale, secondo i dati dell’UNESCO, e altri Paesi, con molto meno, fanno molto di più, ma anche perché la cultura è un volano non soltanto di crescita civile e umana, che sarebbe già di per sé meritorio e giustificherebbe un forte intervento pubblico, come succede in tutte le parti del mondo, in quanto non esiste Paese in cui la cultura possa vivere senza l’intervento pubblico. Inoltre, vogliamo porci dal punto di vista del Ministro Tremonti ? Guardiamo dal punto di vista dei bilanci: sappiamo che, per ogni euro speso nella cultura, ne ritornano sette. La possibilità di sinergie tra la cultura ed il turismo è amplissima e la possibilità di reperire finanziamenti da un rapporto virtuoso con i privati, integrativo e non sostitutivo (poi ne parlerò), è amplissima. Non si capisce davvero la ratio dello svuotamento del Ministero dei beni culturali con poche direzioni, con un aumento del personale, che deriva, a sua volta, dall’abolizione di alcuni enti, come l’ETI, o dalla ristatalizzazione, se vogliamo chiamarla così, dell’Ales, che è stata fatta l’anno scorso. È un Ministero che si troverà con moltissimo personale, non si capisce in quale settore di qualificazione, a meno che non riteniamo che un lavoratore che ha lavorato fino ad oggi nel campo del teatro sia come un pacco postale e possa andare a fare il custode di un museo, ammesso e non concesso che i custodi dei musei continuino ad esserci, perché mi pare che,
anche su questo, si addensino nubi molto grandi, come peraltro oggi espresso non dall’onorevole De Biasi, ma dal presidente del FAI, Ilaria Buitoni Borletti, che dichiara che in Italia la cultura resta una « cenerentola »: in cinque anni, fondi tagliati del 25 per cento.
Mi pare che l’allarme sia davvero molto ma molto grande. Inoltre, si dice che dobbiamo eliminare gli sprechi. Sono completamente d’accordo e mi pare di averlo anche dimostrato nelle occasioni che si sono presentate, come, per esempio, la discussione sul decreto sulle fondazioni lirico-sinfoniche. Se, però, gli sprechi vanno eliminati, mi si deve spiegare per quale motivo si procede con i tagli lineari, che sono esattamente l’opposto di qualunque reperimento serio degli sprechi, perché tagliano ovunque, tagliano la testa. Mi permetto sommessamente di rilevare che, ad esempio, noi chiediamo da mesi, mesi e mesi la relazione annuale su Arcus, che è dovuta per legge. Con riguardo a questa Arcus, che sappiamo prendere una quota rilevante dalle opere pubbliche, consistente per quel che
riguarda il piccolo budget della cultura, vorremmo capire se essa è un investimento, serve alla spesa corrente, può finanziare lo spettacolo, è l’argent de poche.
Bisogna capire tutto questo e non ne sappiamo nulla. Ci si chiede perché, in una manovra del genere, non vi sia chiarezza su questo punto. Sono la prima a dire di eliminare questi sprechi e di andare a vedere, settore per settore, cosa sta succedendo. Si taglia del 50 per cento, ancora una volta, il paesaggio e l’arte contemporanea, il che significa la deregolamentazione.
Questo non è uno spreco ? È uno spreco enorme ! Dopodiché il Ministro Bondi, nella sua relazione sulla manovra e sui risultati ottenuti dal Ministero dei beni culturali, dichiara che bisogna liberare la cultura dall’abbraccio soffocante dello Stato.
Ma dall’abbraccio soffocante dello Stato, ammesso e non concesso che esso esista, vista l’esiguità delle risorse, ci si libera in due modi: uno, allargando il sistema dei finanziamenti ai soggetti della Repubblica, ma non credo proprio che le regioni e i comuni, nelle condizioni in cui vengono messi da questa manovra, possano permettersi ulteriori ambiti di finanziamento.
Tanto più, voglio ricordare anche che la legge sul federalismo fiscale non contempla la cultura tra le funzioni fondamentali; la Carta delle autonomie la contempla, ma ne rimanda l’attuazione fra sette anni, se non ho capito male dal dibattito piuttosto confuso sul provvedimento che si è tenuto in quest’Aula.
Non si può dunque allargare ai soggetti della Repubblica, perché la coperta è corta, ma bisogna liberarsi dall’abbraccio soffocante dello Stato: restano i privati.
Bene, ma con i privati cosa succede ? Succede che quando si possono immettere, come nel caso delle fondazioni liricosinfoniche, si vieta la loro presenza, poiché non ci sono incentivi fiscali coerenti che consentano l’intervento integrativo dei privati.
In compenso però il dottor Mario Resca, direttore generale del patrimonio, ha rilasciato dichiarazioni in lungo e in largo e io ho ottenuto in occasione di un atto di sindacato ispettivo una risposta, fatto che trovo ulteriormente grave, signor
Presidente. Infatti, dopo che mi è stato detto che il progetto Grande Brera aveva
più di 50 milioni di finanziamento e che lo stesso dottor Mario Resca avrebbe disposto di una quota di questi finanziamenti sulla base degli accordi che erano intercorsi, la settimana scorsa apprendo da un grande giornale, a tiratura nazionale, semi-indipendente, senza che vi sia mai stata una smentita, che, viceversa, il progetto Grande Brera richiede 100 milioni di intervento dei privati. Non vi sarebbe nulla di male, se non fosse però che mi si raccontano evidentemente delle bugie.
Se vogliamo poi andare ancora avanti, lo stesso Mario Resca dichiara, non più tardi di ieri, che c’è una soluzione molto importante, che è quella prospettata da Emma Marcegaglia: la privatizzazione dei musei. Ma la privatizzazione è cosa molto diversa dal rapporto pubblico-privato ed è cosa assai diversa da un rapporto integrativo e virtuoso delle risorse private attraverso una coerente defiscalizzazione. Finché questo Governo continuerà a considerare la defiscalizzazione come una mancata entrata, ovviamente, non si arriverà mai ad approvarne una, perché i contributi privati non possono arrivare, in quanto non sono defiscalizzati e perché non c’è una convenienza; in compenso lo Stato taglia i suoi finanziamenti e non si capisce bene quali possano essere le risorse, su cui questi soggetti della cultura possono contare e, peraltro, per fare cosa ?
Allo stato attuale, per sopravvivere ! Sbaglieremmo se considerassimo questi quali
settori improduttivi; essi sono produttivi e solo nello spettacolo vi sono più di 250 mila lavoratori: non si producono eventi effimeri, ma cultura stabile, cultura diffusa, cultura del territorio, cultura, per così dire, intergenerazionale.
È molto rilevante ed è oltretutto grave che proprio in questo contesto, ancora una volta, non siano presenti, neanche in questa manovra, i finanziamenti relativi alla riforma quadro dello spettacolo dal vivo, su cui il Ministro Bondi si è impegnato pubblicamente, in Commissione e in quest’Aula. Non si è impegnato quindi in un privato colloquio, ma, evidentemente, ciò che si dice pubblicamente poi non si fa.
Vengo allora al punto del Fondo unico per lo spettacolo. È stato dichiarato estraneo per materia il nostro emendamento, che prevedeva il ripristino di 100 milioni sul Fondo unico per lo spettacolo. Anche in tale contesto infatti i dati devono essere chiari: dall’inizio di questa legislatura il Fondo unico per lo spettacolo è passato da 550 a poco più di 300 milioni, che sono previsti per il 2011. Chi sa fare i conti, può valutare l’entità del taglio. Il Fondo unico
per lo spettacolo, ovvero questi 300 milioni, servono a finanziare il cinema, la prosa, la musica, le fondazioni liricosinfoniche – che, alla faccia dei grandi cambiamenti, grazie alla grande riforma continuano a drenare il 50 per cento del Fondo unico per lo spettacolo – la danza, lo spettacolo viaggiante, i circhi, ed altri eventi.
Si tratta di 300 milioni che non garantiscono neanche il minimo di sopravvivenza, peraltro avevamo anche chiesto che si procedesse almeno a tamponare la falla per quest’anno, che ammonta intorno ai 30 milioni, perché capite che in assenza di una riforma del credito coerente – altra cosa non presente in questa manovra ed ugualmente molto grave – questi soggetti sono posti rispetto al sistema bancario in una situazione di debolezza indubbia, con
il costante finanziamento a debito dei propri centri di produzione ed istituzioni culturali.
Vengono tagliate le istituzioni culturali ma anche la ricerca in questo Paese, la sua memoria storica, l’osservazione e il monitoraggio costante degli stili di vita, dei costumi, dei movimenti, della storia di questo Paese. Questo non vi interessa perché – posso capire – non fa denaro e non fa cassetta, perché – posso capirlo altrettanto – non fa argent de poche, ma ciò è gravissimo. Mi riferisco a grandi istituzioni come la Triennale di Milano eil Museo della scienza e della tecnica (e potremmo proseguire perché l’Italia per fortuna è piena di queste eccellenze) che in altri Paesi sarebbero trattate con un minimo di rispetto in più perché rappresentano uno dei biglietti da visita dell’Italia all’estero (e noi ne abbiamo moltissimi).
Ma del resto i tagli alla diplomazia dimostrano il disinteresse totale nel sentirsi collocati nella globalizzazione anche dal punto di vista culturale. Tornando al Fondo unico per lo spettacolo, le orchestre sono giunte ad un punto limite: dal Lazio in giù le orchestre sono tutte chiuse. Non ci interessa ? Andranno avanti per conto loro ? Ma con quali soldi ? Quelli di qualche mecenate di turno ? Ma non esiste al mondo: il disegno vero è la privatizzazione della cultura. Ma se è così, allora si deve sapere che – a fronte degli unici soggetti che saranno in grado di reggere non una gestione, ma anche il personale, a meno che questo Stato voglia prendere su di sé il personale e lasciare la gestione ai privati, il che vuol dire che con la prossima manovra si dirà, come è stato detto per la scuola, che il personale è in eccedenza e che occorre tagliarlo, procedendo quindi ai licenziamenti – la privatizzazione della cultura significa fondamentalmente questo: chi potrà ce la farà, chi non potrà chiuderà !
Allora faremo le cartolarizzazioni e venderemo all’incanto alcuni musei o il Colosseo: pensavo che fossero cose soltanto da film di Totò e Peppino, ma evidentemente stiamo arrivando a questo perché il disinteresse o il silenzio su tale punto è assordante e non è ulteriormentetollerabile in un Paese civile.
Capisco che tutto il discorso culturale non viene considerato parte dell’economia di questo Paese, ma ciò rivela il provincialismo, perché l’economia della cultura è uno dei filoni di studio più interessanti di cui si avvalgono i grandi Paesi industrializzati e civili (basta leggere Amartya Sen per rendersene conto, ma possiamo anche restare un pochino più in basso).
Nel frattempo – mentre assistiamo a questi tagli lineari e al fatto che non devono esservi controlli, al fatto che ilpaesaggio si taglia e si dice che le direzioni regionali e provinciali dei beni culturali vadano pure avanti come possono – si trovano dei fossili a Verona che diventano blu e ciò viene considerato dagli studiosi del mondo come una delle catastrofi culturali, a meno che non vogliamo dire – come facevano, mi pare, Cochi e Renato –
che la Sicilia è tutta sassi, che i fossili sono quattro sassi e che, dunque, cosa ci interessa a noi ? I fossili che sono diventati blu per mancanza di manutenzione è un fatto gravissimo! Andando avanti possiamo anche parlare di Pompei che ora è chiuso dopo che l’avete trasferito alla Protezione civile in modo del tutto arbitrario come peraltro ben recita la relazione preoccupatissima dalla Corte dei conti sul bilancio della cultura e del Ministero dei beni e delle attività culturali, che lancia allarmi davvero pesanti.
Voi avete trasferito Pompei alla Protezione civile ma oggi Pompei è chiusa ai visitatori (credo fosse il TG1, peraltro vostro caro amico, a realizzare questo servizio perché si vede che proprio non se ne può più). Forse manca il personale, forse non c’è la manutenzione ma resta il fatto che siamo d’estate e che i visitatori ci sono.
Il turismo non è soltanto – lo vorrei dire al Ministro Brambilla – consentire ai cani di stare sulle spiagge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico): il Ministero per il turismo potrebbe anche interessarsi un po’ di più di come entrare in sinergia con il sistema culturale. Silenzio anche su questo !
E poi, ancora, siamo nel Paese – vorrei anche aggiungere – dove nella città mia e del Presidente Lupi, che mi dispiace si senta tutto il dibattito, anche sulla cultura oltre che sull’università…
Nella nostra città, signor Presidente, Milano, succede anche questo…
Purtroppo non sempre ben amministrata, visto che succedono cose del tipo che quando vi è un invito a teatro…
Nella nostra città succede che si decide un calendario di spettacoli, sottoposti ad una convenzione che si chiama « Invito a teatro », e si chiede ai produttori di teatro di togliere dall’elenco degli spettacoli quelli che possono turbare la coscienza giovanile; e si chiede perfino di cambiare il titolo a Orgia di Pasolini, perché i giovani potrebbero turbarsi, capite ? E nulla viene fatto sul piano della violenza sessuale, del femminicidio che viene perpetrato ogni giorno sulle donne in questo Paese; e però si viene a dire che si devono eliminare alcuni spettacoli. Siamo alla censura ! Siamo alla censura, poi smentita, ma di fatto affermata, visto che vi è stato bisogno di operare una smentita. Potremmo andare ancora avanti a lungo, ma mi preme parlare di un altro aspetto, che è davvero molto, ma molto grave, ed è quello che riguarda l’editoria.
In questo quadro di disastro, di depressione di quella che dovrebbe essere una delle forze del nostro Paese, cioè la cultura, si inserisce anche il taglio alla libertà di informazione. Sull’editoria erano stati presi degli impegni molto precisi, che sono stati completamente disattesi. Il primo impegno era quello relativo al rifinanziamento delle televisioni e delle radio locali, della stampa all’estero, che è l’unico elemento di collegamento per le comunità
italiane all’estero (non diamo loro il diritto di voto, se poi li consideriamo fratelli separati), e dei giornali dei consumatori. Di questo impegno non vi è traccia. Non vi è traccia del diritto soggettivo. Sono stati tagliati i contributi postali, il che significa un’enorme penalizzazione
anche per i grandi giornali. Vi è un regolamento, che noi abbiamo chiesto, e con l’ANSA abbiamo ottenuto, dopo anni di lotte, vista la latitanza del sottosegretario Bonaiuti: tale regolamento non è ancora applicato. In questo caso abbiamo chiesto una maggiore rigidità, perché è giusto separare il grano dal loglio, e vedere quali sono i giornali che davvero vengono distribuiti e venduti e quelli che invece sono elementi di parassitismo istituzionale
ed economico. Tale regolamento, lo ripeto, non è applicato.mLa riforma per l’editoria è stata proclamata più volte, e non se ne è fatto assolutamente nulla; e allora, dell’articolo 21 della Costituzione ve ne fate sinceramente, devo dire, due baffi a manubrio. E ciò è ancora più grave, perché quando non vi è la possibilità di informare e di essere informati si arriva ad un punto limite anche per la democrazia; una democrazia che, modestamente, in questo Paese dovrebbe e potrebbe vivere di parole, di idee, di coerenza di comportamenti e di moralità: perché di fronte ad un Governo in cui ogni giorno si scopre un nuovo inquisito,
sinceramente i tagli alla cultura, al bene comune e a quel patrimonio di idee e di valori che hanno fatto grande il nostro Paese, sono davvero uno scempio non ulteriormente tollerabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).