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Fassino: "Purché vada via", intervista di Denise Pardo

Primo, liberarsi di Berlusconi. Con l’appoggio di chi ci sta, Fini compreso. E il voto? “Prima cambiamo le regole”. Sull’apertura a Gianfranco Fini: “A fasi di emergenza, alleanze di emergenza”. Sulle accuse di non cogliere al volo la possibilità delle urne: “Nessuna paura di votare, ma prima sarebbe più ragionevole un governo di transizione che cambi la legge elettorale”. Attenzione all’impazienza, invece: “Siccome il nostro popolo non ne può più di vedere Berlusconi a Palazzo Chigi, chiunque appaia come in grado di mandarlo a casa, penso alla candidatura di Nichi Vendola, viene abbracciato come la Madonna Pellegrina”. Così Piero Fassino, ex segretario Ds, pluriministro, notabile Pd e inviato speciale Ue per la Birmania, riflette, analizza e spiega in un colloquio con “L’espresso” le posizioni del partito nel momento più caldo della crisi del Pdl.

Il caso Fini, la maggioranza in bilico e in fibrillazione…

“Siamo alla fase conclusiva del lungo ciclo berlusconiano. Erano quattro partiti e quattro leader, ora Casini è all’opposizione, Fini sta prendendo a dir poco le distanze. Su legalità e giustizia il governo ha dovuto ridimensionare i suoi progetti “normalizzatori”. La gestione del potere quanto meno malsana ha mostrato l’intreccio tra politica e affari, si sono dimessi due ministri, cinque o sei esponenti sono sotto inchiesta, emerge una spregiudicatezza inaudita, il tutto con una crisi economica affrontata con soluzioni modeste e passive. Il centrodestra è di fronte alla sua consunzione”.

Fini è stato sostenuto senza riserve dal Pd. Non è stata un’apertura esagerata? Non finisce per disorientare?

“Nessuno è così sciocco da pensare che Fini sia di sinistra. Ma se uno come lui prende posizioni coraggiose su temi come immigrazione, etica, giustizia e legalità, rivelando differenze ed elementi di contraddizione della maggioranza, e se la via per arrivare a scardinare il berlusconismo passa anche per una scomposizione del blocco berlusconiano, qual è il problema, scusi?”.

Il grimaldello per scardinare il berlusconismo è un’altra destra o una sinistra forte?

“Tutt’e due. In politica le cose si tengono. Il fatto che Casini, all’opposizione da due anni (votando in Parlamento il 95 per cento con Pd e Idv) e ora Fini, si siano smarcati, cambia lo scenario. Per andare oltre Berlusconi, abbiamo sia bisogno che le contraddizioni della sua compagine esplodano, sia che l’opposizione abbia una proposta di governo alternativa credibile”.

Fini è sotto la bufera della casa a Montecarlo. Che ne pensa?

“È la manifestazione di un imbarbarimento, di una politica brutale che non rinuncia a nessun argomento pur di aggredire l’avversario. Il deputato Pdl Giorgio Stracquadanio lo ha teorizzato: “Bisogna applicare a Fini la cura Boffo”. Ho provato sulla mia pelle quel che vuol dire: capitò a Prodi a Dini e a me con le calunnie di Telekom Serbia”.

È davvero possibile la costruzione di un terzo polo con Casini, Rutelli e Fini?

“Si vedrà. I primi due vogliono costruire un polo centrista con un risultato elettorale più consistente. Fini, però, potrebbe anche presentarsi da solo. In ogni caso, la crisi del centrodestra sta ridisegnando la geografia politica e un passaggio elettorale non può non tenerne conto. Per questo abbiamo proposto un governo di transizione di breve durata – non un ribaltone, che sia chiaro – per dare al Paese una nuova legge elettorale. Il rischio è che uno qualsiasi dei tre o quattro schieramenti vinca l’elezione con il 35 per cento dei voti e che raggiunga il 55 per cento dei seggi grazie al premio di maggioranza. Si tratterebbe di una sproporzione che non esiste in nessuna legge elettorale vigente nel mondo”.

Chi potrebbe guidare l’ipotetico governo di transizione?

“Il nostro obiettivo primario è la legge elettorale. Chiunque lo condivida è bene accetto, quindi oltre il Pd e l’Idv e l’Udc, il raggruppamento finiano è certo un interlocutore. Ma può essere anche più allargato, non metto pregiudiziali. A fasi di emergenza, alleanze di emergenza. Il possibile premier? Non partecipo al totonomine ed è evidente che non può essere Berlusconi”.

Quindi, chiunque altro?

“Chiunque altro punti a questa meta e alla necessità di superare il berlusconismo”.

Come mai il Pd non cavalca la possibilità di andare a votare, ma anzi frena? Così tanta paura di perdere?

“Non abbiamo nessuna paura, glielo ripeto. Non bisogna farsi guidare dalla pancia, soprattutto in un momento come questo, bisogna ragionare. Non c’è il minimo dubbio che si debba andare a votare, anche perché chiudere il ciclo berlusconiano e aprire una nuova fase richiede una legittimazione democratica. Quindi alle urne si andrà, sarebbe più ragionevole con nuove norme, ma se ci si deve andare con le attuali, noi chiederemo il voto per vincere”.

Allora, forse, c’è un vizio comunicativo.

“No. L’impazienza, più che comprensibile, di liberarsi di Berlusconi porta a dire: al voto, al voto. Ma attenzione, l’impazienza si può capire dal punto di vista emotivo e psicologico ma poi bisogna fare i conti con la realtà. Prendiamo, per esempio, il successo che ha avuto ultimamente una possibile candidatura di Vendola. Vendola è figlio di questa impazienza e siccome il nostro popolo non ne può più di vedere Berlusconi lì, chiunque appaia in grado di mandarlo a casa viene abbracciato come la Madonna pellegrina. Vendola che è intelligente sta cercando di trasformare un’impazienza in una speranza, il che è naturalmente utile ma non è sufficiente. Ma per vincere le elezioni è necessaria la definizione di una proposta e di un programma forte che non illuda sui temi caldi: fisco, immigrazione, federalismo, lavoro, crescita delle imprese, Mezzogiorno. La partita si giocherà sulla credibilità e sulla capacità di dare risposte alle paure e alle inquietudini che Berlusconi e la Lega hanno saputo intercettare”.

Quali sarebbero gli allealti possibili? L’Udc, Sinistra e Libertà, i grillini?

“L’alleanza si deve basare su un programma sottoscritto. In alcuni comuni e in alcune regioni abbiamo vinto con alleanze che andavano dalla sinistra radicale all’Udc con un ruolo di guida Pd. Pensi alla Liguria con uno schieramento che va da Grillo fino all’Udc, alla Basilicata con Rifondazione e i casiniani, e così via in molte altre realtà locali”.

Quindi il modello è quello delle regionali?

“Si parte intanto da lì”.

Nessuna paura di andare votare, dunque. Secondo lei, la linea della segreteria Pd rende efficacemente questa posizione?

“So per esperienza quanto sia difficile essere segretario di un grande partito. Ma Bersani è uomo pragmatico e ha naso politico. Sarebbe bene evitare la corsa di troppi dirigenti a mettersi in prima fila per accreditare l’idea “il vero leader sono io”. Anche per questo, spesso, non riusciamo a trasmettere l’immagine di un partito che si misura fino in fondo con i problemi nuovi e che non ha paura di mettere in campo le innovazioni necessarie. La sinistra porta nel suo bagaglio culturale un limite di continuismo che a volte frena la capacità di apertura alle domande che via via la società ci pone. Sa cosa risposi nel 2001 appena eletto segretario in un momento molto difficile, a un giornalista francese che mi chiese: “Che sinistra ha in testa?””.

Cosa?

“Gli dissi: “Una sinistra che non abbia paura”. La sinistra nasce per cambiare il mondo e per un curioso paradosso poi ogni volta che c’è da cambiare qualcosa, ci chiediamo con timore cosa accadrà. Dobbiamo avere il coraggio di dire anche cose in contrasto con quello che avevamo detto in passato. Se la sinistra vuol vincere non deve avere paura”.

L’Espresso 13.08.10