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«Vogliono abbattere il Welfare. E giocare con la Costituzione», intervista a Rosy Bindi di Maria Zegarelli

Ci stanno facendo commissariare in un agosto terribile». E non perché «dobbiamo tornare a Roma e riaprire il Parlamento», il punto è «che tutto questo non serve, non è inserendo una modifica in Costituzione che si affronta una crisi economica di questa portata, non è in questo modo che spieghiamo all’Europa e ai mercati che l’Italia è un paese credibile». Rosy Bindi, presidente del partito Democratico, non è tra coloro, come Walter Veltroni e il
Terzo Polo, che apprezzano l’annuncio delle modifiche degli articoli 41 e 81 della Carta costituzionale. Né è tra quanti pensano che il cambio di passo possa avvenire con questo governo e con questo presidente del Consiglio. «L’unica possibilità di avere la nostra collaborazione è quella di modificare profondamente la manovra introducendo le misure che abbiamo proposto noi, ma non lo faranno».
Presidente, la sua sembra una chiusura di credito totale. Neanche questa emergenza senza precedenti può aprire uno spiraglio tra maggioranza e opposizione, considerato che Berlusconi non ci pensa proprio ad un passo indietro?
«Berlusconi ha detto che non vuole dimettersi, questo ormai è evidente, ma che riesca ad andare avanti fino al 2013 mi sembra più che altro un suo desiderio perché la situazione è così grave proprio per questa sua ostinazione. La causa principale delle difficoltà italiane dipende dalla mancanza di credibilità del governo, e se ne uscirà soltanto con le elezioni anticipate. Siamo di fatto un Paese commissariato».
Cicchitto respinge questa lettura dei fatti.
«E sbaglia perché rischiamo di essere commissariati da Germania e Francia che dettano l’agenda a istituzioni europee molto deboli. Questo mondo sta cambiando velocemente, ci sarebbe bisogno che nei singoli governi ci fossero personalità in grado di accettare le sfide del tempo. Questa è una crisi che riguarda l’Europa, l’America e i mercati globali: ci sarebbe bisogno di governi più lungimiranti, di una nuova politica, di un’Europa più forte; di leader in grado di governare questi grandi cambiamenti. In Italia ce n’è più bisogno che altrove perché la situazione è più grave che altrove».
Il governo risponde riaprendo il Parlamento per avviare l’iter delle modifiche alla Costituzione su pareggio di bilancio e libertà d’impresa. Misure giudicate inefficaci da molti, ma da molti altri utili.
«Noi ci siamo resi da subito disponibili 24 ore su 24 per affrontare questa emergenza ma ci piacerebbe essere convocati per cose serie non per misure prive di effetti. Mi è sembrato, il loro, solo un modo per rispondere a questa polemica sulla chiusura del Parlamento per un mese».
Quindi secondo lei è inutile modificare la Costituzione?
«Penso più semplicemente che non c’entri proprio nulla con quanto sta accadendo. Non è modificando due articoli della Costituzione che si risponde alla drammaticità del momento. Né possono pensare, come qualcuno sta facendo nella maggioranza, di agganciare a questa discussione temi come la giustizia. L’opposizione ha chiesto una sessione parlamentare ad hoc per discutere della riduzione dei parlamentari, dei costi della politica e di tutte le misure davvero necessarie: non pensino di usare il dibattito sul pareggio di bilancio e la libertà d’impresa per arrivare ad altro. Noi non lo permetteremo. La serietà della Costituzione e del momento non consentono di prestarsi a mosse demagogiche o strumentali».
Prodi ritiene che introdurre in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio non solo è inutile in questo momento, ma potrebbe addirittura essere dannoso.
«Ha ragione. Ho già detto che contesto entrambe le ipotesi di modifica, sia all’articolo 41 sia all’81- e pregherei tutti di non dare i numeri quando si parla di Costituzione. Le contesto nel merito perché, come sostiene anche Prodi, introdurre l’obbligo del pareggio di bilancio in alcuni momenti storico-economici potrebbe essere controproducente e perché toccare, così come vogliono loro, l’articolo 41 rischia di essere una sorta di istigazione all’illegalità senza tradursi in una norma liberale. Possiamo dividerci nel merito nel Pd ma non ne vale la pena se gli effetti di queste modifiche sono inesistenti.
Per noi la Costituzione è una cosa seria davvero e non possiamo permettergli di usarla perché non sono in grado di fare le scelte necessarie e di presentarle con chiarezza anche con un progetto per il futuro».
L’altra misura annunciata è l’anticipo di un anno degli effetti della manovra. Bersani chiede chiarezza. Dove prenderanno i soldi?
«L’unica misura vera annunciata è l’anticipo di un anno del pareggio di bilancio. Ma non possono farlo tenendo fermi i contenuti di quella manovra. Qui dobbiamo denunciare con forza un fatto: il governo affida il risanamento, e addirittura la possibilità della ripresa della crescita, all’abbattimento del sistema di welfare intaccando pesantemente i diritti dei cittadini».
Invece cosa sarebbe necessario fare da subito?
«Intanto non toccare i fondi destinati a Enti locali e Regioni perché questo vorrebbe dire colpire i cittadini, poi bisogna tassare le ricchezze e usare la leva fiscale per diminuire le disuguaglianze. Si inaspriscano le norme contro l’evasione fiscale; si facciano liberalizzazione serie e vere; si punti all’efficienza della pubblica amministrazione e si investa su ricerca e infrastrutture, come chiesto anche dalle parti sociali. E si abbia il coraggio di intervenire sui privilegi: in questo paese c’è una classe dirigente, non solo politica, troppo numerosa e troppo onerosa. Se accogliessero queste proposte noi saremo pronti a fare la nostra parte, ma questo non accadrà».
Lei ha toni piuttosto ultimativi. Altra storia rispetto alle ultime dichiarazioni del Terzo Polo. L’opposizione non marcia più compatta rispetto alla posizione da avere con il governo e con le misure annunciate?
«Voglio sperare che quelle del Terzo Polo siano solo tattiche politiche. Non credo che possano legarsi ad una operazione così pericolosa per la vita del nostro Paese che rischierebbe di vanificare anche tutta la forza della loro azione politica che in questi anni ha dato dei risultati importanti. Temo che se accetteranno di cadere nelle rete che gli è stata tesa dalla maggioranza ne pagheranno le conseguenze. Come è possibile accettare di collaborare solo perché anticipano di un anno misure contro cui abbiamo votato qualche settimana fa?».

L’Unità 08.08.11

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«Tagli inefficaci e iniqui sulle spallen delle famiglie» Intervista a Chiara Saraceno di Felicia Masocco

Le famiglie con redditi medi e bassi sono ostaggio della manovra, sia se passa la delega fiscale, sia se non passa e si procederà con i tagli lineari. Nell’uno e nell’altro caso saranno loro a pagare di più». La sociologa Chiara Saraceno non ha dubbi, i tagli – o il “riordino” dei conti come amano dire dalle parti di Palazzo Chigi – hanno un target preciso: le famiglie del ceto medio e quelle ancora più deboli. Con meno servizi e meno agevolazioni fiscali, si faranno carico della mole di “risparmi” di spesa cui il Paese è costretto. Il punto è che la scelta di tagliare la spesa si impone, basti guardare ai mercati internazionali. Ed è così che il governo si difende.
Dove si possono rastrellare le risorse?
«I tagli sono necessari dopo che per anni, irresponsabilmente, ci hanno detto che andava tutto bene. Ma vanno negoziati e calibrati meglio. Si vogliono tagliare le detrazioni fiscali, bene, quali? Andrebbero tagliate quelle più facilmente fruibili dagli abbienti, per
esempio le assicurazioni sulla vita o quelle per le spese mediche, non certo le detrazioni per le spese dei figli o degli asili nido. Calibrare significa andare ad incidere di più sui redditi più alti e non su quelli medio bassi: anche intervenire sulla detrazione per i mutui da un certo reddito in su non sarebbe sbagliato, i margini di manovra ci sono se si vuole equità».
Tutto questo per una crisi a lungo sottovalutata. Poi arrivano le agenzie di rating a dare la sveglia: non le sembra paradossale che la vicenda dei mutui sub-prime alla fine la paghino i genitori che hanno un figlio nel nido di una qualsiasi città italiana?
«Quando scoppiò la crisi per via dei mutui sub-prime dicemmo che non ce ne importava nulla, “mica siamo gli Stati Uniti!” Salvo vedere poi che le aziende chiudevano e che la crisi non riguardava solo la finanza ma l’economia reale. Senza contare i grossi errori delle agenzie di rating. Tuttavia non credo che possiamo continuare a dire “ce ne freghiamo”, con il debito altissimo del nostro Paese. Fare qualcosa è ineludibile, ma non ammazzando la gallina che fa le
uova. E neanche procedere iniquamente e in modo inefficace».
Anche inefficace?
«L’idea di fare come la Grecia, cioè stringere la cinghia e basta, mi turba moltissimo. Si rischia che nessuno più consumi e che l’economia non si riprenda, e non va neanche bene licenziare per abbattere la spesa pubblica o azzerando gli investimenti. È una follia ridurli per la scuola e la ricerca. Se dobbiamo essere più competitivi dobbiamo avere un capitale umano che stia al passo».
Tra le ipotesi per far cassa c’è quella di alzare l’età per la pensione delle donne. Lei su questo si è sempre detta d’accordo….
«Sì, lo sono, come scambio, però, con i servizi di cura. Aver rinviato l’innalzamento dell’età al 2020 è ridicolo e iniquo visto che per le lavoratrici pubbliche la norma cè già».
È però del tutto evidente che questo scambio non c’è: i servizi, l’assistenza, il welfare vengono ridotti fortemente con la manovra. Non si rischia il boomerang?
«Dire “no” senza negoziare significa lasciare che le scelte vengano fatte sulla nostra testa. Ora vogliono tagliare le indennità di accompagnamento e assegnarle in base al reddito. Preferirei che venisse mantenuta l’assistenza agli invalidi gravi (per chi ha disabilità parziali neanche c’è) e venisse aumentata l’età pensionabile per le donne: sarebbe più equo anche per le donne che avrebbero una pensione più decente. Vorrei che si discutesse di queste cose, vorrei che qualcuno ai tavoli avesse questa impostazione. Non mi piace affatto che Bossi dica che l’età della pensione non si tocca e poi gli va benissimo che si tagli l’assistenza agli anziani gravi. Ho anch’io il timore che alla fine si faccia questo e quello e anche per questo mi piacerebbe conoscere le proposte alternative dell’opposizione: non basta dire che Berlusconi deve andarsene!».
Dopo questa serie di stangate, la famiglia italiana è destinata a cambiare?
«Il problema dell’Italia è che da moltissimo tempo si è molto affidata alle famiglie senza ragionare sulle povertà, sull’autonomia dei giovani e delle donne: oggi di fronte alla crisi la famiglia è estremamente vulnerabile, più simile, se vogliamo, alla famiglia statunitense, con meno protezione, priva di secondi redditi, costretta a far fronte – per un periodo ancora più lungo – a un numero maggiore di persone. Di sicuro la famiglia non scoppierà, ma se ne faranno sempre meno: i giovani lasciano la casa dei genitori sempre più tardi, le donne non lavorano e per questo (non per il contrario) non fanno figli. Più forte sarà la richiesta della solidarietà familiare forzata, più difficile sarà fare una famiglia».

L’Unità 08.08.11