attualità, politica italiana

"Un pesante distacco dalla realtà", di Michele Brambilla

Di che cosa si parla in questi giorni in Italia? Ascoltando i discorsi della gente comune, non solo degli imprenditori, ma anche dei semplici dipendenti o di chi si incontra al bar o al supermercato, diremmo che non ci sono dubbi sull’argomento più gettonato. Più che un argomento è una domanda: quanto durerà questo governo? Dalle inchieste dei magistrati emergono comportamenti incredibili da parte di chi è incaricato di guidare il Paese; e già questo è un fatto che fa chiedere a molti che cos’altro debba ancora succedere. Ma poi, soprattutto, c’è una crisi economica senza precedenti. Quando mai s’è sentito parlare di un possibile fallimento dell’Italia? Saranno anche paure esagerate, ma molti italiani si sono precipitati in banca per vendere i propri titoli di Stato nel timore che possano non essere rimborsati.

Anche dall’estero si guarda all’Italia come a un Paese sull’orlo del baratro e quindi bisognoso di una svolta. L’Europa ci ha appena imposto un manovra di cui il nostro governo, se non altro per un bieco calcolo di consensi elettorali, avrebbe volentieri fatto a meno. Standard and Poor’s dopo aver declassato l’Italia ieri ha declassato sette nostre banche.

I grandi giornali di mezzo mondo ci chiedono che cosa aspettiamo a darci una mossa, per mossa intendendo il cambiamento della guida politica.

E questa è oggettivamente la richiesta che viene da grandissima parte del Paese. Non solo del Paese politicamente schierato, quello in servizio antiberlusconiano effettivo e permanente: ma anche di quel mondo che in Berlusconi ha sperato, più o meno convintamente. Da Confindustria a quegli imprenditori del Nord che, come ha raccontato Marco Alfieri in un reportage su questo giornale, per Berlusconi avevano messo anche la faccia, e che ora non ne possono più. Insomma: giusta o sbagliata che sia, sale la richiesta di un cambio di passo. Per essere più espliciti, di una nuova guida politica. Che è tutta da studiare, e che non è detto che debba comportare un ribaltone parlamentare con un cambio di maggioranza: ma che dia il segno tangibile di una novità, di un taglio netto con una gestione politica che ci ha portati sull’orlo del fallimento.

Tutti dunque ne parlano. Tutti tranne chi dovrebbe per primo porsi il problema. Ieri Berlusconi è salito al Quirinale e qualche povero illuso aveva messo in giro la voce che, di fronte al Capo dello Stato, il premier avrebbe affrontato il discorso su un suo possibile passo indietro. Ma lasciando il Colle il premier ha assicurato che l’argomento non è neppure stato sfiorato. E uno dei suoi uomini, il ministro Giancarlo Galan, l’ha liquidata così: «Ho parlato con Berlusconi e mi ha detto che posso rassicurare gli italiani: il Presidente della Repubblica non si è dimesso». Quanto a Bossi, le sue parole sono state le seguenti: «Il governo va avanti? Penso di sì. Non so cosa sia andato a fare Berlusconi dal presidente Napolitano».

Temiamo di saperlo noi. Al Capo dello Stato che gli riportava le preoccupazioni sue, del Paese intero e di mezzo mondo, il premier pare abbia risposto di stare tranquillo, che le cose vanno bene, che è tutta colpa degli speculatori stranieri, che non bisogna dare retta ai giornali, che le inchieste della magistratura lo rinvigoriscono e che presto tirerà fuori dal cappello un piano per lo sviluppo che farà ripartire l’economia.

Viene in mente il titolo di un film di una decina di anni fa: «Fuori dal mondo». Solo che quel film parlava dell’estraniarsi volontario, dal mondo, di una suora di clausura. Mentre qui fuori dal mondo ci sono ahimè coloro che il mondo dovrebbero guidarlo. Le battute di Galan, gli sproloqui di Bossi e il Berlusconi che annuncia l’arma segreta danno l’idea di una classe dirigente ormai totalmente staccata dalla realtà.

Ieri abbiamo letto un pezzo della prefazione che Giulio Andreotti ha scritto a un libro sulla storia della Dc. Rievocando i tempi del dopoguerra, della Costituzione e della ricostruzione, Andreotti ricorda che non solo la Dc, ma anche gli altri partiti fissavano sempre, prima di ogni iniziativa politica, un obiettivo a lungo termine, un progetto per il Paese futuro. Saranno anche nostalgie del passato. Ma la miopia di chi ha preso il posto di quei politici fa di tutto per alimentarle.

La Stampa 22.09.11

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L´offerta del Senatur “Silvio fino a gennaio”, di Francesco Bei

«Umberto, cosa devo fare? Pensi anche tu che mi debba dimettere? Se me lo dici tu io lo faccio subito». Al termine di un incontro drammatico a Palazzo Grazioli con lo Stato Maggiore del Carroccio, il Cavaliere tenta il tutto per tutto. Getta sul tavolo in anticipo la carta delle dimissioni per poterla subito rimettere nel mazzo. È un bluff, visto che a passare la mano a un nuovo governo non ci pensa affatto. E dall´altra parte trova Bossi disposto a concedergli un altro giro di tavolo. Ma senza entusiasmo. «Io voglio solo la Padania», gli risponde laconico il Senatùr senza offrire ulteriori garanzie sul futuro. «Poi ne riparliamo a gennaio…». Ma tanto basta a Berlusconi per salire in serata al Quirinale e scacciare, in un colloquio teso e preoccupato con il capo dello Stato, il fantasma della crisi di governo.
E tuttavia la mano più difficile, quella che si gioca oggi alla Camera sull´arresto di Marco Milanese, il premier sembra essersela aggiudicata. Roberto Maroni non ha la forza necessaria per sostenere uno strappo così violento, visto che l´arresto dell´ex collaboratore di Tremonti provocherebbe lo squagliamento della maggioranza. Il ministro dell´Interno ha valutato con preoccupazione le conseguenze di una crisi di governo provocata dai suoi: «Non ce lo possiamo permettere – racconta un suo fedelissimo – perché ce la imputerebbero totalmente e noi saremmo finiti». E dunque Maroni garantirà oggi il voto dei suoi a favore di Milanese. La resa dei conti è spostata in avanti. A gennaio. Oppure molto prima, quando a fine settembre si voterà la sfiducia al ministro Saverio Romano.
Così, forte della sponda offerta dalla Lega, il Cavaliere alla sette della sera può salire baldanzoso al Quirinale per conferire con il capo dello Stato. Un colloquio richiesto da palazzo Chigi il giorno prima, per capire dalla viva voce di Napolitano il significato di quella sorta di «consultazioni» che hanno fatto irritare e preoccupare il Cavaliere. Nell´ora e un quarto di incontro, il capo del governo ripete il suo mantra e spande ottimismo sulla situazione finanziaria: «Il peggio è passato. Abbiamo presentato una manovra che ha ricevuto consensi da tutta Europa e adesso tocca al piano per la crescita. Stavolta lo seguirò personalmente. Ho messo al lavoro un nucleo di esperti per elaborare delle proposte da presentare al Consiglio dei ministri al più presto». Napolitano resta in ascolto. Scettico e preoccupato svolge un´analisi che non coincide con quella rosa e fiori del premier. «Il paese resta in grave difficoltà, lo spread è tornato a salire e oggi anche le nostre principali banche sono state declassate. Non possiamo permetterci alcun ritardo». Berlusconi elenca una serie di titoli senza riempirli di contenuti, ma dal presidente della Repubblica arriva l´invito pressante a trasformare quel libro dei sogni in realtà. Per Napolitano è questa «la vera sfida dopo la manovra», quella su cui «ci stiamo giocando tutto». Chiede misure per la crescita «il più possibile condivise», anche attraverso «ampie consultazioni in Parlamento e con le parti sociali». E tuttavia per Berlusconi «l´unica garanzia perché il paese sia al riparo da ulteriori tempeste è proprio la stabilità dell´esecutivo». Il suo, ovviamente. «Presidente, non c´è alcun problema per la tenuta della mia maggioranza. Ne ho parlato anche con Bossi, il nostro rapporto è solido». Quanto alle ripetute sconfitte della maggioranza in aula, «non hanno valore politico, sono solo incidenti parlamentari». Eppure Napolitano insiste nel chiedere certezze sulla tenuta della coalizione. «Siete sicuri sui vostri numeri?». E Berlusconi: «Lo vedremo su Milanese».
La giustizia è sempre il tormentone che accompagna ogni incontro di Berlusconi al Quirinale. «Sono un perseguitato, per fortuna ho trovato un Gip a Napoli che ha acclarato quello che vado dicendo da tempo. La competenza sull´inchiesta Tarantini è di Roma». Ma Napolitano, infastidito, cambia discorso e lo riporta sulle questioni concrete. L´economia, la tenuta del centrodestra. Alla fine si lasciano dopo aver parlato per tutto il tempo due lingue diverse. Ma Berlusconi, per un altro giorno, è convinto di averla sfangata. Tanto che ai suoi, tornato a palazzo Grazioli per un vertice sulla giustizia, consegna una battuta un po´ irriverente sul capo dello Stato: «Tranquilli, Napolitano non si dimette. E andiamo avanti».

La Repubblica 22.09.11