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“Classi per stranieri, no della Crusca”, di Gianna Fregonara

Confusa. Generica e per lo più impraticabile. In altre parole, inadeguata. L’imprevista bocciatura è dell’Accademia della Crusca, che critica la proposta di formare classi differenziate (le classi di inserimento o classi ponte) per far apprendere l’italiano agli stranieri, presentata dal leghista Roberto Cota e approvata dalla maggioranza lo scorso ottobre. Non serve: funzionerà certo a tranquillizzare genitori italiani e docenti alle prese con problemi di integrazione, ma dal punto di vista scientifico e dell’apprendimento dell’italiano per studiare è del tutto inutile. Sul periodico dell’Accademia, la «Crusca per voi», si possono leggere due saggi argomentati sul tema. E, come se non bastasse, la rivista si fa portavoce delle impietose osservazioni delle altre istituzioni custodi della nostra lingua: la Società italiana di Glottologia, la Società di linguistica italiana, l’Associazione italiana di linguistica applicata, il Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica e l’Associazione per la storia della Lingua italiana, che della proposta Cota scrivono: «La mozione risulta non chiara nelle premesse, poco perspicua nel metodo e inefficace nella soluzione». E ancora: «Il metodo proposto per affrontare il problema è piuttosto incongruente rispetto all’obiettivo di favorire la promozione dell’acquisizione dell’italiano ai fini,almeno dichiarati, di una armonica integrazione». Replica Cota: «Rispetto la Crusca, ma loro rispettino il problema vissuto da migliaia di famiglie nelle periferie delle grandi città. Temo che vedano più il tarlo del razzismo che altro, ma io spero che al più presto il ministro Gelmini possa varare un provvedimento dettagliato sulle classi ponte, la mozione indica soltanto la linea politica, non le soluzioni tecniche migliori». Per ora il ministro sta studiando la pratica, e i presidi sono in attesa di lumi per le iscrizioni.

I dati innanzitutto. Nello scorso anno scolastico, 2007-2008, secondo le rilevazioni del ministero dell’Istruzione, su dieci milioni di alunni, 574.000 erano stranieri, cioè con «cittadinanza non italiana»: in percentuale il 6,4, il 7 per cento dall’asilo alle medie e il 4 per cento nelle superiori. Non una cifra spaventosa, in termini assoluti. Ma dieci volte di più degli studenti stranieri inseriti a scuola appena dieci anni prima, nel 1997. Tanto da creare, come riconoscono anche gli studiosi della Crusca, «una situazione di disagio». Di questo mezzo milione tuttavia, i non-italiofoni, quelli cioè che non parlano l’italiano, entrati per la prima volta nel sistema scolastico italiano, e che avrebbero bisogno di corsi e sostegni non sono più di 50 mila: «Circa il 70 per cento dei bambini stranieri che frequentano la scuola dell’infanzia e la metà di quelli che sono alle elementari — si legge nell’articolo di Silvia Morgana, ordinaria di linguistica italiana alla Statale di Milano — sono nati in Italia, mentre un’altra parte consistente è in Italia da anni e ha già frequentato altri gradi di scuola e quindi è sostanzialmente in grado di comunicare in italiano, anche se con diversi livelli di competenza linguistica». Dov’è dunque il problema secondo la Crusca? Non è l’italiano di base, quello che si insegnerebbe prima dell’inserimento nelle scuole normali, da verificare con gli ormai famosi test entro dicembre il vero problema: l’apprendimento di queste conoscenze da parte degli stranieri è di solito rapido e «richiede da pochi mesi, all’anno e mezzo dall’inserimento nella scuola “normale”», a contatto con gli studenti italiani.

Il problema che può insorgere e creare difficoltà di apprendimento è «la lingua per lo studio», cioè quelle competenze specialistiche che servono per comunicare le proprie conoscenze più avanzate: «Queste risultano spesso ben più difficili da padroneggiare completamente anche per gli studenti italiani e la lingua per lo studio può richiedere fino a cinque anni per essere utilizzata nel modo più efficace», spiega ancora Morgana. Se le classi di inserimento o differenziali o ponte non servono, allora che fare, per situazioni in cui in una classe ci sono tre quarti di studenti stranieri e gli italiani sono in fuga? Di idee e sperimentazioni, ne sono nate tante in questi ultimi anni. La Crusca suggerisce di puntare sui docenti, preparandoli per la formazione dell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, disponendo una formazione specifica per i docenti che lavorano nei Cpt, e più in generale creando una «vera e propria cultura della valutazione» non solo delle competenze linguistiche, formando gli insegnanti ad una revisione dei curriculum in chiave interculturale. A provare le classi di inserimento è da qualche mese la Catalogna, in Spagna, in due città vicino a Barcellona, Vic e Reus. Ma il modello, proposto tra mille polemiche, ha una durata di tempo molto limitata: da uno a sei mesi, soltanto per i nuovi entrati. In questo primo periodo di tempo dalle classi separate è passato qualche centinaio di studenti e oltre i due terzi sono già stati inseriti nelle classi normali.

Non che in Italia negli ultimi anni non sia suonata la campanella dell’emergenza. L’osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale presso il ministero, ha prodotto diversi documenti di indirizzo, segnalando già due anni fa il problema di quel 20% di alunni stranieri che arrivano ad anno scolastico già iniziato. La linea fin qui seguita nelle zone ad alta concentrazione era quella di lasciare autonomia alle scuole per fare corsi e laboratori di lingua pomeridiani e di sostegno. Ancora non è stato valutato il successo. Ma lo stesso osservatorio aveva messo in guardia «contro i rischi di pregiudizi e preconcetti su base emozionale rispetto ai nuovi arrivati». Per ora alcuni Comuni si sono arrangiati da sé, trovando nelle raccomandazioni europee e nelle esperienze di altri Paesi, l’ispirazione per le proprie politiche. A Vicenza il sindaco Achille Variati (Pd) ha imposto un tetto di tre alunni che non parlano italiano per ogni classe, gli altri verranno aiutati dal Comune e dai presidi a trovare altre sistemazioni. La Commissione europea non ha censurato l’idea. A Novara succede il contrario. Nelle scuole del quartiere Sant’Agabio, ad alta densità di stranieri, sono gli studenti italiani che sono invitati a iscriversi: per loro mensa e scuolabus gratis. Stesso incentivo per gli stranieri che accettano di spostarsi in altre realtà. Il modello è la Spagna, quella Catalogna che però poi ha deciso di introdurre i corsi di inserimento. A Milano il Comune sta pensando a qualcosa di simile. A Roma l’assessore alle politiche educative Laura Marsilio ha proposto l’obiettivo di avere negli asili non più di cinque stranieri per classe. Tutto questo in attesa di una parola definitiva da parte del ministero.

Corriere della Sera, 3 marzo 2009