L’inchiesta di Dario Di Vico pubblicata domenica sul Corriere (dal titolo «Così il piccolo ceto medio combatte la recessione») ripropone la voglia del mondo del lavoro autonomo e della piccola imprenditorialità di sviluppare una rinnovata rappresentanza dei propri interessi e forse una vera e propria leadership di tipo sociopolitico.
E un`illusione o è il preannuncio di una lunga marcia degli interessi per contrastare l`attuale primato della dinamica d`opinione nei processi di decisione politica? Certo si può trattare di un`illusione, visto il grande peso mediatico che hanno gli eventi che fanno opinione. I piccoli imprenditori contano poco mediaticamente; si può riservare ad essi qualche elogio quando dimostrano (come è avvenuto negli ultimi mesi di crisi) di poter fronteggiare difficoltà e sfruttare opportunità, ma alla fine la scena ritorna ai grandi eventi e ai grandi protagonisti. Con famosi opinionisti a ironizzare sull`illusione del «piccolo è bello» e a confermare che il potere è nel grande.
L`inchiesta apre però il varco a un`evoluzione diversa. Mette cioè in pista una possibile lunga marcia dei portatori di interessi a superare la loro esclusione da una politica oggi pesantemente orientata dalla dominanza delle opinioni, cresciuta in un percorso di decenni.
Al proposito, i più vecchi fra noi ricordano che molti negli Anni 50, con Ugo La Malfa in prima fila, attivarono una dura lotta contro i partiti di massa: li ritenevano capaci di grande, rappresentanza di interessi, classisti ed interclassisti che fossero, ma al tempo stesso li ritenevano poveri di cultura istituzionale e di senso del bene collettivo.
Cominciò allora la lun- ga marcia del primato dell`opinione sugli interessi, proponendo il privilegio verso partiti d`opinione visti come il luogo in cui sviluppare senso critico collettivo e collettiva assunzione di responsabilità.
Tale opinione ha avuto molto più successo di quanto si potesse prevedere: i partiti di massa sono finiti; i collettori di interessi, cioè le organizzazioni sindacali e datoriali, hanno perso peso e i loro leader spesso diventano semplici portatori d`opinioni; l`associazionismo categoriale si è progressivamente marginalizzato.
Gli interessi in fondo non facendo evento non interessano la cultura collettiva e sono messi in seconda fila dall`azione politica; mentre vincono i mezzi di comunicazione di massa, tutti centrati su eventi che fanno tanta opinione e che permettono di costruire leader o immagini di leadership.
Non a caso la personalizzazione della politica na- sce proprio dal primato dell`opinione di massa: chi sa sfruttarlo, o addirittura crearlo, vince sugli interessi, anche se di grande rilevanza.
Andrà così anche per il futuro o la lunga marcia della politica d`opinione ha raggiunto il suo picco con l`irripetibile esperienza della personalizzazione berlusconiana, con la sua geniale continuata invenzione di linguaggi e di immagini che coprono ogni ulteriore spazio d`opinione? Se fosse vera la seconda ipotesi, il dopo (magari non immediato) potrebbe essere connotato da una lunga marcia a pendolo verso il primato degli interessi, e una leadership su di loro potenzialmente incentrata. Sarebbe una leadership plurale, non ripetitivamente personalizzata, e con poche eventualità di fare eventi impressivi; sarebbe quindi cosa difficile da costruire, sia in termini di contenuti che di guida politica. Ma le condizioni di base già si possono intravedere.
Corriere della Sera, 29 aprile 2009