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«Atenei “virtuosi” miseria e disordine nelle Università», di Giulio Peruzzi

Da tempo i politici italiani ci hanno abituato al fatto che gli interventi estivi a tutto servono fuorché a innescare pacate riflessioni. Si cerca la visibilità pubblica, si sondano gli umori, sempre pronti a fare marcia indietro qualora il responso non sia quello atteso. E questa estate del 2009 non fa eccezione, nonostante le preoccupazioni legate alla crisi economica mondiale.
Per quanto riguarda il settore della formazione e della ricerca, si è fatto un gran parlare della necessità di introdurre i dialetti nell’insegnamento scolastico, si sono presentate (e corrette a posteriori) improbabili graduatorie tra la formazione e la ricerca del nord rispetto a quella del sud facendo d’ogni erba un fascio, si è discusso del valore dei crediti dell’ora di religione negli scrutini scolastici salvo poi emanare regolamenti in contrasto con una sentenza del Tar del Lazio. Senza scordare il fuoco di paglia innescato da due atti della ministra Gelmini: distribuire una piccola percentuale del fondo di finanziamento ordinario (Ffo) alle università più virtuose, ed emanare il regolamento dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (Anvur). Su questi due atti vale la pena spendere qualche parola.
La svolta di introdurre finanziamenti meritocratici, certo una grande novità, pecca a tutt’oggi di una chiara definizione dei criteri usati. Senza contare l’assenza di dati aggiornati. La tabella definitiva con i finanziamenti agli atenei virtuosi è ancora un’araba fenice, tanto che di giorno in giorno qualche rettore annuncia che la sua università è iscritta nella tabella (ultimo quello dell’Ateneo di Siena). Inoltre non è ancora chiaro se e quando questi fondi saranno erogati: un ulteriore problema per la stesura dei bilanci delle università. Ulteriore, perché il taglio previsto di 1441 milioni di euro del Ffo nel quinquennio 2009-2013 previsto dalla legge 133 non è stato revocato: dall’autunno di quest’anno tutte le università, virtuose e non, si troveranno in una situazione drammatica. La soluzione delineata nel dibattito estivo? Aumentare le tasse agli studenti.
E sull’Anvur? La ministra, dopo aver bloccato per più di un anno il regolamento attuativo dell’Agenzia sostenendo che quella disegnata dal ministro Mussi era pletorica, ha pensato bene di emanarlo praticamente invariato. Stranamente non si sono letti interventi estivi in cui si facesse una sinossi puntuale dei due testi. Ebbene le differenze sono solo di dettaglio. Per esempio il “search committee”, che deve designare la rosa di nomi dai quali il ministro sceglie i componenti del Consiglio Direttivo (CD) dell’Agenzia, ha una composizione leggermente diversa; la durata del mandato per i membri del CD è di 4 anni (e non 5); l’Agenzia redige un rapporto annuale (e non biennale) sullo stato del sistema università e ricerca. Insomma dettagli. Anche se redigere un rapporto annuale può davvero essere impresa titanica. E anche se nello schema Gelmini si legge a oggi che “in sede di prima applicazione del regolamento, previo sorteggio, sono individuati 2 componenti del CD che durano in carica 3 anni, e 3 componenti che durano in carica 4 anni’’ mentre “gli altri componenti, tra cui il Presidente, durano in carica 5”. Quando mai andrà a regime una simile Agenzia? Sorge spontanea la domanda: perché si è aspettato tanto tempo per emanare il regolamento? Forse non era più rinviabile, forse si voleva comunque mettere il proprio nome in calce a un provvedimento auspicato da tutti togliendo la primazia al precedente ministro.
Ma forse la risposta più credibile viene dalla presa di posizione di un noto esponente della maggioranza che in questi giorni ha bollato come “inattendibili” i risultati di una ricerca del Centro Studi della Banca d’Italia sul fatto che gli immigrati non rubano lavoro agli italiani. Ammesso che parta, il lavoro dell’Anvur potrà sempre essere giudicato inattendibile dalle “competenti” autorità politiche.
da L’Unità