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«Gli economisti: il Pil non basta più così si misura il vero benessere», di Giampiero Martinotti

PARIGI – Le cifre, le percentuali, i segni più e meno non bastano per misurare il nostro benessere, l´arricchimento o l´impoverimento dei nostri paesi. Misurare il Prodotto interno lordo è indispensabile, ma non è più sufficiente a fornire un quadro esauriente dello stato di salute di un´economia. Non si tratta di creare un nuovo maxi-indicatore, ma di prendere in considerazione tutta una serie di parametri, in particolare quelli relativi alle famiglie e alle varie categorie socio-professionali: solo in questo modo, i governi potranno affinare le loro politiche economiche.
Sono queste le conclusioni cui è arrivata la commissione presieduta da Joseph Stiglitz con la collaborazione di Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi. Venticinque economisti di primissimo piano (fra cui il presidente dell´Istat, Enrico Giovannini) chiamati da Nicolas Sarkozy a riflettere su come offrire un quadro più preciso della realtà economica; sul modo migliore per colmare, almeno in parte, il fossato che separa i dati macro-economici dalla percezione che ne hanno i cittadini; sui mezzi necessari per integrare i dati sociali e ambientali. Un lavoro che non riguarda solo la Francia e che si collega alle analoghe riflessioni promosse dalla Commissione europea.
Il documento finale sarà presentato lunedì, prima all´Eliseo e poi alla Sorbona. Ma il Figaro ne ha pubblicato ieri ampi stralci e la stessa commissione ha pubblicato sul suo sito alcuni documenti di lavoro. Le 291 pagine del rapporto, diviso in tre parti, presentano un´analisi approfondita dei problemi legati alla misurazione della ricchezza e formulano una dozzina di raccomandazioni.
La prima parte è dedicata al Pil, considerato insufficiente per fornire un quadro esauriente della ricchezza di un paese: racchiude in una cifra la progressione o la regressione della ricchezza prodotta, ma non tiene conto delle disparità individuali e sociali. Secondo il rapporto, «per valutare il benessere materiale bisogna analizzare i redditi e i consumi piuttosto che la produzione». Per questo gli Stati devono osservare la situazione economica dal punto di vista delle famiglie, tenendo conto delle loro diverse condizioni. Le medie nazionali, insomma, non bastano più: l´aumento dei prezzi, per esempio, può pesare molto di più su alcune categorie (in generale le meno abbienti). E misurare i redditi non basta, bisognerà prendere in considerazione anche il patrimonio: chi non risparmia salvaguarda il benessere attuale, ma compromette quello futuro. Infine, bisognerà valutare i lavori senza valore commerciale, come quello casalingo, e più in generale la ripartizione delle attività tra lavoro e tempo libero: l´Italia, come del resto gli altri paesi europei, ha tassi più alti degli Stati Uniti per quanto riguarda il lavoro casalingo e il tempo libero.
La seconda parte incita ad esaminare la qualità della vita, il contesto sociale, ambientale e di sicurezza dei cittadini. I lavori di alcuni economisti francesi hanno già mostrato come le cose possano cambiare: se si guarda solo al Pil pro capite, l´Italia era nel 2004 al diciottesimo posto, mentre se si tiene conto di altri elementi legati alla qualità della vita, al welfare e al lavoro domestico, sale all´undicesimo. Bisogna insomma integrare molti altri fattori: dal tasso di mortalità all´evoluzione fisica delle popolazioni (altezza, peso, ecc.) alle prestazioni sociali. Quest´ultimo è un punto importante: le prestazioni pubbliche, come quelle in materia di sanità, istruzione e sicurezza, devono essere calcolate per valutare correttamente la ricchezza delle famiglie.
Ancor più complesso è stato il lavoro dedicato allo sviluppo sostenibile. Se c´è più o meno consenso sulla definizione data più di vent´anni fa dal rapporto Brundtland («lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni»), è più difficile individuare un indicatore efficace. La commissione suggerisce di creare indici capaci di «calcolare la variazione degli stock». Bisognerebbe insomma misurare il capitale umano e fisico, sapendo che uno sviluppo sostenibile è quello che lo fa aumentare, preservando così le generazioni future.
da La Repubblica