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“Cara Gelmini, sono una prof e faccio politica in classe”, di Roberta Roberti

Gentile Ministro Gelmini,
insegno da 17 anni nella scuola superiore della Repubblica italiana. Credo di dare molto al mio lavoro. Non solo da un punto di vista organizzativo o rappresentativo, ma anche da un punto di vista qualitativo.
La difesa della scuola pubblica che da anni pratico con orgoglio, visto lo scempio progressivo del sistema educativo nazionale, non è funzionale ad alcuna posizione partitica. E’ semmai vero il contrario: io sono costretta a vivere la mia professione in una dimensione politica, perché il diritto all’istruzione e gli obiettivi della scuola in cui credo e che vorrei per mio figlio sono seriamente compromessi dai tagli, dall’incompetenza di chi dall’alto decide, dalla volontà di privatizzare o quantomeno semiprivatizzare il sistema educativo, dai nidi all’università. Difendere la scuola pubblica per me significa pratica quotidiana in classe, nella ricerca di metodologie didattiche che mi aiutino ad entrare in comunicazione con i ragazzi, a “farli respirare con il cervello”, come diceva alla radio una giovane studentessa.
Lei mi dice che io sono un funzionario pubblico e che pertanto posso non essere d’accordo con la sua riforma, ma devo tacere e limitarmi ad eseguire, obbedendo al mio datore di lavoro. Altrimenti dovrei lasciare la scuola e candidarmi nelle liste di qualche partito. Le ricordo, ma credo Lei debba averlo ben presente in quanto donna di legge, che i “funzionari pubblici” non devono giurare fedeltà a nessuno, se non alla Costituzione. Come funzionario pubblico, io sono garante, per quanto di mia competenza, dei diritti che la nostra Costituzione sancisce per i cittadini. E quindi, nell’adempiere le mie funzioni, devo dare loro una buona scuola e devo renderli consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri di studenti e di cittadini. Se la qualità della scuola che frequentano non è all’altezza della sfida cui ci mette di fronte la società della conoscenza, allora io ho il dovere di informarli del perché ciò accade, di ciò cui avrebbero diritto e viene loro negato, responsabilizzandoli perché sappiano difenderlo.

No, caro ministro Gelmini. Noi genitori non ci stiamo, perché la scuola dei nostri figli si impoverisce sempre di più, in tutti i sensi, pedagogico, didattico, materiale. Il tempo pieno non esiste più, è inutile che ci raccontiate che è cresciuto. Che schizofrenia è sostenere nella stessa intervista che le compresenze sono abolite, che c’è il maestro unico e che si sono aperte 35.000 sezioni a tempo pieno in più? Per i nostri figli e le nostre figlie noi non vogliamo un parcheggio. Hanno diritto ad una scuola di qualità, laica, democratica, pluralista e gratuita. Ci spaventano i tagli ai fondi e al personale, ci spaventano i programmi veramente immiseriti dalle varie indicazioni nazionali dei suoi predecessori, che Lei ora si appresta ad armonizzare.
No, caro Ministro Gelmini, noi docenti non ci stiamo. Fra i principi costituzionali ai quali io, funzionario pubblico, devo essere fedele, c’è anche quello che mi tutela nell’esercizio delle mie funzioni. Esiste la mia libertà di insegnamento, e Lei, ministro, non può toccarmela. Lei potrà boicottarmi togliendomi le compresenze, le ore di programmazione in team, le ore di sostegno a ragazzi e ragazze, bambini e bambine disabili, Lei potrà soffocarmi con indicazioni nazionali misere e impoverite, Lei potrà anche impormi tutti i test del mondo, ma in classe ci vado io e la mia libertà di insegnamento mi consente di esprimere le mie opinioni. O vuole preparare dei bei video ministeriali sui vari argomenti di studio, che saremo costretti a propinare ai nostri studenti? Lo diceva anni fa l’onorevole Aprea: in palestra, davanti ad un bel maxischermo, se ne possono tenere anche 70, di bambini.
Ci sentiamo presi in giro dalle conferenze stampa e dai proclami su giornali e televisioni, che presentano della situazione una lettura talmente falsata, ignobilmente distorta, da lasciarci senza parole. Perché quest’anno in tanti entreremo in classe e ci troveremo di fronte 30-33 alunni, alcuni di recente immigrazione, alcuni che hanno perduto le ore di sostegno, con meno ore di laboratorio, senza un euro per le supplenze, con locali fuorilegge quanto all’affollamento, eccetera, eccetera. Ci troveremo a correre da una classe all’altra, senza avere il tempo di stabilire relazioni con gli alunni, con i colleghi, con i genitori. O forse Lei vuole dirmi che nella scuola che verrà io non dovrò fare altro che eseguire asetticamente le Sue unità didattiche finalizzate a far superare ai miei alunni i Suoi test. Che non devo perdere tempo nella crescita emotiva e nell’educazione, nello sviluppare insieme a loro il pensiero critico e riflessivo sui fenomeni e gli eventi?
Quando avrà trovato una teoria pedagogica sufficientemente accreditata in grado di dimostrare che per un processo di apprendimento efficace non è indispensabile la relazione, allora potremo cominciare a discutere. Quanto ai contenuti, mi permetta di dubitare seriamente che ci sia mai stato, finora, qualcuno veramente in grado di occuparsene. E anche in questo caso, di persone che vivono in aula, a scuola, ne sono state interpellate veramente poche.
Ministro, nell’Atto di Indirizzo da Lei firmato, si parla di sostegno alla progettazione, ai gruppi di lavoro e di ricerca per una buona scuola. In modo politico, ma assolutamente gratuito e trasparente, centinaia di migliaia di insegnanti, genitori e studenti Le stanno dicendo che non vi lasceranno distruggere la scuola e l’università pubbliche. Non sanno solo dire dei no. Hanno idee chiare e precise da sottoporvi, frutto di un lungo entusiasmante lavoro di condivisione e confronto. Hanno studiato, fatto ricerche, costruito la buona scuola giorno per giorno. Nessuno di Voi vuole ascoltarli. Non mi illudo che possa esserci un’inversione di tendenza da parte del Suo governo. Il controllo sociale che ne può derivare, oltre al business che si può aprire, sono troppo allettanti, e l’opposizione del mondo della scuola si presenta ancora fiacca, divisa e rassegnata. Ma, sinceramente, non capisco come una donna possa prestarsi ad un gioco come questo, senza nessuna vergogna. Il ministro Moratti, quando le dissero che avrebbero tagliato i fondi alla scuola e all’università in maniera assai meno ingente di quanto non sia stato detto ora a Lei, si disse pronta a dare le dimissioni. E i tagli furono decisamente ridimensionati. Ma la Moratti era Disneyland a confronto. Alla scuola della quale Lei è la responsabile governativa, stanno tagliando miliardi di euro e 150.000 posti di lavoro. Lei sarà per sempre ricordata come il ministro che ha affossato la scuola e l’università pubbliche.
Ci pensi, Ministro. Io, intanto, nel mio piccolo, farò un po’ di politica in classe e cercherò di avvicinare i miei allievi al significato della bellezza. Il che può essere molto utile per sentirsi cittadini consapevoli.

La Repubblica, 23 settembre 2009

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Segnaliamo sull’argomento anche i seguenti articoli

“La riforma della discordia”, di Flavia Amabile

Lo chiamano «il mistero dell’insegnante scomparso». A dieci giorni dall’inizio dell’anno scolastico le associazioni di genitori di alunni disabili hanno perso le speranze di veder apparire gli insegnanti di sostegno che fino allo scorso anno si occupavano dei loro figli. I tagli hanno colpito anche loro, e così capita di tutto. Sette ragazzi con disabilità si sono trovati concentrati in una classe sola, seguiti da tre insegnanti di sostegno all’Istituto. Professionale Francis Lombardi di Vercelli.

Eppure i dati dicono che è stato rispettato il rapporto medio nazionale di un insegnante ogni due studenti, come vuole la legge, ma è aumentato il numero di alunni nelle classi e poi esistono delle differenze nelle Regioni: il Lazio ha il peggior rapporto tra insegnanti di sostegno e alunni disabili (uno ogni 2,4).

Cinquantamila bambini in più resteranno nelle classi anche di pomeriggio, ha annunciato, trionfante, il ministro quattro giorni prima dell’inizio della scuola. Le classi a tempo pieno passano da 34.317 a 36.508, con un aumento dell’8 per cento. I genitori, però, sono andati a scuola con i loro figli e da un po’ di giorni raccontano una realtà molto diversa. A Bologna il tempo pieno si fa, è vero, ma lo pagano i genitori, dai 150 ai 300 euro l’anno. Sempre a Bologna, all’istituto Albertazzi, per garantire le lezioni fino al pomeriggio gli alunni hanno sei insegnanti diversi nell’arco della giornata. A Vado Ligure, nell’Istituto Comprensivo, invece, hanno preferito far proprio finta di nulla: i genitori hanno presentato le richieste in segreteria ma di tempo pieno non c’è traccia.

Ieri un ragazzo dell’istituto alberghiero di Benevento si è sentito male. La mamma è andata a prenderlo. Entrando in aula si è trovata davanti a una scena che non si aspettava: i ragazzi erano in 39, tre per ogni banco. Quello di Benevento non è un caso isolato: le classi con più di 30 alunni sono in tante scuole d’Italia visto che la Gelmini quest’anno ha aumentato ancora il limite massimo portandolo anche a 30 studenti nelle scuole superiori. Cifre simili sono illegali per le norme antincendio che prevedono massimo 25 alunni e per quelle igienico-sanitarie che fissano un minimo di 1,96 metri quadri a studente. La questione finisce in tribunale: il Codacons ha denunciato ministro e direttori degli uffici scolastici regionali a 104 procure per «interruzione e turbativa di pubblico servizio e violazione delle norme sulla sicurezza».

Le versioni sono diverse. Anche sulle cifre non c’è accordo. Il ministro Gelmini sostiene che i tagli ai docenti precari previsti in Finanziaria sono 43mila, in 30 mila sono andati in pensione e quindi alla fine a rimanere senza lavoro quest’anno sono 12-13 mila prof. I sindacati dicono che a rimanere fuori saranno almeno 18 mila, e che comunque si tratta del «più grande licenziamento di massa avvenuto in Italia». Alcuni di loro potranno usufruire della norma salva-precari decisa dal ministro Gelmini che prevede l’estensione a queste figure del trattamento di cassintegrazione erogato dall’Inps. Il ministero sta preparando la versione finale del provvedimento finora solo annunciato e si sa che ne saranno esclusi quelli che hanno lavorato nel 2008/09 solo con supplenze brevi, anche chi ha sostituito un docente in maternità o un collega malato.

Le proiezioni della Caritas dicono che quest’anno nelle scuole italiane ci saranno 700 mila alunni stranieri, il ritmo di aumento negli ultimi anni si aggira intorno al 20-25 per cento.

Il problema esiste, insomma, soprattutto di fronte alle proteste della Lega, e quindi il ministero dell’Istruzione sta studiando gli aspetti tecnici per introdurre un limite del 30 per cento di presenza di alunni stranieri in classe, ha confermato il ministro Gelmini. Nel frattempo si creano scuole per soli stranieri come la elementare Pisacane, nel quartiere multietnico di Tor Pignattara di Roma. Quest’anno sarà frequentata quasi esclusivamente da alunni stranieri, circa il 97% degli iscritti: su 180 bambini solo 6 sono italiani. Lo stesso a Milano dove alla scuola elementare Radice su 96 alunni 93 sono immigrati.

Dal prossimo anno le superiori non avranno più né sperimentali né discipline un po’ strane: la Gelmini ha cancellato centinaia di indirizzi e ricompattato il tutto in sei licei e 11 istituti tecnici. Dovrebbe andare in vigore dal prossimo anno ma ancora se ne sa molto poco perché i regolamenti sono ancora lontani dall’essere stati approvati. Si attende il via libera della Conferenza Stato-Regioni che però ha deciso di non riunirsi in segno di protesta contro le norme-salva precari. E, quindi, tutti i genitori italiani che hanno un figlio in terza media e vorrebbero partecipare ai colloqui di orientamento per le iscrizioni non sanno che pesci pigliare. Il ministero, in modo informale, ha già fatto sapere che la scadenza per le iscrizioni slitterà almeno di un mese.

L’anno scolastico è iniziato. C’è chi l’ha definito annus horribilis, chi l’anno del ritorno al rigore e alla qualità. Questione di punti di vista su un argomento che ormai vede l’Italia divisa in due fra «gelminiani» e «anti-gelminiani». Lei, Mariastella Gelmini, il ministro della discordia, darà oggi ai senatori della commissione Istruzione la sua versione sui tanti fronti aperti: dai precari al tempo pieno fino all’integrazione degli immigrati nelle classi.

Sarà la sua versione, perché la Gelmini ha anche un’altra fama, quella di avere la marcia indietro facile, di lasciarsi andare ad annunci che poi vengono ritrattati, e di citare cifre del tutto diverse dalla realtà. E’ l’unico ministro, infatti, ad aver avuto l’onore di un sito tutto suo, battezzato «Gelminometer», creato alcuni mesi fa per avere un archivio delle sue promesse non mantenute e dei cambiamenti d’opinione. Nel frattempo le statistiche sono spietate. L’ultima pubblicata in ordine di tempo, elaborata da Eurostat, pone l’Italia al 18° posto nelle spese per istruzione. Una situazione che può soltanto peggiorare coi tagli in arrivo

La Stampa, 23 settembre 2009

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“Si parla solo di tagli Così andremo sempre peggio”

Domenico Pantaleo, segretario generale Flc-Cgil, la scuola che sta cominciando è la scuola della qualità come sostiene il ministro Gelmini.
«Qualità? Ma se è una scuola che va peggiorando in maniera inequivocabile in termini di offerta formativa, di capacità didattica, di formazione. Prevale una grande incertezza, ci sono soltanto dei tagli camuffati sotto una veste pedagogica».

Per la Gelmini il tempo pieno è aumentato dell’8%.
«E’ vero, ma la Gelmini forse non sa che cosa significa il tempo pieno. Non è il vecchio doposcuola o un parcheggio per bambini, quello che era garantito fino all’anno scorso era un percorso di approfondimento, un arricchimento degli studenti. La Gelmini non ha ancora capito che il sapere nozionistico è superato e che gli studenti hanno bisogno di attività molto diverse che venivano svolte proprio grazie al tempo pieno e al sistema delle compresenze».

La Gelmini ha anche fornito un aiuto a molti precari con le sue norme.
«Non scherziamo. Quelle norme sono una presa in giro. Non cambia nulla, si tratta di diritti già acquisiti. Gli unici vantaggi sono in un miglior coordinamento degli strumenti e nell’intervento delle Regioni. Anzi, le Regioni sostengono che la patata bollente è passata a loro e quindi stanno protestando».

Si pensa ad un tetto del 30% di stranieri per classe.
«Non sono d’accordo con le classi monoculturali che non creano integrazione, ma il tetto non è la risposta giusta. Si deve valorizzare l’autonomia scolastica, si deve soprattutto uscire fuori dalle ideologie che caratterizzano questo ministro».

La Stampa, 23 settembre 2009