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"Chi vuole eliminare la geografia?", di Maurizio Tirittico

Chi non sa che cosa sia! Geografia sì, geografia no, geografia così così! Se ne sta discutendo in questi giorni e non so quanto a proposito! Resta o non resta nei programmi di studio? Ma! Facciamo un po’ d’ordine. Ci sono due questioni di fondo da cui occorre partire. La prima riguarda la geografia come “materia” di studio scolastico, perché di questo si sta oggi discutendo, non la geografia in quanto “disciplina”, che attiene a settori di ricerca avanzati che con la scuola poco o nulla hanno a che fare. La seconda questione riguarda le strategie e le modalità con cui un soggetto in età evolutiva cresce, si sviluppa e apprende, interiorizza le dinamiche spaziali, interagisce con esse e le utilizza ai fini della sua personale “sopravvivenza” nell’ambiente vicino/lontano in cui si trova ad operare e a vivere.
Per quanto riguarda la prima questione, va ricordato che una “disciplina” è, in quanto tale, sempre aperta e mai conclusa. Ciò che ieri era o sembrava certo, oggi è messo in seria discussione. In materia geografica, o meglio in materia dei corpi celesti, Tolomeo ha occupato per secoli una scena che Copernico ha poi letteralmente capovolto. Com’è noto, il sole non sorge e non tramonta, anche se ancora oggi i due verbi, pur se scientificamente scorretti, fanno parte del linguaggio comune. Una “materia”, invece, proprio perché destinata all’insegnamento/apprendimento scolastico è qualcosa di definito, di concluso, in quanto a chi cresce e apprende occorre dare elementi semplici ma precisi per quanto concerne l’acquisizione di quei dati su cui il soggetto è tenuto a costruire le sue prime certezze. Di qui discendono i programmi con le indicazioni dei contenuti da trattare e i libri di testo che vi si conformano. Va, comunque, ricordato che oggi l’insegnare per programmi è in crisi, a fronte dell’insegnare per competenze, ma questo è un altro discorso. Torniamo alla “materia” che, quindi, costituisce una necessaria riduzione della disciplina, certamente non un suo impoverimento. Ciò comporta che chi insegna è pur sempre tenuto a sollecitare in chi apprende il gusto e la pratica della ricerca e della scoperta, soprattutto in situazioni laboratoriali e di gruppo: il che rinvia alle strategie dell’insegnare/apprendere e, nella fattispecie, alla didattica della geografia.
Ma la geografia, in quanto materia, deve fare i conti con il soggetto che apprende. Di qui, il passaggio alla seconda questione, più ampia della precedente perché rinvia alle strategie e ai modi del conoscere e dell’apprendere, che sono assolutamente diversi a seconda delle diverse fasce d’età.
Prendiamo in considerazione ciò che accade in un soggetto che cresce e apprende nella prima fase dell’età evolutiva, in cui di fatto si replica nel giro di un tempo relativamente breve ciò che si è verificato nella nostra specie umana in tempi molto lunghi. Il nostro lontano progenitore ha cominciato a “costruire” la sua intelligenza al fine di organizzare ed asservire la realtà circostante in funzione di suoi primari bisogni di sopravvivenza e di riproduzione. E le prime coordinate del Sé attivo e intelligente sono state quelle che riguardano le due dimensioni dello spazio e del tempo. Per quest’uomo non esiste la geografia, non esiste la storia! Esistono, invece, lo “spazio” che lo circonda e che deve riconoscere, organizzare, piegare alle sue necessità, ed il “tempo” con cui memorizzare dati e informazioni del “prima” per prevedere e progettare il “dopo”.
Nel soggetto che nasce, cresce e apprende nella nostra epoca, la costruzione del Sé e le operazioni intellettive ripercorrono la strada di allora, che non dura secoli ma solo i primi anni di vita. Anche le sollecitazioni esterne sono assolutamente diverse: lo spazio naturale è in larga misura sostituito da quello artificializzato, e il tempo è scandito da orologi e calendari. Ma le modalità di costruzione del “prima” e del “dopo”, del “qui” e del “là” non sono diverse da quelle che la nostra specie ha faticosamente imparato a coordinare e organizzare. Il bambino che cresce costruisce la sua identità personale proprio operando sull’incrocio di queste due coordinate, l’asse verticale del tempo (ieri, oggi, domani…) e l’asse orizzontale dello spazio (qui, là, avanti, dietro…). Sull’asse verticale memorizza, archivia ed elabora dati, costruisce concetti, principi, procedure e strategie per agire. Sull’asse orizzontale costruisce concreti rapporti con gli oggetti che lo circondano e con gli altri del gruppo di cui deve condividere tecniche di sopravvivenza e norme e valori di convivenza.
Il susseguirsi degli eventi implementa costantemente l’incrocio dei due assi: l’ hic et nunc e l’illic et tunc si succedono in un divenire continuo ed irripetibile fino a costituire le condizioni stesse del Sè. I fatti sono condizionati e prodotti dallo e nello spazio/tempo. Pertanto, se spazio e tempo sono concettualmente distinguibili – un cronometro non è una carta geografica – operativamente non sono separabili. Ne consegue che la geografia e la storia si condizionano a vicenda; l’una non può fare a meno dell’altra. Cancellare lo studio della geografia significa rendere monco, se non impossibile, anche lo studio della storia.
Stando a queste considerazioni, discende che la distinzione dello spazio e del tempo e della loro organizzazione concettuale in geografia e storia, come materie o come discipline diverse, se non addirittura separate, non ha assolutamente senso, perché chi cresce e apprende le percorre e le costruisce contestualmente né potrebbe avvenire diversamente.
Tornando all’assunto iniziale, se la geografia possa essere penalizzata, in funzione del fatto che si risparmierebbero ore, cattedre e, soprattutto, soldi, va detto con forza che si tratta di un assunto che non sta assolutamente in piedi! La giustificazione didattica consisterebbe nel fatto che oggi, con un mondo globalizzato, con le comunicazioni fisiche e simboliche sempre più intensificate (i trasporti, i media, il web), lo spazio non è più quello di una volta! Si spende meno tempo, e meno soldi, per arrivare da Piazza Venezia a Parigi che per raggiungere un quartiere periferico! Mappe e carte geografiche sono ormai in tutte le edicole e così via! Pertanto, la geografia si apprenderebbe pressoché spontaneamente nel contesto sociale.
Ma non è così! Il problema non è quello della disponibilità “oggettiva” di ciò che un tempo era il lontano, ma della indisponibilità “soggettiva” dei nuovi nati a saper costruire correttamente da soli e senza input corretti le coordinate spaziali. Queste, di fatto, in chi cresce e apprende non si sviluppano e non si implementano se non intrecciandosi con quelle temporali. Nel nuovo nato che cresce e apprende lo spazio non può fare a meno del tempo! E l’educatore avveduto, soprattutto nella scuola dell’infanzia e nella primaria, sa come agire su ambedue le coordinate.
Ne consegue che nella scuola organizzata per materie la geografia non può fare a meno della storia! Chi propone di ridurre o di cancellare la geografia nella scuola dimostra di non conoscere questa circostanza. E’ come se si proponesse di insegnare a leggere e non a scrivere! E non è un caso che ciò è effettivamente avvenuto, quando una volta alle fanciulle delle famiglie bene i precettori insegnavano solo a leggere, ovviamente i libri sacri e quelli di galateo e di buona creanza! Ma non si insegnava a scrivere, perché la scrittura avrebbe sollecitato il pensiero produttivo, e questo è sempre pericoloso, soprattutto quando chi è deputato a pensare è solo e sempre il maschio!
Insomma, oggi, in una scuola orientata a sviluppare competenze, è già difficile parlare di materie distinte l’una dall’altra da ore, cattedre e campanelle, in forza del fatto che solo proposte e progettazioni pluridisciplinari sono in grado di rispondere alle nuove esigenze di un processo di istruzione. E pensare addirittura di cancellare la geografia è da irresponsabili ignoranti!

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Migliaia di firme contro la riduzione delle ore di lezione. Addio alla geografia a scuola con il Gps, di MARIA NOVELLA DE LUCA
Un taglio dopo l´altro, un anno dopo l´altro. E la bussola si è fermata. I geografi scuotono la testa: «Senza un Gps le nuove generazioni non sapranno più nemmeno trovare la strada di casa…». Erosa come una roccia di tufo, sforbiciata dai programmi ministeriali, spesso ristretta nel solo mondo accademico, la geografia sta per scomparire dalle scuole italiane.

L´insegnamento di questa materia è ridimensionato dalla nuova riforma delle Superiori
“Per spostarsi non basta avere un navigatore, bisogna anche saperlo interpretare”
A sorpresa l´appello su Facebook è sostenuto anche da centinaia di giovani studenti

Scienza dei luoghi e delle connessioni, sempre più geopolitica, geoeconomia, geosocietà, con la prossima riforma dei licei e degli istituti superiori decisa dal ministro Gelmini, l´insegnamento della geografia, già decapitato dai governi precedenti, sarà eliminato del tutto, o confinato nell´oblio di poche ore residue. Eppure la geografia conta migliaia di appassionati, nostante Google Earth o i TomTom, anzi ovunque si moltiplicano siti e network in cui mappe e atlanti “tradizionali” uniti alle tecnologie più sofisticate diventano chiavi per leggere la Terra e il pianeta globalizzato. E si scopre che vivere senza questa lente d´ingrandimento potrebbe renderci più intolleranti e più vulnerabili, ignoranti sia del mondo vicino che di quello lontano, e dunque, spiegano gli studiosi, «più chiusi e più timorosi del nuovo e del diverso».
Assediati dall´ultimo taglio, di fronte alla scomparsa della loro materia di insegnamento, i docenti italiani hanno deciso di lanciare un appello, un Sos mondiale, affinché il ministro Gelmini riveda la sua riforma, che in settimana dovrebbe avere il via libera dal consiglio dei ministri. «Senza geografia siamo tutti più poveri – spiega Gino De Vecchis, presidente dell´Aiig, l´associazione italiana insegnanti di geografia – perché la formazione di un cittadino passa anche attraverso questa materia, che è la scienza dell´umanizzazione del pianeta Terra…». E le risposte all´appello sono già migliaia: le società geografiche e gli studiosi da tutto il mondo, ma anche, a sorpresa, centinaia di studenti, che manifestano su Facebook un inaspettato amore per lo studio di territori, città, confini, popoli, economie, latitudini e longitudini e chiedono che le ore non vengano ridotte. In concreto, infatti, la geografia scomparirà da tutti gli istituti superiori, dai tecnici e dai professionali, mentre nei licei le ore saranno drasticamente tagliate.
La sede della Società Geografia Italiana è un meraviglioso edificio del Cinquecento, all´interno del parco romano di Villa Celimontana, alle spalle del Colosseo. Bisogna venire qui, nella tranquillità (operosa) di queste stanze che custodiscono la memoria italiana di viaggi ed esplorazioni, per comprendere che cosa vuol dire geografia. Quattrocentomila volumi, centomila carte geografiche, un fondo ricchissimo di atlanti dal Quattrocento all´Ottocento, 450 faldoni che raccolgono la documentazione ottocentesca delle spedizioni in Africa. Mappamondi, bussole, cannocchiali, trofei. È da questo luogo di memorie, eppure attivissima sede di dibattiti e conferenze, che accademici e giovani esperti spiegano perché è utile, anzi fondamentale, studiare la geografia. Massimiliano Tabusi ha 40 anni, insegna all´università per stranieri di Siena ed è il fondatore, insieme ad altri otto ricercatori, del sito luogoespazio.info, dove è possibile firmare l´appello contro l´estinzione della geografia. Seduto nella Sala del Consiglio della società, Tabusi racconta appunto che non basta avere un navigatore per andare da un “dove” a un altro, ma che bisogna saper leggere quella tecnologia. «Mai come nel mondo globalizzato – racconta Tabusi – conoscere i luoghi, i popoli, le nazioni è così importante. Proprio perché gli spazi locali stanno scomparendo, e si rischia davvero di non capire più né il territorio dove si vive né quelli con cui entriamo in contatto». Da sempre la geografia ha goduto di poca fortuna nella scuola italiana, ridotta spesso a mero elenco di capitali e di nozioni. Una grammatica basilare da cui forse non si può prescindere, ma che dovrebbe essere insegnata in modo più creativo e appassionante. E soprattutto si dovrebbe comunicare che la geografia è utile. Perché spiega il rapporto tra l´uomo e l´ambiente. Le connessioni tra la città e il territorio. E risponde, sempre, fin dai pittogrammi dell´epoca primitiva, alla domanda “dove”. «Eppure – aggiunge Tabusi – soltanto in Italia i geografi sono considerati inutili. Invece sono degli esperti del territorio, e ovunque nel mondo lavorano accanto agli urbanisti, agli architetti, agli ingegneri».
In soli 4 mesi di vita il sito luogoespazio.info, un “ponte” tra la geografia classica e la geografia sociale, ha avuto un boom di contatti. Come se modificando il linguaggio di una materia, rendendolo più contemporaneo, avesse fatto riscoprire a molti una passione. Nel senso di ciò che Franco Salvatori, presidente della Società Geografica Italiana, chiama “rispolverare la mission”. «C´è stato un tempo in cui anche questa sede era un luogo polveroso e museale, ma è bastato recuperarne l´attività scientifica per avere un grande ritorno di attenzione. Come si fa a considerare la geografia inutile quando il mondo sotto i nostri occhi cambia in continuazione? Pensate a che cosa è successo dopo la caduta del muro di Berlino, tutta la riscrittura degli atlanti e delle carte… Purtroppo la crisi della geografia ha radici antiche, discende fin dalla riforma Gentile, questi tagli però la espelleranno per sempre dall´insegnamento scolastico. E per i ragazzi sarà una grave danno alla conoscenza».
La Repubblica 01.02.10

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