cultura, politica italiana

"Questa è Raiset, Masi se ne vada", di Paolo Gentiloni

Così in basso non era mai precipitata, la Rai. L’altro ieri la Commissione di vigilanza che decide di far mettere i compensi di dipendenti e ospiti nei titoli di coda, trasformando in una gogna (o più probabilmente in una farsa) una giusta esigenza di trasparenza risolvibile in molti altri modi. Ieri il governo che approva l’idea di Calderoli di tagliare sia i compensi per artisti e conduttori di grido, facendo un clamoroso regalo all’unica concorrenza di Mediaset, sia il monte stipendi dei dipendenti, cancellando qualsiasi parvenza di autonomia aziendale. E il vertice Rai che intanto subisce e tace, alle prese con l’affannoso tentativo di esaudire altri ordini esterni, quelli sulle nomine e la cancellazione dei programmi scomodi.
Ricordo che qualche anno fa il presidente Petruccioli aveva paragonato la Rai alla Ciociara, oggetto di raccapricciante violenza (si riferiva alle ingerenze della politica) ma comunque in grado di risollevarsi e riprendere la propria strada. Oggi non è più così: la Rai di Mauro Masi è diventata uno scendiletto. E rischia di non risollevarsi.
E pensare che la struttura della tv pubblica un tempo esprimeva una forza consistente ed autonoma. Il Partito Rai, si diceva. Nel senso di una classe dirigente impegnata a difendere il primato dell’azienda, anche sbagliando, anche opponendosi a qualsiasi tentativo di modernizzazione e di riforma. Un partito Rai intrecciato con la politica, ovviamente, ma che spesso la influenzava almeno quanto la serviva.
La linea dell’attuale direzione generale è del tutto diversa. Sul piano aziendale non si difende più l’autonomo interesse Rai ma si teorizza l’assoluta coincidenza dell’interesse Rai con quello, ovviamente dominante, di Mediaset. Raiset, “fratelli di piattaforma” impegnati nella comune lotta al nemico esterno Sky. Sul piano politico ci si sforza di eseguire, senza nemmeno troppo discuterli, gli ordini di Berlusconi e del centrodestra: diverse nomine e decisioni sono state anche apertamente assunte in incontri di consiglieri a Palazzo Grazioli o negli uffici di Paolo Romani.
Inutile dire che questa duplice subordinazione, a Mediaset e alla maggioranza di governo, si salda in un tutto unico nel paese del conflitto di interessi. E rende la Rai sempre più debole. Al punto che ogni decisione diventa problematica. L’opposizione dei consiglieri di minoranza, la resistenza di dirigenti e conduttori oggetto di discriminazione politica riescono talvolta ad avere la meglio su un vertice talmente debole da non essere talvolta in grado neppure di eseguire le decisioni prese all’esterno.
L’intreccio tra Rai e politica non è certo una novità. E non lo è neppure la subordinazione ai governi di diverso orientamento e colore. Ma la rinuncia totale all’autonomia editoriale, economica e decisionale è una malattia che per qualsiasi azienda può rivelarsi incurabile. Forse il Pd dovrebbe chiedere con più forza e convinzione le dimissioni di Mauro Masi, prima che sia troppo tardi.

Europa Quotidiano 11.06.10