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"La fabbrica che non spreca un minuto così nasce l´operaio a ciclo continuo", di Paolo Griseri

Si riducono al minimo i tempi morti, tutti i pezzi sono più vicini alla postazione, il lavoratore deve solo muovere il busto. A Pomigliano arriva la metrica del lavoro alla giapponese, con tanto di computer e tabelle cronometriche da far rispettare.
Nella giornata della tuta blu di Pomigliano saranno 25.200. Non uno di meno, non uno di più. 25.200 secondi per lavorare, per ripetere 350 volte la stessa operazione che dunque non può durare meno di 72 secondi. Perché così dice la metrica. Anche le fabbriche, come le orchestre, ce l´hanno. Sono le regole che danno il ritmo alla linea e che dunque stabiliscono l´intensità di lavoro dei singoli operai. Tutti devono, inevitabilmente, muoversi allo stesso ritmo. Una danza faticosa. Da un secolo le regole di quella danza sono al centro della contrattazione sindacale. Hanno nomi astrusi: Tmc1, Tmc2, Ergo-Uas. Il primo a imporle fu, nel 1911, un ingegnere della Pennsylvania, Frederick Taylor, che spezzettò il lavoro degli operai in decine di micro movimenti stabilendo per ciascuno un tempo massimo di svolgimento. Dalla nascita del taylorismo ad oggi lo schema è rimasto sostanzialmente lo stesso. Perché in nessun luogo come sulle linee di montaggio il tempo è denaro. Uno degli ostacoli nella trattativa sindacale su Pomigliano è stato, per molte settimane, la riduzione delle pause da 40 a 30 minuti giornalieri. Un´inezia? Per molti sì, non per le tute blu. Facciamo un esempio: sulla linea della futura Panda la differenza di 10 minuti equivale a 8,3 operazioni in più per turno, quante se ne fanno in 600 secondi. Che diventano 25 automobili in più nell´arco della giornata. In un anno quei piccoli dieci minuti sono diventati 6.650 automobili.
La metrica della linea cambia con il cambiare del prodotto ma anche con le modifiche all´organizzazione del lavoro. Un professore giapponese, Hajime Yamashina, ha adattato alla Fiat i dettami del World class manufacturing, il sistema di organizzazione del lavoro che riduce al minimo i tempi morti. Rino Mercurio, un manutentore di Mirafiori, spiega che «con il wcm tutti i pezzi sono più vicini alla postazione. Prima dovevi fare quattro passi per andare a prenderli, ora è sufficiente una torsione del busto». Passi in meno, secondi in più per lavorare sulla linea. Si chiama efficienza.
Gli uomini che organizzano la danza, da Taylor in poi, sanno che tutto si basa sul lavoro dei cronometristi. Per tradizione i «cronu», come li chiamavano gli operai torinesi di inizio Novecento, non sono mai stati molto amati. Sono in genere ex operai che si sistemano di fianco a chi lavora con l´orologio in mano e misurano il tempo necessario a svolgere un´operazione. Un tempo la regola non scritta diceva che quando arriva il cronometrista è meglio rallentare. Ma questo lo sapeva anche il cronometrista e dopo aver misurato, tagliava i tempi in una lotta infinita con i suoi ex compagni di lavoro: «Oggi nell´epoca dei computer dice Rino – i cronometristi li vedi poco. Lavorano più con le tabelle che con l´orologio».
La metrica di Pomigliano è già stata adottata a Mirafiori sulla linea della Mito. Si chiama Ergo-Uas e considera per la prima volta gli aspetti ergonomici, gli effetti dello sforzo fisico sui tempi di esecuzione: un´operazione più faticosa viene premiata con un maggior tempo di esecuzione. Si chiamano «fattori di maggiorazione»: dall´1 per cento al 13 per cento a seconda della fatica richiesta: «Ma ormai – lamenta Ugo Bolognesi, operaio di linea – le operazioni sono quasi tutte all´1 per cento. Con il sistema precedente c´era una maggiorazione standard del 5 per cento e così, nel passaggio, ci abbiamo perso». Il sistema Ergo-Uas unito alla razionalizzazione dell´ambiente di lavoro introdotto con il wcm (quello che elimina i passi per andare a prendere i pezzi) è in grado, secondo la Fiat, di fare il miracolo: di produrre 280 mila auto all´anno con una sola linea. Quasi un´auto al minuto: «Un ritmo infernale» dicono i sindacalisti. A Melfi, dove si arriva a produrre oltre 300 mila Grande Punto all´anno, le linee sono due. Con una sola linea, tutto diventa più veloce e più vulnerabile: le richieste Fiat contro l´assenteismo e gli scioperi nascono, in sostanza, dall´esigenza di garantire quella velocità. Perché la danza delle tute blu non si interrompa.

La Repubblica 16.06.10

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“E’ un’intesa che mina l’essenza della Costituzione” di Tania Groppi – costituzionalista
L’accordo proposto dalla Fiat ai sindacati per trasferire dalla Polonia a Pomigliano la produzione della Panda tocca un nervo scoperto del sistema italiano delle relazioni industriali. Ma non solo. Esso è sintomatico di una tendenza che sembra inarrestabile, volta a mettere in discussione l’essenza stessa della Costituzione italiana. L’aspetto più evidente, ovviamente, è l’impatto, sulla pelle dei lavoratori, della globalizzazione sfrenata, con la “concorrenza al ribasso” che porta con sé. Al contempo, l’intero sistema-paese viene attratto in un gorgo che, allo scopo di intercettare capitali, gli impone di ridurre quelle garanzie dei diritti sociali che rappresentano uno degli assi portanti della vigente Costituzione repubblicana. Che sia necessaria una riflessione sul futuro dello Stato sociale, nel mondo globale, non è certo una novità. Ma una cosa è cercare di esplorare vie per assicurare la compatibilità tra libero mercato e garanzia dei diritti, un’altra è, semplicemente, svuotare o stravolgere le regole esistenti. E ciò tanto che lo facciano soggetti privati (come in questo caso) o titolari del potere politico (come nella recente, e ancora aperta, vicenda dell’art. 41 Cost.). Ed è qui che la questione sociale si salda, oggi in Italia, con quella democratica. Ovvero con la necessità di difendere le regole della democrazia costituzionale. Regole che sono poste a tutela dei soggetti deboli, siano essi le minoranze politiche o i lavoratori. Quando un primo ministro dice, ripetutamente, per anni, che governare con le regole che la Costituzione impone è un inferno. Quando queste regole vengono violate ripetutamente, sia attraverso le ordinanze di necessità di urgenza, che con i decreti legge, che con i maxiemendamenti su cui si appone la fiducia, che con leggi ad personam… Quando questa è l’attitudine verso le regole della convivenza dei massimi titolari del potete politico, il rischio che anche i soggetti privati pensino di poter impunemente disattendere le regole costituzionali si fa concreto. Una Costituzione delegittimata, ridotta a un’inutile rete di lacci e lacciuoli. Una Costituzione vecchia, adatta per un’Italia che ormai non esiste più. I suoi difensori dei retrogradi parrucconi conservatori che conducono una battaglia di retroguardia. Ecco il messaggio che deve passare. Aquesto punto, ad essere messe in discussione non sono solo le singole regole costituzionali, ma la stessa essenza del patto di convivenza su cui si basa la nostra Repubblica, come Stato democratico e sociale, fin dall’articolo 1, «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Ma se così è, deve essere chiaro che la battaglia per la difesa della Costituzione e la battaglia per i diritti dei lavoratori non possono che andare di pari passo.

L’Unità 16.06.10

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“Vinceranno i sì perchè non ci sono alternative migliori”, di Roberto Giovannini

Fa un caldo afoso e tagliagambe, nella piana agricola dove sorge la fabbrica «Giambattista Vico». È quasi l’una, e cominciano ad arrivare gli operai del secondo turno, che attacca alle due di pomeriggio. Per tre giorni, dopo tanti giorni inoperosi in cassa integrazione, in 2.600 lavoreranno per produrre un po’ di Alfa 159; poi torneranno a fermarsi per un altro mese. Fuori dai cancelli dell’ingresso due c’è una piccola folla di giornalisti. Ci sono i militanti della Fiom-Cgil e dello Slai-Cobas a distribuire volantini, poi si vede anche il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero. Verso le due, poi, escono (non sono molti) quelli del primo turno, che hanno attaccato alle sei. Pigliano i volantini, sorridono un po’ imbarazzati, preferiscono allontanarsi in fretta. Questi lavoratori dovranno presto decidere che fare il giorno del referendum sull’accordo che apre la strada all’investimento della «Fiàt» e alla nuova organizzazione del lavoro su 18 turni compresa la notte. Nell’aria si sente la vittoria dei «sì», chissà con quali proporzioni. Pochi hanno voglia di parlare; i più non vogliono farsi notare, qualcuno ha paura. Agli altri diamo qui la voce.
«Certo che voto sì al referendum, ma è una dittatura – dice F., operaio del montaggio, non iscritto al sindacato – sicuramente vinceranno i sì, ma non c’è niente da fare. L’ultimo giorno di lavoro normale io l’ho fatto il 31 luglio del 2008. L’azienda ci prende per il collo, ma non ci sono alternative». Giuseppe Limoncelli è un «team leader» di una piccola squadra ed è un iscritto della Fim-Cisl. Anche lui voterà sì. «E così faranno anche molti miei compagni di lavoro. Lavorare su 18 turni e pure di notte non mi fa paura, l’ha fatto per tanti anni anche mio padre, che lavorava in ospedale, non mi pare un problema. Voglio dire: è vero che l’azienda ci ha messo spalle al mure, che è un mezzo ricatto, ma a me non mi sembrano condizioni di lavoro impossibili». V. è un operaio iscritto alla Fiom, e la vede così: «I diritti dei lavoratori non si toccano, non esiste che anni di lotte dei nostri padri spariscano così. Io voto no, mi trasferissero pure a Nola se vogliono». A Nola, a quindici chilometri, c’è un polo di logistica del gruppo Fiat. Ci lavorano in 300, tutti sindacalizzati o considerati «problematici»: gli operai Alfa lo definiscono una specie di «reparto confino». A Nola, ad esempio, ci sta mezzo Slai-Cobas, un piccolo sindacato di base. «Le organizzazioni confederali – tuona Luigi Aprea, delegato Rsu dello Slai – dimenticano che nell’assemblea del 14 maggio mille lavoratori hanno votato la nostra mozione di condanna del piano Marchionne. Il referendum? Noi diremo di non votare». «Io non ho mai fatto un giorno di malattia – dice Gerardo Attanasio – e non sono d’accordo con questa nuova organizzazione del lavoro. Mia figlia mi dice che vuole un padre vivo, presente in casa, e questi turni non vanno bene. Io voto no». G. è iscritto alla Uilm, uno dei sindacati favorevoli all’intesa, e secondo lui con la nuova organizzazione del lavoro si guadagnerà troppo poco. «Ci daranno 3.200 euro lordi all’anno in più, sono 160-180 euro in più al mese. Poco. Io non lo so che farò, ma penso che vinceranno i sì». Qui a quanto pare parlano solo i critici. C’è anche uno dell’Ugl, Mario Silvestro. «E’ tutto un trucco di Marchionne – e ce lo spiega – la Panda viene a Pomigliano perché non sono riusciti a farla altrove. Andremo avanti due anni, e poi un bel giorno la Fiat dirà: peccato, la scommessa è andata male». Uno invece straconvintissimo della bontà dell’intesa è Carmine Volpe, iscritto ed «esperto» della Uilm. «Siamo stanchi di tutte queste tarantelle – spiega – vogliamo rimboccarci le maniche e cominciare a lavorare. Questa fabbrica diventerà il fiore all’occhiello del gruppo Fiat, e sarà anche merito del sindacalismo responsabile».
A volantinare per la Fiom c’è anche Giuseppe Dinarelli, l’operaio «laureato e giovane», cui è stato attribuito un sì all’accordo. «Macché, io prima del voto del Cc Fiom ho detto: diamo un segnale di apertura, invece di “no, ma”, scriviamo “sì, a condizione che”. La Fiat non può imporci un prendere e lasciare, sarebbe un segnale per Sacconi e tutte le aziende che non aspettano altro». Ma la Fiom ha azzeccato tutte le mosse? «Beh – ammette Giuseppe – diciamo che abbiamo dato un po’ l’alibi alla Fiat di far pensare che noi eravamo contrari a tutto».

La Stampa 16.06.10