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"Napoli, Tornano i rifiuti, ma non erano mai scomparsi", di Anna Ferrigno

Il problema dei rifiuti a Napoli e Caserta è tutt’altro che risolto. Le discariche presidiate giorno e notte dai soldati sono ormai esauste e traboccano di “ecoballe” da tutti i lati. Questa volta però le protagoniste non sono i centri di raccolta ma i dipendenti del Consorzio Unico Napoli Caserta che effettuano il prelievo dell’immondizia nei 62 comuni incriminati.

I sacchetti giacciono per strada in attesa di essere raccolti perché è in atto una protesta, che dura da 6 giorni, di 1300 operatori ecologici. I lavoratori lamentano il mancato pagamento della retribuzione del mese di gennaio e febbraio e sono preoccupati per una politica di tagli al personale, annunciata nei giorni scorsi. Gli esuberi di risorse non potranno essere stabilizzate come richiesto dal piano di Bertolaso, fanno sapere all’unanimità sindaci e presidenti di Provincia. I debiti dei Comuni inadempienti ammontano a 140 milioni di euro e occorrerebbero almeno 4 milioni di liquidità per risolvere la questione momentaneamente.

Il premier Silvio Berlusconi, in visita oggi a Napoli alla Mostra d’Oltremare per appoggiare il candidato del Pdl alla Regione Stefano Caldoro, aveva sostenuto che la Questione Rifiuti in Campania fosse finita. La realtà risulta ben diversa. Non solo il centro storico di Napoli è pieno di rifiuti, ma anche Caserta non è da meno con le sue 300 tonnellate di spazzatura; 700 tonnellate invece giacciono ad Aversa e nella periferia.

Si lamentano i dipendenti ma si lamentano anche gli amministratori locali. Il sindaco di Aversa, Domenico Ciaramella, ha inviato un esposto alla Procura di Santa Maria Capua Vetere perché la raccolta dei rifiuti “è un servizio che doveva essere garantito dal Consorzio unico di bacino delle Province di Napoli e Caserta. Si è determinato un problema igienico-sanitario, a terra abbiamo 700 tonnellate di rifiuti”. Il primo cittadino a capo di una coalizione di centrodestra si trova a commentare una situazione che il leader del suo stesso partito aveva nel 2008 detta risolta.

Il presidente della Provincia di Benevento, Aniello Cimitilde, ha commentato duramente la disposizione regionale che prevedeva di sversare nell’impianto sannita di Casalduni circa 600 tonnellate al giorno di spazzatura casertana e napoletana. Benevento ha però fatto ricorso e da domani questi rifiuti verranno scaricati nella discarica di San Tammaro e nello Stir (l’ex Cdr) di Santa Maria Capua Vetere (CE). Sulla questione dei debiti dei Comuni, la posizione di Cimitilde è stata molto dura: “Non è possibile che la Provincia di Benevento venga lasciata senza risorse finanziarie mentre viene obbligata a pagare i dipendenti dei Consorzi Rifiuti. Ancora oggi nessuno ci ha spiegato il motivo per il quale non sia stato applicato per i lavoratori dei Consorzi rifiuti del beneventano lo stesso trattamento riservato a quelli del Consorzio Unico Napoli/Caserta”.

Il premier nel suo discorso al 6 padiglione della mostra ha manifestato un incauto ottimismo. Per lui il problema dei rifiuti è passato. E non fa menzione alla condanna di poche settimane fa da parte della Corte di Giustizia Europea per il modo con cui l’Italia ha gestito il problema spazzatura in Campania. Quella condanna è costata alla Regione il congelamento di circa 500 milioni di euro. Molti di questi soldi erano destinati proprio a risolvere il problema in questione. Ma chi conosce il Primo Ministro e come lui stesso ha ammesso oggi a Napoli: “Sono venuto a liberarvi dai comunisti”, e non di certo dai rifiuti.

www.dazebao.org

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A Napoli è di nuovo allarme rifiuti: 600 tonnellate per strada

Torna la spazzatura a Napoli. Soprattutto nei quartieri di Secondigliano e Scarpia. E’ la città che il premier si vantava di aver ripulito dalla “monnezza”. I dipendenti dell’Asia, l’Azienda sanitaria per l’igiene ambientale, sono in sciopero da due giorni. Ieri c’erano in strada 850 tonnellate, oggi ce ne sono ancora 600. L’obiettivo è arrivare a normalizzare la situazione in un paio di giorni. Ma se alcune alcune zone sono state ripulite, in altre i cassonetti sono strapieni e in altre ancora, come Scampia, la situazione è ancora più difficile.

L’assessore all’Ambiente della Regione Campania, Giovanni Romano stigmatizza l’astensione dal lavoro.

«Mentre in diverse strade del centro di Napoli sta lentamente riprendendo la raccolta dei rifiuti, nella periferia Nord i cittadini stanno vivendo una nuova emergenza igienico – sanitaria, che tutti pensavano lasciata ormai alle spalle». Lo denuncia Lucio Cialli, responsabile del comitato Salvaperiferie di Napoli. «In diverse strade dei quartieri di Scampia e Secondigliano le montagne di spazzatura – sottolinea – stanno creando seri problemi perfino alla circolazione, e i residenti sono stati costretti a rimuovere i sacchetti con le proprie mani per consentire il passaggio delle auto e dei mezzi pubblici. In queste ore, inoltre, ci stanno giungendo numerose segnalazioni di massicce presenze di blatte rosse e grossi topi, in prossimità dei cumuli e a poco distanza dalle case e dai negozi, e all’interno dei giardinetti pubblici. La gente è nuovamente esasperata e si difende come può, o chiudendosi in casa, o spargendo disinfettante nelle adiacenze delle abitazioni».

Il comitato segnala anche incendio appiccato durante la notte fuori l’antica parrocchia dei Santissimi Cosma e Damiano a Secondigliano «che ha distrutto i contenitori e annerito il muro di cinta e il campanile della chiesa che risale al Cinquecento.

«Resto perplesso sulla decisione dei dipendenti dell’Azienda sanitaria per l’igiene ambientale (Asia), dei quali condivido le motivazioni, ma non la forma di protesta. Mi auguro che questi episodi non si verifichino più». L’assessore all’Ambiente della Regione Campania, Giovanni Romano stigmatizza l’astensione dal lavoro proclamata due giorni fa dai lavoratori dell’azienda di igiene urbana partenopea Asia e dell’ex Consorzio unico che ha causato gravi di disagi a Napoli. «I lavoratori hanno tutto il diritto di pretendere la retribuzione – prosegue Romano – ma le criticità si superano tutti insieme e non con azioni come questa, che danneggiano la città anche dal punto di vista turistico». L’assessore sottolinea che «il sistema dello smaltimento dei rifiuti in Campania regge e reggerà per almeno 24 mesi, periodo che dovremo utilizzare per stabilizzare la situazione. Mi preme chiarire che non siamo in emergenza».

Il procuratore aggiunto di Napoli, Aldo De Chiara, osserva che «questo è l’effetto di una scelta politica che ha spostato il baricentro della gestione del ciclo dei rifiuti urbani dai Comuni alle Province. Credo ci siano le condizioni per rivedere questa normativa e concepire degli interventi radicali perché un settore così delicato deve passare tra le competenze di altri soggetti politici».

L’Unità 18.06.10

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“L’inchiesta in frantumi per tutelare il miracolo”, di Claudia Fusani
C’era una volta l’inchiesta Rompiballe, la squadra di super Guido Bertolaso che doveva togliere i rifiuti dalle strade di Napoli finita sotto inchiesta per falso, truffa e traffico illecito di rifiuti. Era maggio 2008, due anni fa. Di quell’inchiesta già allora pronta per andare a processo, oggi sono rimasti quattro rivoli e solo l’idea, prossima e ventura, di un processo. Non più a Napoli, ovviamente, bensì a Roma. Miracoli delle procedure, degli avvocati. E del potere di certi imputati. Nel maggio 2008 Napoli era sommersa dai rifiuti e Berlusconi, appena tornato al governo, aveva una gran voglia di fare. Preferibilmente miracoli. Tirò fuori bacchetta magica e apprendista stregone. E Bertolaso, nominato sottosegretario con delega e poteri speciali per i rifiuti, sgomberò le strade di Napoli e periferia in quattro e quattr’otto. Aprendo discariche in qua e in là e avviando i motori del termovalorizzatore di Acerra (inaugurato a maggio 2009). Un miracolo, appunto. Un miraggio, sarebbe più corretto dire guardando la situazione nelle strade di Napoli oggi. L’incanto del miracolo fu rotto quasi subito, a maggio 2008 appunto, con l’inchiesta Rompiballe relativa a dieci anni di emergenza rifiuti a Napoli dove le “balle” sono le ecoballe che, confezionate dopo accurate selezioni negli impianti di Cdr, avrebbero dovuto rifornire il termovalorizzatore di Acerra. Solo che le “balle” selezionate erano «un mucchio di merdaccia» come disse in una memorabile intercettazione telefonica Marta Di Gennaro, la vice di Bertolaso nella prima emergenza rifiuti gestita dal capo della Protezione civile, commissario speciale tra gli ultimi mesi del 2006 e il luglio 2007 prima di alzare bandiera bianca e lasciare il tutto nelle mani del prefetto di Napoli Alessandro Pansa. Il cuore dell’inchiesta Rompiballe era proprio questo: «Un sistema imperniato su un’attività di lavorazione dei rifiuti assolutamente fittizia» scrisse il gip Saraceno nell’ordinanza con cui accoglieva le richieste dell’aggiunto De Chiara e dei pm Noviello e Sirleo. Altro che ecoballe, solo spazzatura impacchettata. Una mega truffa oltre che un danno per la salute pubblica. Con queste accuse furono rinviate a giudizio 25 persone, tra cui Marta Di Gennaro. I commissari Bertolaso, Catenacci e Pansa erano tra gli indagati. Con una battaglia che si è trascinata fino al Csm, il procuratore di Napoli Giandomenico Lepore ha stralciato (24 luglio 2008) le posizione dei sei commissari. «Per approfondimenti» disse lui. «Per evitare conseguenza di tipo politico» precisarono aggiunto e sostituti. Bertolaso interrogato in procura a Napoli nel maggio 2009, in pieno miracolo all’Aquila, ammise: «Sapevo che gli impianti non producevano ne’ ecoballe ne’ fos, servivano solo alla riduzione volumetrica dei rifiuti». Ora quel maxi processo è diviso in quattro fascicoli. Il filone principale, già a dibattimento, è finito a Roma davanti al gup per un nuova richiesta di rinvio a giudizio. I funzionari della Fibe sono a giudizio a Napoli. Prefetti e commissari, le posizioni stralciate dal procuratore tra cui Pansa e Bertolaso, sono stati archiviati per le accuse più gravi. Resta in piedi solo una contravvenzione. Bertolaso l’aveva detto: «Nei mesi roventi di Napoli avevo due sole sponde istituzionali: il procuratore Lepore e il cardinal Sepe». Lo stesso che, a suo dire, gli procura la casa in via Giulia. Ma questa è un’altra inchiesta.

L’Unità 18.06.10