cultura

"Ma quel compenso non è equo", di Giuseppe Mazziotti

L’estensione indiscriminata del cosiddetto equo compenso per la copia privata a tutti i dispositivi provvisti di memoria hardware altera irrimediabilmente il principio di proporzionalità tra l’entità del prelievo e le riproduzioni per uso personale realizzate dagli utenti. Perché il provvedimento resti nell’ambito del diritto d’autore e non configuri un mero aiuto di Stato alle grandi case discografiche e cinematografiche, è necessario introdurre limitazioni che assicurino trasparenza nella ripartizione del compenso e un’adeguata protezione dei consumatori.
Da internet.
La “copia privata” è un’eccezione al diritto d’autore che, anche per ragioni di tutela della riservatezza, permette al consumatore che acquista legittimamente un esemplare originale di una registrazione audio o video di copiare tale registrazione per fini strettamente personali e non commerciali senza l’autorizzazione dei titolari dei diritti. L’eccezione non si applica dunque alle copie digitali di registrazioni protette da diritti d’autore che gli utenti delle reti di file-sharing scaricano e scambiano tra loro, ben oltre la propria sfera privata e, nella maggioranza dei casi, senza le necessarie licenze. Nell’ambito di questa eccezione, il cosiddetto “equo compenso” costituisce un risarcimento preventivo che la legge riconosce ai titolari dei diritti per coprire le perdite da questi sofferte per la mancata autorizzazione delle copie private.
Prima dell’entrata in vigore di un decreto del ministero dei Beni e delle attività culturali emanato il 30 dicembre 2009 e noto alle cronache come “decreto Bondi”, al prelievo dell’equo compenso erano soggetti strumenti e supporti dedicati specificamente alla riproduzione e alla memorizzazione di contenuti musicali e audiovisivi, per esempio i masterizzatori, i cd-r e i dvd-r). (1) Ora, invece, per effetto di un’interpretazione molto ampia di una delega legislativa introdotta nella legge sul diritto d’autore nel 2003, il decreto estende il prelievo a tutti gli strumenti elettronici dotati di una memoria hardware, anche se non dedicati, in modo specifico, alla riproduzione e archiviazione di musica e video (computer, decoder, notebook, dispositivi hardware fissi e mobili, compresi i telefoni cellulari, lettori multimediali portatili, chiavette Usb e altro ancora). (2)
Nel sistema della copia privata, è la Società italiana autori editori (Siae) che, per espressa disposizione di legge, raccoglie periodicamente i prelievi dai soggetti obbligati – produttori e importatori dei supporti e degli apparecchi soggetti al prelievo – e li suddivide tra i vari titolari dei diritti seguendo una logica di ripartizione per comparti (audio e video). Da un punto di vista economico, l’estensione del prelievo ha l’effetto di incrementare il gettito dell’equo compenso gestito dalla Siae, che negli ultimi anni è diminuito sensibilmente a causa del calo delle vendite dei dispositivi e dei supporti analogici sui quali era tradizionalmente applicato: dagli oltre 72 milioni di euro del 2005 si è giunti ai 44,5 milioni del 2009.

PERCHÉ È NECESSARIO PROCEDERE A LIMITAZIONI DEL PRELIEVO

Estendendo in maniera indiscriminata il prelievo a tutti i dispositivi provvisti di memoria hardware, il decreto Bondi ha finito per aggravare l’intrinseca iniquità del sistema e minare alla radice il principio di proporzionalità tra i compensi prelevati su una gamma molto più ampia di prodotti e le copie private realizzate attraverso di essi.
Sin dalla sua istituzione in Italia, nel 1992, l’equo compenso si è tradotto in un sistema di remunerazione a dir poco approssimativo, in virtù dell’adozione di criteri presuntivi di ripartizione sganciati da qualsiasi riferimento concreto o attendibile a ciò che i consumatori copiano effettivamente con gli strumenti gravati dal prelievo. Infatti, la Siae suddivide discrezionalmente i compensi per la copia privata a titolo di ripartizioni supplementari calcolate in proporzione ai rendiconti delle classi di utilizzazione “Dischi” e “Radiofonia” che, ancora oggi, a dispetto dell’avvento delle tecnologie digitali e di Internet, sono quelle maggiormente remunerative nella gestione collettiva dei diritti d’autore. Ciò a beneficio esclusivo dei titolari di diritti d’autore che detengono posizioni dominanti in tali settori, e cioè i grandi editori musicali e le case discografiche di loro proprietà. Senza una modifica da parte della Siae dei criteri di ripartizione attuali che tenga in debita considerazione le utilizzazioni digitali (e cioè la distribuzione commerciale di contenuti attraverso il web e la telefonia cellulare), l’applicazione del decreto Bondi avrà l’effetto paradossale di tassare tutti i moderni dispositivi e supporti digitali di riproduzione per premiare economicamente i proprietari di contenuti veicolati attraverso strumenti e canali tradizionali (i dischi e le radio).
Per evitare distorsioni nel mercato e garantire equità tanto ai titolari dei diritti quanto ai consumatori, sarebbe sufficiente rispettare un principio, sancito nella legislazione europea sul diritto d’autore, secondo cui il prelievo deve essere limitato ai soli dispositivi di riproduzione digitale che siano utilizzati presumibilmente per realizzare copie private. Dello stesso avviso si è mostrato l’avvocato generale della Corte di giustizia europea nelle conclusioni presentate l’11 maggio scorso nell’ambito di un caso portato di fronte alla Corte dall’Audiencia provincial de Barcelona per valutare la legittimità del sistema spagnolo di prelievo dell’equo compenso, anch’esso indiscriminato. (3)
Per adeguare la legislazione italiana alle regole europee, pertanto, il ministero dei Beni culturali dovrebbe inserire misure correttive nel decreto Bondi coinvolgendo nella riforma tutti i portatori d’interessi, consumatori compresi. Occorre limitare il prelievo ai dispositivi utilizzati in misura preponderante per la riproduzione di contenuti musicali e audiovisivi e creare specifiche esenzioni dal prelievo nei casi in cui il consumatore abbia già pagato un compenso per la copia privata o non sia in grado, tecnicamente, di realizzarla per l’apposizione di misure anticopia efficaci. Senza queste correzioni, il compenso avrà davvero le caratteristiche di una tassa (e non di un diritto) e potrà essere considerato alla stregua di un aiuto di Stato ai produttori discografici e cinematografici in crisi, a spese di alcune categorie produttive e della generalità dei consumatori, da mesi in rivolta contro il decreto Bondi.

(1) Vedi decreto ministeriale di cui all’art. 71-septies della legge 22 aprile 1941, n. 633, recante “Determinazione della misura del compenso per copia privata”, ministero per i Beni e le attivitculturali, 30 dicembre 2009 (entrato in vigore il 14 gennaio 2010).
(2) Vedi art. 71-septies della legge 22 aprile 1941, n. 633, introdotto con il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68 (“Attuazione della direttiva 2001/29/Ce sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”). Salvo che per computer e telefoni cellulari (il cui compenso è fisso), il decreto commisura l’entità del prelievo alla capacità di memorizzazione di ciascun supporto o dispositivo. Per effetto del decreto Bondi, per esempio, alla fine di aprile 2010 il prezzo di un iPod classic da 160 gigabyte è salito da 229 a 247 euro e quello di un più modesto iPod shuffle da 2 gigabyte è arrivato a costare 61 euro rispetto agli originari 55.
(3)C-467/08, Sociedad General Autores y Editores (SGAE) c. PADAWAN S.L., Conclusioni dell’avvocato generale Verica Trstenjak, 11 maggio 2010.