politica italiana

"Le tensioni dentro il Pdl allungano ombre su tutto il centrodestra", di Massimo Franco

Lo scontro Fini-Berlusconi è il sintomo di un progetto in affanno

In questi giorni non si sta esaurendo soltanto l’ultimo legame politico e personale fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Più passa il tempo, più appare in affanno il progetto del Popolo delle libertà, come movimento che doveva unire e contaminare le identità del centrodestra diverse dalla Lega. Dal punto di vista numerico, è vero quanto ha affermato ieri il sottosegretario a Palazzo Chigi, Paolo Bonaiuti: «Il dissenso all’interno del Pdl fa capo solo ad una piccola minoranza», rispetto ad un’«enorme maggioranza». Ma politicamente, il partito del premier sta subendo colpi che presto potrebbero comprometterne l’identità e suggerire nuove soluzioni. Berlusconi lo sa bene. Per questo ieri ha riunito solo i vertici degli ex di Fi. Ed ha ribadito che il Pdl è nato per «sconfiggere la vecchia logica delle correnti e della partitocrazia, da qualunque parte provengano». Ma la moltiplicazione dei gruppi è un sintomo. Conferma la sensazione che il centrodestra sia abitato da progetti e ambizioni troppo diversi per convivere ancora a lungo.

Lo scontro sulle intercettazioni; le faide siciliane dentro il centrodestra; la ribellione contro la manovra economica e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, da parte dei governatori, guidati da Roberto Formigoni; l’ipotesi, o forse la speranza che Fini possa approdare altrove: sono tutti indizi di una scommessa unitaria in bilico. Nel centrodestra ci si affronta senza il timore che l’alleanza si rompa perché l’opposizione è debole e l’alternativa non si vede; ma anche perché cresce il sospetto che il Pdl sia un contenitore temporaneo, vittorioso alle elezioni politiche del 2008 e tuttavia precario nella percezione dei suoi stessi fondatori. È come se il patto sul quale è stato fondato fosse stato rimesso in discussione, perché le cose sono andate diversamente dalle aspettative. Berlusconi sembra convinto di poter fare a meno di Fini: di «questo» Fini, come in passato ha dimostrato di poter prescindere dai centristi dell’Udc. E l’ex leader di An conferma senza volerlo la deriva accentuando ogni distanza e resistendo al tentativo di cacciata. Ormai la domanda non è più se presidente del Consiglio e della Camera prenderanno strade diverse, ma quando e come celebreranno l’addio.

L’effetto di questa bomba a tempo è di trasformare un partito pensato come il perno della stabilità in un moltiplicatore di tensioni e di spinte centrifughe. Al punto che la rivolta degli enti locali contro la cura drastica proposta da Tremonti con il sostegno delle istituzioni e degli altri governi europei assume significati ambigui. Non si capisce fino in fondo se nasca soltanto dall’impossibilità di sostenere riduzioni di spesa così rilevanti; oppure se alle difficoltà oggettive si saldi il calcolo di marcare un territorio politico limitato per proteggersi da un quadro nazionale sfilacciato. Quando Formigoni minaccia la restituzione delle deleghe al governo, ufficializza uno scontro con Palazzo Chigi e soprattutto con Tremonti che non è facile governare; e proprio dalla Lombardia che è il cuore del potere berlusconiano e leghista. La richiesta di fiducia decisa da Berlusconi sulla manovra può essere letta anche come il tentativo di neutralizzare questi calcoli dettati dagli interessi locali; e di spostare nel tempo qualunque esito traumatico di uno scontro politico e di leadership che all’elettorato deve apparire lunare nel suo autolesionismo. Ma le piccole crisi virtuali che si susseguono senza sbocco, e a distanza sempre più ravvicinata, testimoniano il baricentro perduto dal centrodestra. E la riunione di ieri con gli ex «azzurri» evoca senza volerlo anche l’esistenza di una corrente berlusconiana. È una situazione che consente a governo e Pdl di galleggiare; ma, almeno finora, non di affrontare con fiducia e determinazione il resto della legislatura.

Corriere della Sera del 07 luglio 2010