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La campagna porta a porta del Pd «Ecco cosa diremo sull’economia», di Stefano Fassina

Chiariamo subito il PD non teme le elezioni anticipate. Detto questo, è bene ricordare che in un quadro segnato da una grave crisi economica e occupazionale, da una legge elettorale mortificante per gli elettori e per gli eletti, le elezioni anticipate sono un grave atto di irresponsabilità della politica nei confronti del Paese. Davanti a uno scenario politico di tale incertezza, è chiaro che non si può restare in attesa delle mosse dell’avversario.
Come indicato da Bersani nei giorni scorsi, di fronte all’implosione della maggioranza, il
Pd accelera il percorso politico-programmatico avviato con l’assemblea nazionale del 21 e 22 maggio scorsi e lancia una mobilitazione porta a porta, casa per casa, azienda
per azienda, facoltà per facoltà, scuola per scuola per raccontare ai cittadini italiani, ai lavoratori, agli imprenditori, agli studenti, il bilancio fallimentare del decennio berlusconiano e, in particolare, degli ultimi due anni di Governo. Oggi, la scusa per l’inadempienza sulle riforme e per i drammatici tagli ai diritti dei cittadini (dalla scuola al trasporto pubblico locale, dalle integrazioni al reddito all’assistenza agli anziani) e ai servizi per le imprese (ad esempio, il finanziamento dei Consorzi Fidi), inferti mediante lo strangolamento di Comuni, Province e Regioni, è la più grave crisi economica degli ultimi 80 anni. Ma è proprio così? È vero che non si poteva fare altrimenti per contenere il “terzo debito pubblico più grande del mondo”? No, non è vero. Gli stessi obiettivi di deficit si sarebbero potuti raggiungere con soluzioni diverse.
Due esempi da raccontare nel porta a porta. Il primo. Per raccogliere 5 miliardi, invece di tagliare i servizi sociali, si sarebbe potuto innalzare l’imposta ai grandi evasori per l’immorale condono sui capitali all’estero: portare l’aliquota dal 5 al10%ci avrebbe lasciato ancora distanti dagli altri Paesi Ocse, i quali hanno scontato le sanzioni, ma confermato aliquote del 40-45%, senza garantire anonimato e sospensione dell’obbligo di segnalazione antiriciclaggio. Secondo esempio. Alcuni tasselli di una strategia di
riforme fiscali si possono realizzare senza attendere la messianica “Grande Riforma” evocata da Tremonti. Si può almeno fare quanto fatto nel Regno Unito dal conservatore Cameron: innalzare l’aliquota sui capital gain, sui redditi da capitale, da noi tra i più bassi dell’intera area Ocse. Il Governo Cameron l’ha portata dal 18 al
28%. Il Pd ha più volte propostom di portarla dal 12,5 al 20%. Il maggior gettito può avviare il taglio delle tasse sui i redditi delle famiglie che non arrivano alla quarta settimana. Un’operazione di equità, ma anche di sostegno ai consumi, alla domanda
interna e all’attività produttiva e all’occupazione. Insomma, Berlusconi, oltre a curare i suoi affari, ha fatto, insieme a Bossi, Tremonti, Sacconi, politiche di destra, a svantaggio dei lavoratori e di una vasta area di classi medie. Ecco la ragione di fondo per mandare a casa non soltanto Berlusconi, ma il berlusconismo imperniato sull’asse Bossi-Tremonti.

L’Unità 23.04.10