attualità, politica italiana

"Padani senza bussola", di Marcello Sorgi

Accompagnata dai lazzi e dallo scherno di tutti gli altri partiti, scettici già da martedì sull’eventualità che Bossi sulla Libia facesse sul serio, la crisi della Lega è esplosa tutta insieme ieri con un rincorrersi di dichiarazioni che prima sembravano ammorbidire la rottura sui bombardamenti e poi via via l’hanno confermata. Il paradosso è che il capogruppo alla Camera Reguzzoni nel giro di un paio d’ore ha offerto al governo un ramoscello d’ulivo e subito dopo, smentendo se stesso, ha confermato la linea dura ufficializzata dalla Padania, che per l’intera notte, a quanto ha raccontato il direttore Boriani a Paola Saluzzi su Sky, ha potuto usufruire di un collaboratore d’eccezione: il Senatùr in persona, rimasto in redazione a smaltire i fumi di rabbia che la conclusione del vertice italo-francese e la completa acquiescenza di Berlusconi a Sarkozy gli avevano provocato. Ma il sarcasmo di partiti e osservatori non fa purtroppo il conto con le conseguenze del travaglio del Carroccio, in cui si mescolano chiaramente elementi personali oltre che politici. Bossi è ormai un leader più carismatico che esecutivo. Le sua presenza è spesso intermittente, sotto di lui non esiste uomo o struttura che possa esercitare supplenze di alcun tipo. In un sistema politico che richiede continue prese di posizione e reazioni a tempo di Internet, la Lega, in attesa che il leader si pronunci, allinea fin troppo spesso dichiarazioni contraddittorie o alla rinfusa, che richiedono robuste e continue correzioni di rotta. Tra le file inquiete del Carroccio è anche possibile riconoscere, se non proprio correnti, aree diverse: il cerchio magico che circonda il Senatùr, composto dai capigruppo Reguzzoni e Bricolo e dalla vicepresidente del Senato Rosi Mauro, l’ala istituzionale che fa capo a Maroni, al governatore del Veneto Zaia e alla schiera dei sindaci quarantenni, i battitori liberi come Calderoli e, su un piano diverso, Borghezio.

Per fare un solo esempio, e per non parlare solo della Libia, il fatto che dopo l’intervista in cui Galan attaccava Tremonti si siano dovute aspettare quarantotto ore per leggere sulla Padania una difesa del ministro che è considerato il punto di riferimento leghista nel partito berlusconiano, e che la stessa presa di posizione non abbia poi trovato grande eco nelle file del Carroccio, la dice lunga sulla confusione che regna all’interno del principale alleato di governo del Cavaliere. Così che la Lega, per com’è messa, non può certo aprire una crisi di governo. Ma neppure essere di grande aiuto a governare.

La Stampa 28.04.11