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"P3, ecco tutti i guai del Pdl subdola rete di regali e favori", di Claudia Fusani

Non è una geometrica potenza di immediata percezione. Una di quella associazioni a delinquere di cui capisci subito forza e spessore. La P3 è subdola ed è questa la sua forza: riesce ad insinuarsi ovunque grazie all’invito al convegno in località di lusso, a cene e colazioni, regali di Natale e altri favori. Ovunque purché serva. L’obiettivo è sempre lo stesso: aumentare le rete di potere, assumere informazioni, condizionare decisioni a favore del gruppo. L’arricchimento è uno degli obiettivi ma non il più importante. Anzi, prevale su tutto il potere di controllo. Le sessantamila pagine depositate dall’aggiunto Capaldo e dal sostituto Sabelli ai difensori dei venti indagati raccontano questo lento ma progressivo insinuarsi nei meccanismi della vita pubblica per condizionarli, dalla nomina di un amministratore locale in Sardegna per garantirsi gli appalti per l’eolico, a quella di un magistrato in un ufficio che poi potrà tornare sempre utile; dall’inserimento dei candidati nelle liste fino a veri e propri condizionamenti nel funzionamento e nelle decisioni della giustizia ai massimi livelli, dalla Corte di Cassazione a quella Costituzionale passando per procure e corti d’Appello. Sono otto i fatti reato contestati agli indagati (di cui 14 hanno la violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete). Di questi ben cinque hanno a che fare con la magistratura. Due con la segnalazione di candidati. Uno è il grande business dell’eolico in Sardegna, da dove a metà 2009 era partita l’inchiesta.

Le grane del Pdl, da Verdini a Dell’Utri. Quattro su venti. Sono i parlamentari del Pdl coinvolti nell’inchiesta con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla costituzione di una loggia segreta, alla corruzione, all’abuso d’ufficio e all’illecito finanziamento. Un problemino in più per il segretario politico del Pdl Angelino Alfano che ha inserito Verdini nella Comitato delle regole che dovrà riscrivere i fondamenti del partito.

La vicenda dell’eolico in Sardegna è lunga e complessa. Ed è, si legge nell’atto di chiusura indagini, uno dei modi individuati dall’associazione per procurarsi liquidi e danaro. Gli imprenditori forlivesi Alessandro Fornari e Fabio Porcellini avrebbero «fornito il sostegno economico al sodalizio (la P3, ndr) e necessario a realizzare il piano industriale di intervento nel settore delle energie rinnovabili, a creare la provvista necessaria destinata alla corruzione dei pubblici funzionari e ai finanziamenti illeciti in favore di membri del Parlamento». Ciò facevano, si legge sempre nell’atto, «versando ripetutamente a Carboni (Flavio, già membro della P2, ndr), a Denis Verdini (coordinatore del Pdl, l’uomo delle liste, ndr), Marcello Dell’Utri e Massimo Parisi (coordinatore pdl in Toscana) somme ingenti di danaro per un totale di 6 milioni che prelevavano dalle casse di società da loro gestite e trasferivano a Carboni e agli altri associati con la complicità di prestanomi».

Gli amministratori sardi, Farris (direttore generale dell’Arpa), Cossu (presidente del consorzio Tea) e Garau (dirigente Area ambiente del comune di Porto Torres) «mettevano a disposizione le loro funzioni pubbliche per assicurare il buon esito alle iniziative imprenditoriali, nel settore dell’eolico, intraprese dal sodalizio». Tomassetti, Pau, Scanu Concas, autista e fidanzate di Carboni, sono i prestanomi utilizzati per le complesse operazioni finanziarie che iniziano nel 2005, coinvolgono la Ste (Società che edita Il Giornale in Toscana) e passano per lo più dagli sportelli della ex banca di Verdini (il Credito cooperativo toscano) e da quelli dell’agenzia Unicredit di Iglesias. Il meccanismo sembrava oliato alla perfezione ma poi l’inchiesta giudiziaria ha stoppato tutto alla fine del 2009. Verdini ha sempre sostenuto, anche un anno fa in una burrascosa conferenza stampa, che le accuse sono tutte infondate, «banali operazioni di trasferimento di danaro». Lo ripete anche oggi: «Tutto ciò è surreale». Intanto Bankitalia, la cui ispezione era nata dall’inchiesta fiorentina sui Grandi Appalti, ha multato gli ex membri del Cda della banca per un totale di 650mila.

Assolta la magistratura. Le toghe di ogni ordine e grado sembravano il vero scandalo dell’inchiesta: nomine condizionate, sentenze aggiustate, rivelazione di notizie riservate, dalla Corte Costituzionale fino Csm passando per il ministero della Giustizia. Erano almeno dieci i magistrati coinvolti, tra quelli indagati e quelli sentiti come testimoni. Alla fine sembra dover pagare “solo” l’ex presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone.

Per lui i pm vogliono chiedere il processo per corruzione in atti giudiziari: avrebbe, come presidente, rinviato alle Sezioni Unite della Corte, prendendo tempo e cercandone il condizionamento, la decisione sulla vertenza Mondadori-agenzia delle entrare (alla fine la casa di Segrate ha pagato solo il 5 per cento di arrestati che doveva allo Stato) e per l’allora viceministro Nicola Cosentino che si opponeva presso la Corte all’arresto per contiguità con la camorra. In cambio Carbone chiedeva un incarico per quando da lì a poco sarebbe andato in pensione.
Curiosamente, l’atto di citazione cita questi e anche tutti gli altri episodi, a cominciare da quelli che hanno riguardato l’esclusione prima e la riammissione poi delle liste di Formigoni alla regionali 2010 e la richiesta da parte del governatore, direttamente a ministro e sottosegretari, di inviare gli ispettori alla Corte d’Appello di Milano. Ma l’accusa ha addebitato le pressioni “solo” a Pasqualino Lombardi e ad Arcangelo Martino. Con la motivazione che in fondo, pur dopo tante richieste e trattative, quelle richieste non sono andate a buon fine. Comportamenti eticamente non corretti. Ma penalmente non perseguibili.

L’Unità 10.08.11