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25 aprile, ora la rivolta corre sul web «Non rubateci la storia», di Roberto Brunelli

C’è chi, come il sindaco di Senigallia, dichiara la «disobbedienza civile»: «Qui il 25 aprile lo festeggeremo lo stesso». E c’è chi – e sono tanti -manda il suo avvertimento al governo: «Il 25 aprile e il 1° maggio non si toccano». Rubare la storia? Non si può. Questione
di simboli, di valori, di identità di un paese. Chiedete ad un americano, solo per fare un esempio, cosa succederebbe se la Casa Bianca proponesse di spostare il 4 luglio, giorno dell’Indipendenza, al 6 luglio. Chiedete ad un francese, se gli dicessero che la presa della Bastiglia non si festeggia più. E allora, non cui si può certo stupire del fatto che l’Italia si ribelli al norma inserita nella manovra «lacrime e sangue» che delibera lo spostamento del 25 aprile, del Primo maggio e del 2 giugno, ossia la loro soppressione de facto come giorni festivi: sul web la protesta corre veloce, da nord a sud si registrano appelli e raccolte di firme, prendono posizioni politici, partigiani, intellettuali. A Senigallia, il sindaco Pd dichiara che opporrà una forma di «disobbedienza civile»: «Qui il 25 aprile lo festeggeremo lo stesso». È che certe scelte non arrivano mai per caso, non sono mai neutre: e allora vien da pensare male, visto che in ballo ci sono l’antifascismo, la Liberazione, la lotta partigiana, il lavoro, gli elementi fondanti della carta costituzionale, di continuo strattonata dall’attuale compagine di governo. Ovviamente l’Anpi si è mossa per prima, raccogliendo le firme, e subito si sono mossi tanti pezzi di società civile. Perché la festa dei lavoratori, la liberazione dal nazi-fascismo e la festa della Repubblica sono «simboli di beni comuni, di un patrimonio che appartiene a tutti e che come tale va tutelato». Vieppiù che dall’applicazione della norma non scaturirebbe alcun vantaggio economico, anzi. Secondo il calcolo dell’associazione degli operatori turistici – che non ha esitato a rivolgersi al ministro Brambilla – l’accorpamento delle feste laiche alla domenica costerà 6 miliardi di euro in termini di fatturato. La Federalberghi, dal canto suo, osserva come il teorico aumento della produttività che scaturirebbe dallo spostamento delle feste corrisponderà anche una depressione dei consumi. Complimenti, bella manovra davvero. Si fa sentire il Pd («si sostiene che serve per aumentare la produttività, manon sono forse ‘più produttivi’ i valori che quelle date rappresentano?», si chiede Roberto Montanari della direzione nazionale del partito), e si preparano gazebi e raccolte di firme alle feste dell’Unità. Invita alla mobilitazione l’associazione Articolo 21: «Il segnale è inequivocabile: vogliono cancellare gloriose pagine di storia. Di quella storia combattuta dagli italiani per riconquistare la libertà cancellata dal fascismo, per darsi una struttura statuale libera e democratica, per costruire sul lavoro il proprio presente e il futuro». A proposito di Articolo 21, dicono il suo portavoce,Beppe Giulietti, ed il senatore Pd Vincenzo Vita: «Puzza di veccia ideologia questa manovra: di voglia di regolare i conti con la Costituzione, con lo Statuto dei lavoratori e persino con la memoria storica. Anche per questo è invotabile».
UN PAESE SENZA STORIA
Tra gli altri, appoggia l’appello dell’Anpi l’astrofisica Margherita Hack: «Dobbiamo opporci a questa vergogna. Con la scusa del risparmio si procede nella direzione di voler cancellare quelle che sono state le tappe più significative della recente storia d’Italia, della riconquista della democrazia, delle lotte partigiane dopo la buia parentesi della dittatura fascista e delle leggi razziali». Improbabile che Tremonti si legga quel che esce sul web. Ma quel che scrive Ginseng73 è una sintesi perfetta: «Un paese che non rispetta la propria storia finisce per essere un paese senza storia. Ed è lì, nel vuoto dei valori, che nascono le pagine più buie». Ecco
perché è vietato rubare la storia.

L’Unità 18.08.11

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