attualità, cultura

"Una volta era servizio pubblico ora vogliono liquidare la Rai", di Natalia Lombardo

L’idea di mezza estate rilanciata da Formigoni come toccasana per appianareil debito pubblico, quel «privatizziamo la Rai», è stata da molti derubricata a vera «stupidaggine». Ne è convinto il consigliere Giorgio Van Straten, sia per la difesa del «servizio pubblico, che esiste in tutti i paesi europei», sia perché «non taglierebbe il legame con la politica». Semmai si dovrebbe discutere «della qualità del servizio pubblico: come si fa? Con quali risorse?», anche se non pensa che possa fare la fine dell’Alitalia. Ma la Rai sta venendo via via svuotata, oppressa dal conflitto d’interesse, Santoro e Ruffini sono andati via per esasperazione. «Un’azienda avrebbe dovuto far di tutto per tenere Santoro, è una perdita grave». Ancora non colmata nella prima serata di RaiDue, se non da Criminal Minds…
Inquadra il problema Luigi Zanda, vicecapogruppo Pd al Senato ex consigliere a Viale Mazzini: «Negli ultimi anni c’è stata una degenerazione dello spoil system, non solo nelle testate o nelle reti, ma con la trasmigrazione di dirigenti da Mediaset alla Rai, dove hanno troppo potere persone vicine alla concorrenza, il che ha abbassato violentemente la qualità dell’informazione e dello spettacolo sia alla Rai che in Mediaset». La privatizzazione? «Una sciocchezza, un’idea da Ferragosto», afferma Zanda, «la Rai sarebbe
deprezzata perché non è mai stata di livello così basso, e prima si dovrebbero emanare delle serie norme antitrust e gli organi di controllo dovrebbero infliggere pene più severe. E poi la pubblicità finirebbe ancora di più sulle tv a danno della carta stampata».
L’estate la Rai è vuota. L’informazione va in villeggiatura, chiude i
battenti come le scuole. Riapre a metà settembre, se va bene. In quest’estate anomala, infuocata dalla crisi, a reggere il testimone dell’approfondimento (appena tamponato il vuoto da un tardivo calendario di servizi sui tg), sono stati Linea Notte del Tg3, che non si è mai interrotto, e RaiNews, che ha anche assicurato le dirette dal Parlamento per l’intervento di Tremonti e interviste ai leader politici, purtroppo nel cono d’ombra del più scintillante (con risorse senza pari) SkyTg24.
LETTERA DI RICHIAMO A MINEO
Eppure al direttore di RaiNews, Corradino Mineo, invece dell’approvazione da parte dell’azienda, salvo due righe ieri, è arrivata una lettera del direttore generale, Lorenza Lei, nella quale si minacciavano sanzioni se avesse parlato di nuovo con i giornalisti, dopo un’intervista al Fatto quotidiano. La direttiva del silenzio
Rai imposta dall’ex Dg Cattaneo. L’Italia è l’unico servizio pubblico
in Europa ad andare in ferie. Alla fine del secondo periodo di garanzia (nel quale si ingolosiscono i pubblicitari a comprare spazi negli appetibili programmi), dopo la prima settimana di giugno, tutti si rilassano, i talk show chiudono (nonostante la disponibilità sia di Floris che di Lucia Annunziata, solo Ballarò si è «allungato» per
un po’). Motivo? Costerebbe troppo prolungare i contratti ai collaboratori delle redazioni, è la scusa, quando le strutture tecniche sono comunque pagate tutto l’anno. «Un errore di cui abbiamo discusso nel Cda», prosegue Van Straten, «perché su La7 va avanti In onda e la Rai è ferma?». Oppure nello speciale Tg1 di domenica scorsa si è parlato della Madonna di Medjugorje…
Nelle tv pubbliche europee? «Euronews durante l’estate non interrompe gli approfondimenti, la Newsroom continua», spiega Pierluigi Malesani, presidente del consiglio di sorveglianza di Euronews, il canale europeo di informazione, «le uniche repliche, ma di programmi più interessanti, sono di scienza e cultura quando i lavori di Bruxelles sono sospesi». Da noi, invece, non si scampa dalle repliche di Sissi e la Rai vanta «il record in prima serata per il Commissario Rex». Salvo aver regalato a Mediaset, martedì, il sorpasso di ascolti in prima e seconda serata.
«In Inghilterra la Bbc non fa differenza tra estate e inverno, neppure
alla radio», prosegue Malesani, «l’approfondimento di Newsnight va in onda tutte le sere alle 20,30 sulla Bbc2, poi c’è il settimanale di un’ora Panoramae i tg sulla Bbc1. I paesi latini invece seguono il summer block, il periodo di chiusura scolastica: si fermano i talk show con conduttori di prestigio – in Francia da luglio a metà agosto,
in Spagna fino a tutto agosto, in Germania, che latino non è, fino al 10 agosto – ma gli approfondimenti nei tg continuano». Da noi da giugno a metà settembre è tutt un summer block…
E a settembre le grane torneranno al pettine per Lorenza Lei: il direttore del Tg2 da nominare, come sollecita l’Usigrai; a ottobre andrà via Ruffini da RaiTre (in pole Maria Pia Ammirati, vicina alla dg); la testata regionale difende l’edizione serale. Le reti si svuoteranno, tra le 150 e le 180 persone passeranno nella mega direzione Intrattenimento nelle mani di Giancarlo Leone, dal quale dipende tutto, da Sanremo (di certo c’è «il perno » Gianni Morandi, in alto mare il contratto col Comune) allo show di Fiorello su RaiUno. È la divisione in generi avviata da Lei, la Dg che, in nome della logica aziendale, sta compiendo le mission che Masi fallì: come eliminare Santoro e Ruffini e far contento Berlusconi…

L’Unità 19.08.11

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“Vendere la Rai? Ci perde la democrazia”, di Giorgio Merlo

Ci mancava solo Formigoni a dirci che adesso occorre vendere la Rai a Murdoch. Come se uccidendo la Rai, liquidando il servizio pubblico e archiviando quel poco che resta del pluralismo nel nostro paese facessimo una cosa buona e giusta. Forse Formigoni non sa – anche se credo che lo sappia benissimo – che se si procede a privatizzare la Rai, come vuole anche quell’altro campione di garanzia e di pluralismo che è Fini, la conclusione è abbastanza chiara: si indebolisce il profilo della nostra democrazia e si consegna il mercato dell’informazione al mercato. Sì, proprio al mercato.
Cioè a chi se ne infischia del pluralismo, dell’imparzialità dell’informazione, del giornalismo di inchiesta, della qualità della sua programmazione e di tutto ciò che contribuisce a definire la presenza di un servizio pubblico radiotelevisivo.
È questo che vuole Formigoni?.
Conosciamo già chi persegue il disegno liberale e democratico (sic!). Da Fini a Delle Vedova a tutti coloro che in nome di una maldestra modernizzazione pensano che rinunciando a chi ha il dovere di garantire il pluralismo dell’informazione si faccia un passo in avanti sul terreno della libertà e del mercato.
Semmai, e al contrario di ciò che sostengono questi modernizzatori da strapazzo, quello che oggi va sventato è il disegno politico di chi punta a liquidare la Rai senza dirlo apertamente ma agendo in modo traversale, se non speculare.
E la scelta recente di Paolo Ruffini di lasciare la direzione di Raitre per accedere alla guida de La7 ha rimesso nuovamente in discussione il futuro del servizio pubblico radiotelevisivo nel nostro paese. Una scelta, quella di Ruffini, che è il frutto anche del pesante condizionamento subito in questi anni con la gestione dell’ex direttore generale Masi. Una scelta, però, quella di oggi, totalmente autonoma e libera che denuncia anche lo stato di difficoltà in cui versa attualmente la Rai. Malgrado la netta discontinuità introdotta dal nuovo direttore generale Lorenza Lei, è indubbio che ci troviamo ad un bivio: o la Rai riesce a recuperare uno spazio di mercato e di autorevolezza capaci di ritagliare uno spazio decisivo per il ruolo di un servizio pubblico nel campo radiotelevisivo oppure la prospettiva di una decadenza, seppur mitigata nel tempo, sarà sempre più irreversibile. Su questo versante si gioca la sfida dei prossimi mesi. Dalla programmazione dei palinsesti, alla garanzia di un autentico pluralismo, dalla qualità dei suoi programmi alla professionalità dei suoi artisti e lavoratori.
Sono tanti gli ingredienti che contribuiscono a comporre il mosaico della Rai. I “santoni”, specie se milionari, non sono indispensabili ma la qualità della sua programmazione non può essere barattata con la insopportabile subalternità alla maggioranza politica di turno.
Eppure, se vogliamo essere seri e non limitarsi alla recita della solita litania, non possiamo non denunciare un doppio scacco che oggi può mettere al tappeto la Rai. E la stessa vicenda Ruffini non ne è affatto esente.
C’è, insomma un doppio rischio che va denunciato e smontato. E poi, eventualmente, si può ripartire. Da un lato non possiamo non denunciare, seppur per l’ennesima volta, la volontà politica pervicace della destra berlusconiana di ridurre gran parte della Rai ad un semplice strumento a disposizione della maggioranza politica. Sono troppi, purtroppo, gli esempi che si possono e che si potrebbero fare. E lo dice una persona che non ha mai creduto ai “martiri” all’interno della Rai che si sacrificano, a suon di miliardi ieri e di milioni oggi, a garantire la libertà di informazione per tutti noi. No, non siamo ridicoli e non cadiamo nella goffaggine.
Ma è indubbio che in questi anni di berlusconismo, gli episodi che hanno costellato la Rai e il destino del servizio pubblico sono prevalentemente ascrivibili al radicale controllo politico e alla voglia di estromettere quelle voci che, più di altre, garantivano libertà di informazione, vero giornalismo di inchiesta, tutela del pluralismo e imparzialità stessa nella programmazione. E di fronte a questa situazione, che risponde ad una sola parola “conflitto di interessi”, abbiamo il dovere di reagire con forza e determinazione lavorando affinché questa anomalia, tutta italiana, finisca al più presto.
Ma, accanto a questa pesante ed ormai insopportabile anomalia, ce n’è un’altra che non possiamo non evidenziare. Ovvero, il disegno di altri settori politici di rafforzare la concorrenza nei confronti della Rai, potenziando ad esempio La7 o Sky. Un disegno, ovviamente legittimo, ma che non possiamo, almeno per onestà intellettuale, non denunciare.
Un disegno che si sostanzia sempre con nobili principi e grandi convincimenti ma che poi si traduce, come vuole giustamente il mercato, in sontuosi contratti e voglia di competizione.
E il rafforzamento di La7 e di Sky con l’ex personale Rai come si può spiegare se non con questa volontà di fare concorrenza al servizio pubblico? Insomma, per opposti motivi e con finalità diverse, l’obiettivo resta però comune: ovvero, la Rai va prima indebolita e poi ridimensionata.
Un disegno politico che unisce due opposti ma che poi converge nell’obiettivo comune.
Si può assistere in silenzio a questo doppio disegno politico? Non credo, come non credo che adesso i vertici aziendali possano limitarsi a parare il colpo.
Serve una strategia d’urto capace di invertire la rotta e capace soprattutto di far capire, attraverso la programmazione dei suoi palinsesti e i contenuti del suo progetto editoriale, che il servizio pubblico non è un optional o un mero ricordo del passato, ma un investimento concreto per continuare a produrre pluralismo, libertà e qualità dell’informazione.
Senza questo servizio pubblico, insomma, si corre il serio rischio di consegnare un’informazione definitivamente addomesticata e legata a gruppi editoriali e finanziari che non hanno tra le loro priorità la difesa del pluralismo e della libertà di informazione. Che è, stando alle dichiarazioni di Formigoni, Fini e compagnia cantante, ciò che vogliono ampi settori della politica italiana. Un disegno da sventare prima che sia troppo tardi.

da Europa Quotidiano 19.08.11