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"La fatica del testimone", di Mario Calabresi

Domenico Quirico è un maratoneta, è abituato a lunghi silenzi e noi siamo abituati ai suoi. Accade perché vuole risparmiare le batterie del satellitare, perché sta seguendo una storia, cercando un contatto o perché non vuole dare nell’occhio. A marzo per molti giorni ha vissuto rinchiuso in una casa di trafficanti di uomini, dietro la spiaggia tunisina di Zarzis, aspettando che il mare si calmasse, aspettando di partire insieme ad altri 112 alla volta di Lampedusa. Ventidue ore di viaggio su un barcone scrostato di 10 metri.

Un viaggio silenzioso, con naufragio finale, per capire e raccontare cosa spinge migliaia di disperati a sperare un’altra vita. Così ieri non ci siamo preoccupati del suo telefono muto, fiduciosi che verso sera sarebbero arrivati il suo reportage e la sua voce. Martedì, poco prima di mezzanotte, era riuscito a chiamare il giornale per raccontare del terribile viaggio di dieci ore per raggiungere i sobborghi di Tripoli e per spiegare che avrebbe dormito insieme al collega di Avvenire, Claudio Monici, in una casa «in mezzo al nulla» che gli aveva trovato l’autista. Poche ore prima dalla cittadina di Zawiya, sulla strada per la capitale, aveva dettato il suo pezzo.

Ieri mattina sarebbero finalmente entrati nella Tripoli conquistata dai ribelli e così lo spazio a pagina tre era pronto per il suo racconto. Ma poco dopo le 18 siamo stati avvisati che poche ore prima lui e Monici erano stati rapinati e poi sequestrati insieme a due inviati del Corriere della Sera, Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina.

Le notizie che abbiamo prima di andare in stampa sono poche, sappiamo però che sono in buone condizioni e sono tenuti in un appartamento della capitale da uomini che sembrerebbero essere legati al regime di Gheddafi.

Stiamo cercando di capire le motivazioni di questo sequestro e il nostro governo ha attivato tutti i suoi canali per valutare come arrivare alla loro liberazione.

Mai come in questi giorni, lo confermano i ferimenti dei giornalisti francesi di ieri, la situazione è caotica e pericolosa per chi vuole raccontare cosa sta accadendo in Libia. Domenico Quirico è una persona di grande esperienza, capace di muoversi in Africa (pochi giorni prima di Ferragosto era nella zona della grande carestia tra Somalia e Kenya) e nelle situazioni di guerra, ma non ha mai amato fare vanto delle fatiche che stanno dietro ogni pezzo spedito.

In momenti come questi anche ai lettori diventa chiaro che le notizie, le immagini, quei racconti che trovano ogni mattina, hanno dietro notti insonni, rischi, viaggi stremanti, difficoltà e tensioni che raramente appaiono. Così come sono oscuri il lavoro e i rischi di autisti, guide e traduttori. Non siamo certi della sorte dell’autista di Domenico, anche se temiamo abbia pagato con la vita la colpa di aver accompagnato giornalisti italiani.

E’ questo il nostro mestiere: il senso e il valore di andare sui luoghi, anche nel tempo di Twitter e Facebook, per dare ancora spazio «all’arrogante volontà di capire e raccontare», per usare le parole di Domenico.

Questa notte siamo tutti in ansia e vicini alle famiglie di questi nostri quattro amici, sperando solo che possano tornare al più presto a fare quello che li ha condotti fino alle porte di Tripoli: osservare e raccontare.

La Stampa 25.08.11