attualità, politica italiana

"Intercettazioni, il Colle blocca il blitz", di Barbara Fiammeri

La notizia comincia a spargersi nel pomeriggio, quando si apprende della convocazione di un Consiglio dei ministri attorno alle 20 «per un urgente adempimento». Ufficialmente si tratta della proroga del Capo di Stato maggiore dell’Esercito. Ma da ambienti della maggioranza si parla anche di un’accelerazione sulle intercettazioni, di un «blitz» sotto frorma di «decreto legge» per bloccare l’ondata di conversazioni che vedono implicato il premier, a partire da quelle sul presunto ricatto ordito dall’accoppiata Lavitola-Tarantini.
Berlusconi si sente pressato. Gli brucia ancora l’invito di comparizione fattogli pervenire ad Arcore dai Pm napoletani, che stanno indagando sulla presunta estorsione. A presentarsi davanti ai magistrati però non ci pensa proprio: «È una trappola», continua a ripetere mandando Niccolò Ghedini in avanscoperta. Nel frattempo riprende quota l’idea di bloccare «l’ondata di fango» su giornali e tv. La rilancia davanti al Capo dello Stato. Giorgio Napolitano gli fa capire che di un decreto non è neppure il caso di parlare. Il Cavaliere inzialmente sembra intenzionato ad andare comunque avanti ma poi in serata desiste e nella riunione del Cdm si limita a ribadire che «la prima legge che gli italiani vogliono è quella sulle intercettazioni». Per ora meglio rinunciare. Anche perché più di qualcuno gli ha fatto capire che uno scontro con il Colle in questo momento sarebbe probabilemente un suicidio e peraltro inutile, «visto che se il Quirinale non firma il decreto, le intercettazioni – come spiega un parlamentare assiduo a Palazzo Grazioli – continuerebbero a uscire forse più di prima». Ma è una decisione che il premier matura solo con il passare delle ore, corredata dalla smentita di Palazzo Chigi sul presunto «blitz» e dal silenzio totale del Quirinale.
Subito dopo l’incontro con Napolitano va infatti alla Camera per il voto di fiducia sulla manovra. Si intrattiene con i deputati in aula, li rassicura, si lancia in un’arringa contro gli «arresti preventivi», citando il caso del «povero Papa rinchiuso a Poggio reale», garantendo che «non si ripeterà» con riferimento al voto imminente su Marco Milanese, e poi – dopo alcuni incontri con ministri e aspiranti sottosegretari – guadagna rapidamente l’uscita per rientrare a Palazzo Grazioli. Di lì a poco in via del Plebiscito arriverà anche il ministro della Giustizia Nitto Palma. Il premier sonda il Guardasigilli. Con lui fa il punto anche su quanto sta avvenendo a Napoli. Il Pdl ha presentato ben due interrogazioni parlamentari in cui si richiede l’invio degli ispettori per la fuga di notizie e anche per verificare le reali intenzioni dei magistrati, che hanno chiesto al premier di presentarsi in qualità di testimone.
«Non ci vado, mi vogliono incastrare», sarebbe stato il ragionamento del Cavaliere che non è affatto propenso a un faccia a faccia con i Pm. Almeno non a queste condizioni. «La nostra decisione è correlata anche ai comportamenti della procura», spiega Niccolò Ghedini. In sostanza, Berlusconi a questo punto vuole le garanzie che vengono accordate solitamente agli indagati, ovvero la presenza dell’avvocato e anche la possibilità di riservarsi il diritto di non rispondere, ipotesi non prevista per chi è interrogato in veste da testimone che può essere per questo accusato di reticenza o falsa testimonianza. È un braccio di ferro destinato a protrarsi anche nei prossimi giorni. E che non piace al Quirinale, da sempre preoccupato per l’acuirsi della tensione tra politica e magistratura e ancor di più in questa fase.
Il timore principale del premier restano però le intercettazioni. Il tabloid tedesco Bild ieri riportava il gossip sulla presunta telefonata del premier italiano con Tarantini nella quale avrebbe «insultato» il cancelliere tedesco Angela Merkel «in modo volgare». Un tam tam che potrebbe minare in modo irrimediabile e pericoloso la tenuta dell’esecutivo. Il voto su Milanese sarà una sorta di prova generale. La Lega tentenna e i maroniani ieri facevano capire di non essere affatto intenzionati a salvare il deputato del Pdl.
Berlusconi si mostra in pubblico sorridente. «Non abbiate timori, non c’è niente che possano tirare fuori, andremo avanti perché a questo governo non ci sono alternative», continua a ripetere, aggiungendo di essere certo dell’arrivo di «altri 6-7 deputati» nella maggioranza.

IL Sole 24 Ore 15.09.11

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Berlusconi ci prova, il Colle non “ascolta”, di Mariantonietta Colimberti

Il capo dello stato stoppa l’ennesimo blitz sulla giustizia del presidente del consiglio.
Una mezz’ora. Minuto più, minuto meno, tanto è durato l’incontro tra il capo dello stato e il presidente del consiglio accompagnato al Quirinale da Gianni Letta. Una necessità, innanzitutto di immagine, per Silvio Berlusconi reduce dalla trasferta europea anti-giudici con annessi insulti all’opposizione.
Il consueto compito istituzionale per il sottosegretario alla presidenza, descritto da chi l’ha visto negli ultimi giorni come «molto preoccupato» per il ruolo crescente della Cina nell’economia italiana. Ma anche, secondo indiscrezioni raccolte nel centrodestra, per un nuovo tentativo del Cavaliere di riproporre l’idea di un decreto anti-intercettazioni.
Un’ipotesi che Napolitano non ha la minima intenzione di avallare. In serata, Paolo Bonaiuti ha smentito che il governo stesse per varare in serata un provvedimento sulle intercettazioni ma l’indiscrezione sul tentativo di Berlusconi è assolutamente confermata.
Dunque, Giorgio Napolitano ha preso atto di quanto il premier gli ha riferito sugli incontri bruxellesi e strasburghesi, e sulla manovra economica che subito dopo sarebbe stata approvata con la fiducia alla camera. Un punto fermo è stato posto, dopo oltre un mese dall’allarme agostano.
L’ultima occasione in cui Berlusconi era salito al Colle era stato, infatti, l’11 agosto, alla vigilia del varo della manovra di Ferragosto.
Allora, oltre al fido Letta, c’era Giulio Tremonti. Napolitano era rientrato in anticipo dalle vacanze e si era messo, di fatto, alla testa dell’emergenza che stava travolgendo il paese. Da allora altri eventi si sono succeduti. E altre misure annunciate, smentite, cambiate. Non convertite dal parlamento. I mercati ballavano e Berlusconi, tra un vertice e l’altro, sconfessava il ministro dell’economia mentre la maggioranza, Lega in testa, procedeva in ordine sparso.
Saliva, in quei giorni, la preoccupazione del capo dello stato. Il meeting di Rimini fu l’occasione per un discorso forte, un richiamo al «linguaggio della verità» non parlato abbastanza, una denuncia della «criticità della situazione» non sufficientemente riconosciuta. Ne ebbe, Napolitano, per «le forze di maggioranza e di governo dominate dalla preoccupazione di sostenere la validità del proprio operato, anche attraverso semplificazioni propagandistiche», ma anche per «le forze di opposizione» per aver ricondotto «ogni criticità della condizione attuale del paese » a «colpe del governo».
Ieri il capo dello stato ha ascoltato quel che Berlusconi aveva da dirgli. Ancora nei giorni scorsi, a Palermo, aveva richiamato la priorità della crescita, tema «che si pone all’ordine del giorno in maniera stringente, per non dire drammatica». Berlusconi ha assicurato che il governo «si misurerà» con questa esigenza. Come, non è chiaro, viste le divisioni nella maggioranza e l’assenza di una bussola nelle mani ferme di un responsabile.
Lo sguardo del Quirinale, comunque, resta lungo oltre i confini italiani. Molto più di quello di ieri era durato – due ore circa – l’incontro tra Napolitano e Mario Draghi, reduce dalla riunione del G7, il giorno dopo il venerdì nero e le dimissioni di Jürgen Stark dalla Bce.
Del resto entrambi, il presidente della repubblica e il governatore della Banca d’Italia e prossima guida della Banca europea, stanno da tempo spendendo la loro credibilità internazionale per contenere gli effetti di una crisi di cui non si avverte ancora l’affievolirsi.
Sulla «dimensione globale» delle «sfide» attuali Napolitano è tornato anche nel messaggio inviato ieri alla riunione del Forum Eu-Us legal economic affairs: «Il consolidamento dell’euro è una priorità essenziale per l’Europa – ha scritto – ma costituisce anche un interesse vitale per l’economia mondiale». Non è escluso che ieri al Quirinale si sia parlato dell’altro grande (e urgente, nonché spinoso) tema sul tappeto: la scelta del successore di Mario Draghi.

da Europa Quotidiano 15.09.11