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"Danimarca, la manovra di Helle", di Mariella Gramaglia

Quarantaquattro. Dieci. Novantasei. Tre numeri che, se in Danimarca esiste qualcosa di simile al lotto, le elettrici dovrebbero correre a giocare. 44 è l’età della nuova giovane primo ministro, Helle Thorning Schmidt. Dieci gli anni durante i quali i socialdemocratici, oggi guidati da lei, sono rimasti fuori dal governo. 96 quelli trascorsi dal primo suffragio davvero universale del Paese, quello femminile. Quasi un secolo, ma speso benissimo, si direbbe. Oggi Copenaghen sembra un gineceo. Una regina concede alla giovane Helle l’incarico di formare un nuovo governo di coalizione che, per reggersi in piedi, dovrà convincere della solidità del suo programma altre due signore: la leader dei social-liberali, più moderata di Thorning Schmidt, e quella assai più radicale della Lista per l’unità, una sorta di Sinistra e libertà in versione scandinava.

Se tutte quante saranno all’altezza della sfida, lo dirà il futuro. Per ora Helle propone un programma classicamente di sinistra: più tasse sulle banche e sui redditi alti per finanziare la ripresa economica, la sanità e l’istruzione. Con un corollario inedito, però. Ogni danese dovrà regalare alla collettività, qualunque sia il suo salario, 12 minuti al giorno del suo tempo di lavoro. A ben vedere si tratta di un’ora alla settimana, o di una mezza giornata al mese, ma comunicativamente è geniale. Chi non è disposto a regalare al suo Paese il tempo di un caffè o di una telefonata trascinata, se questo giova a tutti? Certo, i conti pubblici si risanano in altro modo. Però aumenta il Pil e migliorano i servizi senza costi aggiuntivi e i cittadini hanno detto di sì.

Helle Thorning Scmidt è la quarta primo ministro nel nostro piccolo e antico continente. Su Angela Merkel, che con il potere e l’autorevolezza intimorisce 495 milioni di abitanti dell’Unione, tranne uno su cui è meglio sorvolare, c’è poco da aggiungere. Ma pochi sanno di Jadranka Kosor, eletta primo ministro della Croazia il 6 luglio 2009, a soli diciotto anni dalla proclamazione dell’indipendenza.

E ancor meno di Micheline Calmy Rey, socialista e presidente della Confederazione Elvetica fino al dicembre prossimo. In Svizzera, ultimo Paese dell’Europa geografica in cui le donne hanno conquistato il voto nel 1971, la presidente della confederazione non conta granché, ma almeno le mamme hanno un modello più moderno di Heidi da proporre alle loro bambine. Nel 2012 le donne premier potrebbero diventare cinque: sono iniziate ufficialmente le primarie francesi e Martine Aubry sembra battersi bene con Hollande, più attenta al mondo ambientalista, più preoccupata dei rischi del nucleare che la cultura politica e industriale francese ha sempre minimizzato.

Non sono né sante, né navigatrici, né eroine. Probabilmente commettono molti errori e non hanno trovato la pietra filosofale per risolvere i problemi del continente per il fatto di esser donne. Semplicemente sanno leggere, scrivere e far di conto e per questo, non per la loro grazia e disponibilità, riempiono le prime pagine dei giornali nei rispettivi paesi.

E noi? Ridotti a dividerci in due partiti. Quelli che considerano Manuela Arcuri un’eroina per essersi sottratta alle lusinghe del nostro presidente del Consiglio e quelli che pensano sia solo abile ad alzare il proprio prezzo nel suk erotico del nostro scontento. Un povero italo-danese, commentando sulla rete gli eccessi di eleganza della sua neo-premier, scriveva ieri: «È un peccato veniale, l’importante è che nel tempo libero non si travesta da suora».

E se le donne che il 13 febbraio scorso hanno scosso dal torpore milioni di italiane e di italiani si facessero sentire di nuovo? Non per sottolineare ancor più la mestizia boccaccesca in cui tutti affoghiamo, ma per giocare un gioco un più ambizioso. Prendano i 54 miliardi di euro della manovra di Tremonti, immaginino di sedere a Palazzo Chigi e al ministero del Tesoro e ci spieghino che cosa avrebbero fatto se avessero governato. Lo so, non è ora. Ma ci sarà pure un «quando» anche a casa nostra.

La Stampa 18.09.11