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"Strategie di sopravvivenza", di Lucia Annunziata

Le donne saudite potranno votare. Quasi come dire che gli asini potranno volare, o i cani parlare. Uno strano ma vero, che, ancora una volta, e nella più estrema delle circostanze (l’Arabia Saudita), prova che nelle società attuali la questione femminile è la cruna d’ago della politica. Di politica, anzi di Superpolitica, si tratta infatti: il diritto delle donne saudite che finalmente viene riconosciuto è il pezzo centrale di una tela che re Abdullah sta tessendo per prevenire la protesta della primavera araba nel suo Paese, e per consolidare il fronte delle monarchie sunnite contro l’Iran. Un peso geopolitico non da poco per quel che appare come un semplice diritto civile, ma così è: concedendo ieri alle donne di votare re Abdullah ha fatto tutte queste mosse insieme.

Sapevate, intanto, che l’unica protesta della primavera araba che ha lambito il Regno è stata fatta da donne? Nella nazione dove queste donne hanno bisogno di un permesso scritto da un guardiano uomo (padre, marito, fratello o anche figlio) per lavorare, partire, o sottoporsi a interventi medici, il braccio di ferro della libertà si è concentrato sull’obiettivo di poter guidare la macchina. Una vecchia battaglia delle saudite, questa del volante libero, che però negli anni ha sempre visto le protagoniste arrestate. Come è successo ancora lo scorso mese, con l’arresto di una 32enne che aveva guidato e messo su Internet il video. Solo che negli ultimi mesi la semplicissima protesta non si è mai fermata.

Ieri l’annuncio, in cui il re in prima persona ha detto di non «voler emarginare le donne», e ha messo in chiaro che il permesso da lui dato ha l’appoggio totale dei clerici. Dunque anche i rigidissimi ulema sauditi, quei custodi della versione più rigida della tradizione conosciuta come wahabita, appaiono convinti.

Una decisione salutata nel Paese e nel resto del mondo arabo, nonché a Washington, dove abita un segretario di Stato, Hillary Clinton, notoriamente sensibile a queste cose, come un segno di cambiamento epocale.

Ma se epocale è, lo è, come si diceva, perché è un purissimo indicatore politico. Con questo gesto infatti il re procede su un percorso che ha intrapreso da mesi, nel tentativo di non essere inghiottito dalle sabbie mobili della primavera araba, all’interno e all’esterno della sua nazione.

La decisione sui diritti delle donne mirata anche a raggiungere e compiacere il mondo occidentale dove l’Arabia Saudita ha i suoi migliori alleati – gli Usa innanzitutto – è solo l’ultima di una serie di mosse. In primavera, il re ha stanziato 93 miliardi di dollari in sostegno alla occupazione e ai servizi, pensando soprattutto allo scontento della popolazione sciita, che abita la zona Est del Paese dove si trovano numerosi pozzi petroliferi.

Ancora maggiore è stato l’attivismo del regno in politica estera. L’Arabia Saudita in primavera ha inviato il suo esercito – una violazione del diritto internazionale che si è preferito non rilevare – in Bahrein, per disperdere con la forza le proteste che assediavano la monarchia locale, sunnita come quella saudita. Nella casa dei Saud ha trovato ospitalità per tre mesi il Presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, in fuga dalla sua nazione, oggi sull’orlo della guerra civile, e dove è tornato questa settimana – con una mossa cui si guarda con certa apprensione da Washington. Lo Yemen è un punto strategico per gli Stati Uniti per la profonda collaborazione stabilita negli ultimi anni fra la intelligence yemenita e la Cia nella lotta contro Al Qaeda che in Yemen ha importanti basi. In agosto, poi, re Abdullah ha rotto con la Siria, Paese alleato dell’Iran, guidando uno schieramento contro Damasco formato dalle monarchie sunnite.

Nell’insieme, dunque, l’Arabia Saudita sembra voglia mettersi alla testa di un fronte che cerca di fermare le rivoluzioni arabe nel Golfo, stringendo un patto fra sunniti per fermare la dilagante influenza iraniana che in parte queste rivoluzioni diffondono.

Ma forse il segno più sorprendente di questo attivismo saudita, è l’attivismo in sé. Il regno ha un peso internazionale enorme, per petrolio, alleanze e intrighi che sa muovere, ma ha sempre esercitato il suo ruolo secondo una strategia di segretezza, rimanendo sempre in secondo piano, preferendo la diplomazia della intermediazione a quella dei proclami. Il fatto che il re oggi si esponga, parli ai suoi sudditi, prenda decisioni clamorose, e vada in tv, è in sé l’indicazione che un cambiamento è già avvenuto: la misteriosa casa dei sauditi ha dovuto mettere la faccia sulla sua politica.

La Stampa 26.09.11