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"I mercati chiedono serietà", di Francesco Guerrera*

Era bello essere europei la notte del 31 dicembre del 2001. Io ero nella piazza principale di Maastricht, infreddolito ed emozionato, ad aspettare la «nascita» dell’euro con migliaia di altri concittadini d’Europa. Dopo anni di preparazione, la moneta unica di un continente che aveva combattuto innumerevoli guerre contro se stesso era pronta.

In poche ore, i bancomat da Helsinki a Patrasso avrebbero cominciato a rigurgitare la nuova divisa dell’Europa unita. Mi ricordo un’atmosfera più da festa popolare che da occasione storica nella cittadina olandese dove fu firmato il trattato che diede vita all’euro. Un concerto di musica folk, qualche fuoco d’artificio, molta birra. Ma il motivo per essere lì era comune, come la moneta: la voglia di celebrare un pezzo importante della storia dell’Europa. A quasi dieci anni di distanza, in Europa non fa festa più nessuno. Dopo un altro summit di parole vuote, speranze frustrate e promesse non mantenute – questa volta al Gruppo dei 20 di Cannes – il continente e la sua moneta sono alla deriva.

I mercati non sanno più cosa pensare. Gli investitori e gli operatori di Borsa a cui ho chiesto cosa avrebbero fatto una volta di fronte ai loro schermi questa mattina non sembravano avere la più pallida idea. «Siamo esausti», mi ha detto un operatore di New York. «Se i governi e i burocrati non sanno come risolvere la situazione, come possono pensare che i mercati capiscano cosa stia succedendo?». Parole gravi. Il rischio più grande per l’Unione Europea – e l’economia mondiale – in questo momento non è la recessione, e nemmeno un calo nel valore dell’euro, ma la rassegnazione dei mercati.

Fino ad ora, le Borse mondiali, e persino gli investitori in beni del tesoro di gran parte dei Paesi europei, ci hanno voluto credere. Nonostante tutto, fino a venerdì sera i mercati ancora speravano che i potenti europei non fossero capaci di affondare un intero continente con i loro tentennamenti. La frase che ho sentito più spesso nelle mie visite ai piani nobili di Wall Street quando esprimevo le mie preoccupazioni sull’Europa è stata: «Ma dai, stai tranquillo che in un modo o nell’altro la situazione si risolve». La psiche Usa – razionale, semplice, ottimista e non esperta di politica interna slovacca e plebisciti greci – non riusciva a concepire altra soluzione.

L’accordo del 26 ottobre – prima del «Papandemonio» creato dall’annuncio-suicidio del referendum – ha fatto salire i mercati alle stelle nella speranza che un default «controllato» della Grecia, la ricapitalizzazione di molte banche europee e la promessa di misure di austerità avrebbe messo fine ai travagli degli ultimi due anni. Dopo il nulla di fatto del weekend, però, l’ottimismo molto «americano» dei mercati sta perdendo il braccio di ferro con l’incompetenza molto «europea» dell’Ue. I politici stanno giocando con il fuoco. La fiducia dei mercati è, come la donna del Rigoletto, «qual piuma al vento», può scomparire in un istante. E perdere la fiducia degli investitori – che fino ad ora hanno tollerato, e sottoscritto, le magagne europee – in questo momento sarebbe catastrofico.

I numeri non sono molto incoraggianti. Partiamo dall’Italia, il Paese che, dopo la disperata Grecia, è nelle peggiori condizioni in questo frangente. I tassi d’interesse sui beni del Tesoro hanno raggiunto livelli mai visti nell’èra dell’euro, nonostante il fatto che la Banca centrale europea – guidata dal «nostro» Mario Draghi – stia furiosamente comprando il debito italiano per abbassarne l’interesse. Il balzo nei tassi ha due conseguenze, una contabile e l’altra psicologica. Dal punto di vista dei conti, il governo italiano – o quello che passa per il governo italiano – deve pagare sempre di più per finanziare le sue spese, un bruttissimo segno per un Paese che deve rinnovare circa 300 miliardi di euro di debito nel 2012.

La ripercussione psicologica è forse peggiore: i tassi d’interesse sui beni del Tesoro sono il contatore geiger delle paure degli investitori. Il messaggio dei mercati è chiaro: l’Italia è a rischio. Il Belpaese non è solo, ma in questo caso mal comune non dà nessun gaudio. Con la Grecia ormai data per persa, l’attenzione degli operatori e, diciamolo pure, degli speculatori si sta spostando su Paesi di ben altra stazza come l’Italia ma anche Spagna e Francia. Le parole incaute di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel la settimana scorsa sulla possibilità che la Grecia potesse uscire dall’euro – un’idea impensabile fino a pochi mesi fa – hanno minato un’altra sicurezza degli investitori e aperto un vaso di Pandora di angosce sull’implosione della moneta unica. Il sistema bancario è, come sempre, il meccanismo di trasmissione del panico dei mercati e il crollo nelle azioni delle banche dei Paesi-guida dell’Europa è un segnale che non deve essere trascurato.

I due rilevatori-chiave nei prossimi mesi per decidere se il Titanic europeo è ancora a galla saranno i tassi d’interesse sul debito italiano e il prezzo delle azioni di Deutsche Bank o Bnp Paribas.

Cosa fare per rassicurare i mercati? La soluzione è semplice: opporre serietà e buon senso alle paure degli investitori. Far vedere al mondo delle imprese che c’è la volontà politica ed economica per attaccare i problemi. Mettere fine alla farsa quotidiana messa in scena a Bruxelles, Roma ed altre capitali europee.

Purtroppo il cast è da commedia di Ionesco: Berlusconi, Papandreou, Herman Achille Van Rompuy, «Sarkel» o «Merkozy» non sembrano in grado di cambiare registro e diventare attori seri. Ai numeri dei mercati – i 300 miliardi di euro di debito italiano nel 2012, il calo del 20% nella Borsa francese quest’anno, il 50% di perdite di chi ha Buoni del tesoro greci – non si possono opporre chiacchiere sui ristoranti pieni di gente o vaghe parole sull’austerità e la crescita economica.

Uno degli investitori più astuti che conosco, Mohamed ElErian, l’amministratore delegato di Pimco, il gigante californiano degli investimenti, riassume la situazione così: «I politici sono al volante, gli investitori sono sul sedile di dietro ed il parabrezza è completamente oscurato dalla nebbia». Evitare incidenti sta diventando sempre più difficile.

*caporedattore centrale del «Wall Street Journal» a New York

La Stampa 07.11.11