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"Donne pesa la crisi ma anche l'assenza di welfare mirato", di Claudio Tucci

L’occupazione femminile continua a perdere terreno. A novembre 2011 è calata dello 0,9% rispetto al mese precedente (ottobre 2011), e dello 0,7% nel confronto con novembre 2010. A differenza di quella maschile che, a livello tendenziale, rimane stabile. Mentre addirittura cresce (+0,4%) nella congiuntura. Il numero di donne senza lavoro aumenta del 6% a livello congiunturale, e del 5,2% su base annua.

E il tasso di disoccupazione femminile tra i 15 e i 24 anni, nel terzo trimestre 2011, schizza nel Mezzogiorno a un pericoloso 39 per cento (9,9 quella complessiva). La fotografia scattata ieri dall’Istat «non stupisce», ha sottolineato Paola Profeta, professoressa di scienze delle finanze alla Bocconi di Milano. La crisi ha invertito la tendenza che andava avanti dal 2000 di una (seppur modesta) crescita dell’occupazione femminile. «Ma da un paio d’anni questo non accade più. E in Europa siamo ormai maglia nera». Nei Paesi Scandinavi, ha ricordato Profeta, «esiste un sistema di stato sociale molto attento alla conciliazione lavoro-famiglia, con asili nido alla portata delle famiglie. In Germania ci sono sgravi fiscali specifici per la cura dei figli. E in Francia – e da qualche anno anche in Spagna – è stato rivisto l’istituto del congedo parentale per dare maggiore responsabilità genitoriale ai padri. Tutti aspetti che in Italia purtroppo faticano a decollare».

Da segnalare anche l’elevata crescita (+6%) tra ottobre 2011 e novembre 2011 delle donne disoccupate: «Potrebbe essere un effetto indiretto della crisi», ha detto Profeta: «Vale a dire un certo numero di donne che, per aiutare il bilancio familiare, esce dallo stato di “Neet” (di chi non lavora e non lo cerca) per entrare nella catalogazione Istat di disoccupato». Il punto, ha spiegato Andrea Ichino, economista all’Alma Mater di Bologna, è che serve «riequilibrare il carico di lavoro all’interno della famiglia. Le donne sono di solito lavoratrici a rischio per le imprese. E la strada degli incentivi alle aziende (per assumere donne) rischia di essere infruttuosa». Meglio quindi, ha rilanciato Ichino, prevedere «una riduzione dell’aliquota fiscale per le donne in sede di loro dichiarazione dei redditi. Ma nel caso in cui all’interno del nucleo familiare il salario e l’occupazione dell’uomo si siano ridotti».

Il Sole 24 Ore 06.01.12