attualità, partito democratico

"Ci giochiamo la credibilità", di Giorgio Merlo

Diciamocelo sottovoce ma con franchezza. I sondaggi danno il Pd in crescita – malgrado le difficoltà e le contraddizioni del momento – e, paradossalmente, all’interno del partito, non manca chi lavora per offuscarne l’immagine. Prima c’è chi invoca, di nuovo e per l’ennesima volta, la necessità di andare subito al voto e cacciare al più presto Monti. Non si sa se per arrivare prima al parlamento – ovviamente da parte del proponente – o per una reale esigenza del paese. Poi c’è chi sottolinea, altrettanto stupidamente, che il Pd è un partito “aperto”, e quindi “contendibile” e quindi “scalabile”.
Tradotto per i non addetti ai lavori: un partito che si può distruggere da subito. Anzi quasi si auspica questa soluzione. Infine ci sono coloro che, attraverso la famosa e ormai indecifrabile parola “modernizzazione”, attaccano a giorni alterni il gruppo dirigente, in particolare il segretario, reo di non parlare solo di primarie, democrazia partecipata ecc. ecc.
Insomma, un modo come un altro per indebolire indirettamente il Pd ed esporlo quotidianamente al linciaggio mediatico da parte dei professionisti del nuovismo. Ormai in costante crescita e sempre propensi, come accade puntualmente in Italia, ad andare in soccorso del potenziale vincitore. Ieri Berlusconi, oggi Grillo.
Ma, per fermarsi al Pd, forse è giunto il momento di richiamare alcuni paletti che sono e restano fondamentali se si vuole percorrere la strada di un partito che punta a governare il paese dopo l’archiviazione di una lunga ed anomala stagione politica, quella dominata dal berlusconismo appunto. Innanzitutto, senza una profonda unità del partito – di questo partito – ogni altra ipotesi per ridare credibilità alla politica, dignità ai partiti e rilevanza a chi governa è nuovamente destinata a cadere nel vuoto creando ulteriore disillusione e distacco con la cosiddetta opinione pubblica. Del resto, l’unità del partito non è la riproposizione di un rinnovato centralismo democratico né la scimmiottatura dei partiti a sfondo padronale e piegati ai voleri e ai desideri del guru, del comico e o del capo indiscusso di turno. Che si tatti di Berlusconi, o di Grillo, o di Vendola o di Di Pietro poco importa.
Il profilo è sempre quello e le concrete modalità di comportamento sono sempre le stesse. Cioè, chi dissente pubblicamente viene emarginato se non cacciato e chi mette in discussione la leadership è invitato a farsi da parte. No, l’unità del partito è, molto più semplicemente, la capacità di ricondurre a sintesi il confronto aperto che avviene nel partito e senza esporlo quotidianamente ad uno stillicidio di dichiarazioni e di prese di posizione l’una in contrasto con l’altra e sempre tese, purtroppo, a indebolire la credibilità e l’autorevolezza del gruppo dirigente.
In secondo luogo è persino patetico il tentativo di inseguire, e di cavalcare, tutte le parole d’ordine demagogiche e populiste che serpeggiano nella società. Come se, per apparire più moderni e più nuovi degli altri, ci sia l’eterno bisogno di contestare e di “processare” tutto ciò che appartiene al passato. Anche se recente. Dimenticando il detto del vecchio Nenni che «c’è sempre un puro più puro che ti epura ». E, oltretutto, che un partito di governo che si piega supinamente al vento della demagogia e della irresponsabilità è destinato, prima o poi, a manifestare la sua radicale inadeguatezza a svolgere proprio quel ruolo di governo del paese che pubblicamente rivendica.
In ultimo luogo, è bene ricordare che la “pluralità” del Partito democratico non può trasformarsi in quello che comunemente viene definito come un “casino”. La “pluralità” era e resta una specificità di questo progetto politico e va conservata come una ricchezza culturale che ha contribuito a dar vita ad un partito superando vecchi steccati e ormai vecchie ed antiquate contrapposizioni. Ma se questa si trasforma in una permanente e costante radicalizzazione di posizioni, oltre ad offrire una immagine confusa e perdente si consolida la convinzione che quel partito, cioè il Pd, è di fatto incapace a reggere l’urto del governo e della sintesi progettuale.
Ecco perché in questi mesi, proprio in questi mesi, si gioca la capacità di questo grande partito popolare, democratico e interclassista di confermarsi anche come un autentico partito di governo. Non in balia degli eventi ma capace, semmai, di leggere gli eventi e di saperli governare. Senza demagogia e senza avventurismi.

da Europa Quotidiano 07.06.12