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"L’Europa riparte da qui", di Raffaella Cascioli

Una vittoria di squadra per il futuro dell’Europa. Una vittoria in cui sarebbe sbagliato stilare una classifica, sebbene a imporsi siano stati due fuoriclasse italiani del calibro di Mario Monti e Mario Draghi. È principalmente a loro che si deve il primo, concreto e compatto, passo in avanti compiuto da tutti i partner europei verso una nuova idea di integrazione comunitaria che non dimentica la solidarietà, stimola la crescita e premia il rigore. Un risultato raggiunto dopo sette mesi e mezzo di duro lavoro, di mediazioni e di compromessi, di proposte concrete e di sangue freddo.
Sempre con un passo nell’abisso. Ma, in fondo, questa è stata da sempre l’Europa. Un’Unione in grado di reagire, anche con fermezza, con uno scatto in avanti solo quando sotto i piedi si allarga il baratro. E, ogni volta, ci sono sempre stati gli italiani, decisivi con la loro capacità di mediare, di far vedere ai francesi il bicchiere mezzo pieno e ai tedeschi quello mezzo vuoto. A far intravedere a tutti gli altri che in fondo, anche con i problemi di un paese con un forte debito pubblico sulle spalle, si può contribuire a un processo di integrazione in grado di far progredire l’idea stessa di un’Unione nata per garantire benessere e pace agli europei.
Quello che si raccoglie ora, con i mercati euforici pronti a festeggiare e lo spread sceso se non in cantina almeno al pianoterra, è il frutto di un lavoro certosino che i due Supermario hanno svolto da novembre scorso in Europa: l’uno alla guida della Bce e l’altro alla presidenza del consiglio italiano. Hanno lavorato per l’Europa e, in quest’ambito, anche per l’Italia: è questa la differenza tra loro e tutti gli altri. Hanno mostrato con le misure prese nei rispettivi ambiti che gli obiettivi europei possono essere utili e condivisibili per tutti i partner comunitari. Il primo con l’autorevolezza del banchiere centrale che gli veniva dall’aver guidato per anni, soprattutto quelli più drammatici della crisi finanziaria americana, il Financial Stability Forum e per aver rivoluzionato dalla Banca d’Italia il volto del sistema creditizio italiano. Il secondo in virtù, almeno all’inizio, più del passato da eurocommissario prima al mercato interno e poi alla concorrenza, che non da presidente del consiglio italiano. Eppure è proprio l’approfondita conoscenza dei meccanismi comunitari che è valsa a Monti da subito una capacità di mediazione tra la Germania della Merkel e la Francia di Sarkozy.
Nei mesi più duri dello scorso inverno, ci pensa Draghi ad interpretare la politica monetaria in modo diverso. L’idea è che di fronte alla crisi dei debiti sovrani, più finanziaria che di fondamentali, occorrano nuovi strumenti. E allora le iniezioni di liquidità della Bce a un sistema bancario europeo che non si fida più di se stesso. Misure poi prese in prestito da una Federal Reserve a corto di idee. Poco importa che nei paesi a forte debito quella liquidità non si trasferisca subito all’economia reale ma serva a disinnescare il rischio di mancati collocamenti dei titoli di stato che, in modo massiccio, diversi paesi europei, prima fra tutti l’Italia, nei primi quattro mesi dell’anno sono costretti a vendere.
Poi, è Monti che consente all’Italia di riallacciare legami con la Germania, considerata monolite del rigore, e nel contempo di mitigare le insofferenze di tanti paesi dell’Est Europa, stufi del direttorio franco-tedesco e di far incontrare le speranze degli inglesi di risolvere i loro problemi in una maggiore apertura del mercato unico con quelle dei paesi del Mediterraneo alle prese con una vera e propria recessione. L’incontro di più interessi con la volontà di includere e non di escludere: è questo il senso della lettera dei dodici capi di stato e di governo per la crescita voluta da Monti e firmata a marzo, tra gli altri, dal premier britannico e da quello polacco. È quello il secondo segnale che in Europa è cambiato il vento. Tanto più che l’Italia si presenta all’appuntamento con alle spalle misure draconiane, in grado di far dire a Monti che il Belpaese ha il diritto di parlare perché ha fatto i compiti a casa. Poi il vertice a tre a Strasburgo, la vittoria di Hollande, il G7 negli Usa.
Con un lavoro congiunto dei due Supermario presso i banchieri tedeschi e presso la coppia Merkel-Schauble, senza dimenticare Bruxelles dove la Commissione, ma soprattutto l’Europarlamento, sono stati informati passo passo. Un Europarlamento che ha tifato Monti fin dalle prime battute, consapevole di poter assumere quel ruolo chiave che pure i trattati gli riconoscono rispetto ai governi, solo ed unicamente se l’Europa imbocca definitivamente la strada del governo politico dell’economia.
Il resto è storia delle ultime settimane. Il G20 in Messico è stato decisivo, la chiave di volta del processo che ha portato il consiglio europeo di ieri ad adottare misure di breve e medio termine di portata storica. La Cancelliera non solo non ha detto no allo scudo antispread all’italiana, ma si è mostrata possibilista anche a quella che è di fatto un’unione bancaria europea. È stato lì che i due supermario hanno capito che la vittoria era vicina, che sui dettagli si poteva trattare ma che anche la locomotiva tedesca aveva iniziato a soffrire la crisi del sud d’Europa con le aspettative delle imprese germaniche scese sotto le previsioni degli analisti. A Roma c’è stato il grande palcoscenico della crescita con la grandeur francese di Hollande che ha potuto mostrare i suoi progressi, mentre i contatti di Draghi con francesi e tedeschi continuavano ad essere serrati.
Nei ultimi due giorni, il risultato: via libera al piano per la crescita e l’occupazione da 120 miliardi di euro, accelerazione sull’unione bancaria strenuamente voluta dalla Bce di Draghi, intesa sui meccanismi anti-spread proposti da Monti, accordo sugli aiuti diretti alle banche spagnole. Il tutto rassicurando i partner che per il momento non ci sarà cessione di sovranità, nonostante la Bce avrà la sorveglianza unica sugli istituti di credito mentre il fondo salvastati potrà procedere direttamente alla ricapitalizzazione delle banche. E sempre i due fondi potranno garantire la stabilità finanziaria della zona euro riducendo gli spread troppo elevati senza che i paesi virtuosi debbano essere sottoposti a ulteriori particolari condizioni, ovvero l’arrivo della famigerata troika (Fmi, Bce e Commissione Ue). La speculazione, d’ora in poi, è avvertita. Certo spetterà all’eurogruppo del 9 luglio stabilire le munizioni dei fondi salva-stati e definire i dettagli.
Non a caso la prossima settimana la cancelliera Merkel e metà governo tedesco saranno ricevuti a Roma da Monti. Ma questa è un’altra storia. Da oggi l’Europa riparte.

da Europa Quotidiano 30.06.12