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"Sisma emiliano, scosse inglesi", di Stefano Pitrelli

Imprenditori pronti a rimetterci per tenersi il cliente. Per quanto?. «Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?», chiedeva il matematico americano Edward Lorenz. Certo è che in questi giorni le crepe del sisma emiliano stanno lambendo le sponde inglesi, perché quella sotto i piedi dell’industria biomedica italiana – che trova il suo cuore nella devastazione di Mirandola – è un’unica grande e minacciosa faglia. Che l’Italia sta ignorando, a suo rischio e pericolo.
Tutto comincia in Inghilterra, con l’allarme lanciato dal ministero della salute britannico – riportato lunedì dal Financial Times e dal Telegraph– e da tre importanti ospedali londinesi: due designati per le Olimpiadi e uno pediatrico. Qui i macchinari per la dialisi, tutti firmati dall’americana Baxter, per funzionare adoperano indispensabili tubicini di gomma monouso. Parti che la multinazionale – con sedi in ogni continente – produce solo a Mirandola. Interpellata da Europa, la Baxter ora “corregge” quanto scritto in una lettera pubblica alla sanità d’Oltremanica, garantendo che i suoi due fornitori emiliani, la Bellco e l’Haemotronic, alla fine saranno comunque in grado di coprire il temporaneo buco di fornitura paventato dagli inglesi.
La vicenda testimonia la tenacia emiliana degli imprenditori del settore: pur di servire – e conservarsi – il cliente, confidano più fonti, «ci rimettiamo senza sapere quanto resisteremo». Disposti a produrre presso – o comprare da – i competitor di un tempo, imparentati nella disgrazia. Oppure ad uscire dalla regione, come ha dovuto fare l’Haemotronic attivandosi in Veneto per l’occasione (lo dicono dalla Baxter).
La storia londinese funge pure da termometro di quella febbre che sta colpendo, postsisma, la punta d’eccellenza del polo biomedicale mirandolese, dove delle 150 aziende (con un giro d’affari stimato intorno agli 800 milioni), almeno il 70 per cento, solo a fine maggio, aveva subito danni.
«Chi è venuto qui nei primi giorni non può saperlo: prima molti edifici da fuori parevano intatti – ci spiega Maria Gorni, presidente di Consobiomed – ora le facciate sono crollate. Il 98 per cento del biomedicale, fra Mirandola, Medolla e Cavezzo, ha dovuto dislocare la produzione. Non c’è praticamente un immobile agibile. Io ho finito di spostarmi a Brescia, chi a Bologna, chi a Modena o Rovigo». Tutti in cerca delle cosiddette “camere bianche”, i delicati e specialissimi ambienti di lavoro sterili in cui le aziende del settore fabbricano i propri prodotti. Ambienti resi inutilizzabili dal sisma. Così affittano corriere e ci trasportano i lavoratori.
Altri problemi invisibili ma concreti sono le macchine specialistiche adoperate. «Attendo una taglierina da due mesi – continua la Gorni – perché l’azienda che la produceva non può farmela.
Anche i tempi di riparazione degli apparecchi sono esplosi.
Da 15 giorni a tre mesi. Infine i nostri prodotti, essendo usa e getta, vanno imbustati, e la più grande delle aziende di Mirandola che lo faceva è crollata».
Anche da Assobiomedica, la Confindustria di settore, la diagnosi è seria. Come ci racconta Fernanda Gellona, «al momento c’è un solo problema: un’azienda terremotata non è stata in grado di portare avanti il rifornimento di un ospedale, e quindi è subentrato un concorrente». Gli industriali non sembrano però tentati da eventuali fughe all’estero. Dall’estero invece – e in particolare dagli Usa – la concorrenza si sta muovendo eccome: «Se entro settembre la filiera non risponderà alle attese, i clienti se ne andranno altrove», avverte Ermes Ferrari del centro studi della Cna. Anche il FT lo fa ben capire: «Agli ospedali è stato chiesto di considerare l’acquisto di macchinari che adoperino tubi diversi». Cioè non italiani. Sulle soluzioni possibili Assobiomedica parla chiaro: «Chiediamo alle banche un occhio di riguardo». Ma meglio di tutti lo diceva Mauro Mantovani, l’imprenditore del settore vittima della prima scossa sotto il suo capannone: le piccole aziende hanno come cliente primario la sanità italiana, e «i tempi di pagamento sono esasperanti».

da Europa Quotidiano 02.08.12