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"Europa, questione di democrazia", di Michele Ciliberto

Le dichiarazioni di Monti allo Spiegel, e le polemiche che ne sono conseguite sono molto utili. Esse, infatti, consentono di sollevarsi dalla dimensione feriale e quotidiana e di porsi domande di fondo, a cominciare da quella fondamentale: qual è l’idea di Europa per la quale ci battiamo e stiamo facendo i durissimi sacrifici che la crisi internazionale ha imposto a tutti i popoli europei, compreso il nostro?
La gravità della crisi di questi drammatici mesi ci ha distolto dalle questioni, e dalle interrogazioni, di ordine generale. D’altro canto, come dicevano gli antichi: primum vivere, deinde philosophari. Ma la discussione di ordine generale è importante e vale perciò la pena di chiarire alcuni punti essenziali.
L’Europa è il nostro comune destino, l’avvenire di tutti i popoli europei: se restasse chiusa nelle sue vecchie articolazioni statali, da un lato precipiterebbe in modo ineluttabile verso nuove forme di nazionalismo (come la storia recente ci ha mostrato ad abundantiam); dall’altro, si avvierebbe verso un sicuro declino, in un mondo che comincia ad essere dominato dalle grandi potenze asiatiche e percorso da sconvolgimenti che ricordano quelli che colpirono intere zone dell’Europa – a cominciare dall’Italia – quando il centro mondiale dell’attività economica e commerciale, dopo la scoperta dell’America, si spostò dal Mediterraneo all’Atlantico.
Da questo punto di vista sono stati fatti, senza dubbio, giganteschi passi avanti. Fine delle guerre fra gli Stati europei, eliminazione delle barriere doganali, libera circolazione degli individui, unificazione della moneta… Perfino Kant, il teorico della pace perpetua, resterebbe colpito nel vedere quanta strada sia stato capace di fare quel «legno storto» che è l’uomo, compreso quello europeo.
Ma proprio l’euro, che è stato un momento essenziale di questo processo straordinario, ne dimostra, come in un grande specchio, i forti limiti, l’incompiutezza. Se l’unità europea continua a restringersi al piano economico, possono discenderne conseguenze assai gravi sul piano politico, sia nel presente che nel futuro. Se l’orizzonte europeo si riducesse alla sola dimensione economica, diventerebbe infatti naturale che la nazione economicamente più potente – in questo caso la Germania – volesse far sentire con particolare energia la sua voce, fino a considerarsi «più eguale degli altri» e ritenere di poter dettare, agli altri, le proprie decisioni. Ed è proprio quello che sta accadendo. Il vecchio e bistrattato Marx non se ne meraviglierebbe, ma atteggiamenti come questi rivelano con chiarezza che la strada imboccata finora è insufficiente: naturalmente se l’obiettivo finale rimane quello di costruire un destino comune e solidale tra le nazioni europee.
Occorre dunque riaprire l’orizzonte e, per farlo, bisogna cambiare completamente il punto di vista. Ed è necessario che le forze democratiche europee si impegnino in prima persona in questo lavoro perché da esso dipende, in buona parte, il futuro dell’Europa. Se non si riesce ad elaborare e imporre un’altra idea di Europa, il default al quale assisteremo non sarà quello della Grecia: a farne le spese sarà quella visione europea che è stata imposta in questi anni, offuscando o accantonando i valori etici, spirituali ed anche religiosi connaturati alla sua storia. Quei valori di libertà, di emancipazione, di tolleranza che si sono manifestati in maniera compiuta, per la prima volta, con l’Illuminismo.
Per individuare i caratteri di questa differente idea Europa occorre, in via preliminare, chiarire due relazioni: tra Stato e nazione; tra sovranità nazionale e sovranità europea.
La modernità si costituisce attraverso l’intreccio organico di Stato e di nazione. La struttura secolare dell’Europa è basata sul modello dello Stato nazionale. Ma lo Stato moderno è una costruzione storica: come è nato, così può morire. Allo stesso modo il nesso tra Stato e nazione è un fenomeno storico di primaria importanza ma, proprio perché storico, esso può decadere o configurarsi in modi e forme differenti.
Se si vuole sostenere una «nuova» idea di Europa e un rapporto positivo e fecondo tra sovranità nazionale e sovranità europea esiste poi un secondo punto da chiarire. Stato e nazione non sono termini equivalenti, anzi: il concetto di nazione è assai più largo e complesso di quello di Stato. Ci sono state grandi nazioni che si sono configurate assai tardi nella forma dello Stato moderno, come l’Italia e la Germania.
Ora, è proprio dalla crisi, e dalla fine, di questa relazione che possono germinare sia l’idea degli Stati Uniti di Europa che quella della nuova sovranità europea. Negli Stati Uniti di Europa confluisce infatti una pluralità di tradizioni nazionali, ma proiettandosi oltre le forme della statualità moderna in cui esse si sono incarnate per una lunga fase della loto storia; la sovranità europea è lo spazio giuridico, politico ed etico in cui tutte queste tradizioni si riconoscono potenziandosi e partecipando dal loro specifico punto di vista alla costruzione di un comune destino europeo. Sia gli Stati di Europa che la sovranità europea sono costituiti da «diversi», non da «eguali»; e qui sta la forza di entrambi.
Di qui discendono due conseguenze decisive, che è utile ribadire alla luce delle polemiche di questi giorni: non è accettabile il primato di una nazione europea sulle altre in ragione della sua potenza come singolo Stato; vanno considerate, valorizzate, anche le tradizioni di quelle nazioni che, pur indebolite oggi come Stati, hanno dato un contributo decisivo alla storia culturale e spirituale dell’Europa. Come la Grecia per intendersi: una nazione della quale, come tutti dovrebbero comprendere, gli Stati uniti di Europa non potranno mai fare a meno, se non vogliono rinnegare se stessi. Sostenere perciò, come qualcuno ha fatto, che la Germania ha il diritto di svolgere nei confronti di altri Paesi europei lo stesso ruolo che l’Italia può svolgere verso la Sicilia, è una tesi senza alcun fondamento teorico o politico.
Gli Stati Uniti d’Europa, che sono la prospettiva di tutti i popoli europei, devono avere questa base ideale, spirituale, etica ed anche religiosa, e per questo possono rappresentare un mutamento radicale nella storia del nostro continente ed un evento eccezionale nella storia del mondo, proprio perché essi, a differenza dell’America, nascono da una lunga storia nella quale gli Stati nazionali hanno svolto il ruolo decisivo. Certo, essi sono un orizzonte da realizzare, non un traguardo realizzato. Ma questo è l’obiettivo: ritrovarsi uniti e solidali in una nuova comunità, al di la delle barriere e dei confini, di una storia tante volte sanguinosa e fratricida, sulla base di una concezione della sovranità che, al suo interno, si attua consapevolmente oltre caratteri e forme costitutive della statualità moderna.
Un traguardo eccezionale e assai complicato, come i contrasti di questi mesi dimostrano. È perciò assai singolare che oggi la parola sia lasciata solo agli economisti, anche se si può capire che ciò possa accadere tenendo conto della grave crisi in cui ci troviamo. Ma l’Europa è, per fortuna, una realtà assai più complessa e più larga dei mercati e dello spread che, come una sorta di Moloch, scandisce le nostre giornate. Per questo, nonostante tutto, continua a rappresentare un orizzonte condiviso per tutti i popoli europei. Come direbbe un filosofo tedesco, il «passato» dell’Europa è pregno di un «futuro» che non si è ancora pienamente dispiegato.

L’Unità 13.08.12