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"L'allarme sociale non deve frenare le riforme penali", di Giovanni Negri

Il rischio adesso è che l’aumento dei reati, in controtendenza rispetto ai dati dell’ultimo triennio, rappresenti un ostacolo sulla via delle riforme. Che in parte sono già delineate e, di certo, non possono ancora slittare. Se l’allarme sociale, che è reazione giusta oltre che comprensibile, sfocia in allarmismo oltranzista, il pericolo di un impasse alla ripresa dei lavori parlamentari è assai concreto.

Anche perché tra qualche settimana saremo all’inizio della volata elettorale che si concluderà in primavera e si sarebbe troppo facili profeti nel ritenere che le forze politiche (tutte) avranno poca o nessuna voglia di spendersi su temi a elevata sensibilità come quelli della criminalità e delle carceri.
Si tratterebbe però di un errore grave. Perché un Governo che ha avuto la temerarietà di condurre in porto riforme scomode come quella sulla geografia giudiziaria, ha senz’altro le carte in regola per fare approvare anche misure altrettanto serie come quelle in agenda sulla depenalizzazione e le misure alternative al carcere. Provando in questo modo a coniugare obiettivi di civiltà (le condizioni delle nostre carceri da tempo oltre il limite massimo di tollerabilità) e risultati di efficienza con una migliore distribuzione e sfruttamento delle (scarse) risorse a disposizione dell’amministrazione della giustizia.

Naturalmente, sulla giustizia penale costruire maggioranze robuste è manovra più impervia che sul processo civile o l’organizzazione giudiziaria. E a fare da cartina al tornasole c’è il disegno di legge sull’anticorruzione, oggetto prima di una difficilissima sintesi e ora bloccato al Senato.
Una sorte che andrebbe evitata alle misure che tagliano una buona parte dei reati oggi sanzionati con una pena pecuniaria per trasformarli in illeciti amministrativi. Il disegno di legge esclude alcune materie come l’ambiente, la sicurezza sul lavoro, l’immigrazione, ma senza dubbio va nella direzione auspicata sia dai magistrati sia dagli avvocati: restringere l’area del penalmente rilevante per concentrare l’attenzione, anche a livello di repressione, sulle condotte di maggior allarme sociale.

Stesso discorso per quanto riguarda il carcere dove, dopo che tutto sommato lo “svuota-carceri” per chi aveva ancora una pena ridotta da scontare ha dato buona prova con bassissimi tassi di recidiva, l’emergenza non si è certo attenuata.
Tanto più cruciali allora diventano le misure, contenute nel medesimo provvedimento sulla depenalizzazione, che sterzano in maniera decisa sul versante della “messa alla prova” e delle sanzioni alternative al carcere.
La prima consiste nella concessione della sospensione del processo, quando si procede per reati puniti al massimo con quattro anni di carcere, per destinare l’imputato a servizi di pubblica utilità, sulla falsariga di quanto avviene da tempo nel processo ai minori; le altre nell’introduzione di due nuove pene detentive non carcerarie: la reclusione e l’arresto presso l’abitazione o altro luogo di privata dimora.
Queste nuove modalità sono destinate a sostituire la detenzione in carcere in caso di condanne per reati puniti con pene non superiori a 4 anni. Tutte misure che permetterebbero di destinare uomini e mezzi alle situazioni più critiche.

Anche a quella criminalità “da strada”, il cui aumento è segnalato dai dati pubblicati alle pagine 2 e 3. Senza peraltro pensare subito a interventi più draconiani come l’obbligo di custodia in carcere per i colpevoli di questi reati o l’inasprimento delle pena.
Una risposta di questo tenore, quasi pavolviano, non farebbe, al minimo, tesoro di quanto avvenuto in questi ultimi anni. A succedersi sono state infatti le misure di più “pacchetti sicurezza” (con il primo esordì in questa legislatura l’allora Governo Berlusconi): che non hanno però influenzato più di tanto l’andamento della criminalità, quando invece le presunzioni più severe di pericolosità sociale sono state, nel corso dei mesi, bocciate dalla Corte costituzionale.
A testimonianza ulteriore che la scia dell’emotività è facile da seguire, ma non sempre è quella che produce, anche nel breve, i migliori risultati.

Il Sole 24 Ore 20.08.12