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Una legge incompatibile con i diritti", di Vladimiro Zagrebelsky

La legge italiana che disciplina l’utilizzo delle procedure mediche di fecondazione assistita e più particolarmente le limitazioni che essa impone, sono oggetto di critiche e polemiche fin dalla sua approvazione nel 2004. Critiche e polemiche che riguardano sia la legge in sé, sia le linee guida emanate dal ministero della Salute per specificarne, integrarne e aggiornarne le previsioni. Come si ricorda un referendum parzialmente abrogativo venne fatto fallire nel 2005 con il non raggiungimento del quorum di votanti.

E’ recente la decisione dalla Corte Costituzionale di restituire ai giudici che l’avevano prospettata, la questione di costituzionalità del divieto di ricorso alla fecondazione con ovocita o gamete di persona esterna alla coppia (la fecondazione eterologa). La questione verrà certo riproposta e la Corte Costituzionale deciderà. In passato, nel 2009, la stessa Corte aveva dichiarato incostituzionale perché irragionevole e in contrasto con il diritto fondamentale della donna alla salute, la limitazione a tre degli embrioni da impiantare contemporaneamente, senza possibilità di produrne un maggior numero da utilizzare nel caso che il primo impianto non avesse avuto esito positivo.

Ora è un diverso aspetto della regolamentazione, che una diversa Corte ritiene incompatibile con i diritti fondamentali della persona. Ancora una volta si tratta dell’irragionevolezza di un impedimento posto dalla legge italiana all’accesso a una tecnica che è frutto del progresso medico. In proposito va ricordato che il Patto internazionale dei diritti economici e sociali delle Nazioni Unite, riconosce a tutti la possibilità di «godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni». Limiti e condizioni sono possibili, ma, come per tutte le deroghe a diritti fondamentali, essi devono essere ristretti al minimo indispensabile per la tutela di altri diritti fondamentali confliggenti.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso il ricorso di una coppia italiana protagonista (e vittima) di una vicenda esemplare dell’irragionevolezza della legge, che li esclude dalla possibilità di utilizzare le tecniche di fecondazione medicalmente assistita. I due ricorrenti avevano generato una figlia malata di mucoviscidosi. Fu così che essi appresero di essere entrambi portatori sani di quella malattia. Nel corso di una successiva gravidanza, la diagnosi prenatale rivelò che il feto era anch’esso malato. Ricorrendo alla legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, essi procedettero all’aborto. Poiché tuttavia desideravano un secondo figlio e naturalmente volevano evitare che fosse malato, richiesero di procedere alla fecondazione artificiale, per conoscere lo stato dell’embrione prima di impiantarlo, escludere quello malato e utilizzare quello sano.

La legge che disciplina la materia limita il ricorso alla fecondazione medicalmente assistita al solo caso in cui la coppia è sterile o infertile. Le linee guida ministeriali del 2008 hanno ritenuto che sia assimilabile al caso d’infertilità maschile quello in cui l’uomo sia portatore delle malattie sessualmente trasmissibili derivanti da infezione da Hiv o da Epatite B e C. Ma non hanno considerato altre situazioni di genitori malati. E così alla coppia restò negata la possibilità di superare l’infermità e dar corso, con la fecondazione medicalmente assistita, a una gravidanza che si sarebbe conclusa con la nascita di un bimbo sano.

La Corte europea ha rilevato che la legge italiana nel caso in cui la diagnosi prenatale riveli che il feto è portatore di anomalie o malformazioni, consente di procedere all’interruzione della gravidanza. In effetti proprio a ciò aveva fatto ricorso la coppia, nella gravidanza successiva alla nascita della figlia malata. Vi è dunque, secondo la Corte, un’evidente irragionevolezza della disciplina, che, permettendo l’aborto e invece proibendo l’inseminazione medica con i soli embrioni sani, autorizza il più (e il più penoso), mentre nega il meno (e meno grave). La Corte ha così rifiutato gli argomenti del governo italiano, che sosteneva che la legge tende a proteggere la dignità e libertà di coscienza dei medici e a evitare possibili derive eugenetiche. Argomenti contraddetti dal fatto che la legge consente di procedere all’aborto in casi come quello esaminato dalla Corte. In più ha pesato il fatto che la grande maggioranza dei Paesi europei consente la fecondazione medicalmente assistita per prevenire la trasmissione di malattie genetiche (solo l’Italia e l’Austria la vietano e la Svizzera ha in corso un progetto di legge per ammetterla). Irragionevole nel sistema legislativo italiano e ingiustificato nel quadro della tendenza europea, il divieto ha inciso senza ragione sul diritto della coppia al rispetto delle scelte di vita personale e familiare, garantito dalla Convenzione europea dei diritti umani.

La sentenza non è definitiva. Il governo italiano può chiederne il riesame da parte della Grande Camera della Corte europea. Se diverrà definitiva, sarà vincolante per l’Italia, una modifica della legge sarà inevitabile e saranno inapplicabili le linee guida ministeriali. La Corte Costituzionale ha già più volte detto che la conformità alla Convenzione europea dei diritti umani, «nella interpretazione datane dalla Corte europea», è condizione della costituzionalità delle leggi nazionali. Una revisione della legge potrebbe convincere il legislatore ad abbandonare l’ambizione di disciplinare il dettaglio, con ammissioni ed esclusioni particolari che inevitabilmente creano disparità irragionevoli. Questa è una materia in cui occorrerebbe lasciar spazio alle scelte individuali (in questo caso quella di non rinunciare a procreare un figlio, un figlio sano) e alla responsabilità dei medici nel fare il miglior uso possibile del frutto della ricerca e dell’avanzamento delle conoscenze e possibilità umane. La Corte Costituzionale ha già ripetutamente posto l’accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica: sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali.

La Stmapa 29.08.12

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“La rivincita del progresso sull’ideologia”, di UMBERTO VERONESI

La sentenza della Corte di Strasburgo è per il nostro Paese una rivincita culturale ed etica molto significativa. Il referendum che nel 2004 avrebbe dovuto sondare l’opinione degli italiani circa 4 punti della legge 40, fra cui quello relativo al divieto di diagnosi reimpianto, è stato uno sforzo purtroppo inutile, perché la forte spinta ideologica all’astensionismo ha impedito di capire il reale pensiero dei cittadini.

A noi promotori sembrava naturale mettere a disposizione della società una grande conquista della scienza, che permette a chi è portatore di una malattia ereditaria di non trasmetterla ai propri figli. Va sottolineato che, sia dal punto di vista medico che logico, la diagnosi preimpianto non è altro che l’anticipazione di quella diagnosi prenatale che viene effettuata frequentemente in gravidanza. Ora, in base alla legge italiana è possibile verificare la salute del feto nell’utero della madre, ma non quella dell’embrione nella provetta. Inoltre, la legge 194 dice che, in presenza di malattie genetiche, è possibile interrompere la gravidanza ricorrendo all’aborto. Ma poiché esistono le tecniche di diagnosi embrionale, perché dover aspettare la formazione del feto? Perché ricorrere a un aborto, più traumatico per la donna, quando basta decidere di non impiantare l’embrione che presenta un danno genetico? Questi danni, all’origine di malattie molto gravi – come la fibrosi cistica, di cui i due italiani che hanno fatto ricorso a Strasburgo sono portatori sani -, sono purtroppo molto frequenti, e il fatto che lo studio del Dna permetta di sapere, prima dell’impianto nell’utero della madre, se l’embrione presenta geni alterati oppure no, è un progresso che nessuna ideologia e nessuna religione possono negare. L’azione stessa della medicina oggi è sempre più un’azione predittiva. La decodifica del Dna ci ha permesso di risalire sempre più indietro nei processi di origine e sviluppo delle malattie e di poter intervenire prima che la patologia si manifesti. Addirittura prima della nascita, appunto.

Per fortuna in Italia accade sempre più spesso che la magistratura corregga con le sue sentenze le incongruenze del Parlamento e interpreti più fedelmente i bisogni e il pensiero dei cittadini. E’ curioso come i quattro divieti, oggetto del referendum del 2004, siano stati di fatto sorpassati dai ricorsi dei cittadini e dai giudizi delle Corti. Segno che, indipendentemente dalla politica, progresso e Diritto proseguono insieme sulla stessa via.

La Stampa 29.08.12