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“Una donna uccisa ogni tre giorni. I sei mesi di sangue dell’Italia”, di Raphael Zanotti

L’ultimo caso riguarda una donna albanese. Cologno Monzese, palazzina in via Einaudi 9. Lei ha 31 anni. Il marito 30. Litigano, per un’altra donna. E alla fine lei viene uccisa: gettata dal nono piano della palazzina, nessuna possibilità di salvezza. Ma poche ore prima era toccato a Marta Forlani, 50 anni, uccisa a Bra, nel Cuneese, con tre colpi di pistola dall’ex marito. Il motivo? Lei aveva organizzato una grigliata, l’ex marito aveva insistito per essere invitato. Lei aveva detto: “Non è il caso”. E lui le ha sparato. Davanti agli amici.

Due episodi brutali, in un solo giorno. La Convenzione di Instanbul è appena diventata legge in Italia. Servirà a tutelare le donne dalle violenze domestiche e dagli omicidi di genere. Ma la ferocia nei confronti delle donne non sembra diminuire. La strada è ancora lunga. Quest’anno ci sono state Fabiana, 15 anni, accoltellata e data alle fiamme dal fidanzato; Hrjeta, uccisa a colpi di pistola insieme al nuovo compagno; Olga, uccisa a infilata in un cartone abbandonato sul ciglio della strada e altre 63 come loro. Donne, vittime della violenza e di una cultura del possesso che le vede, spesso, prima vittime di percosse e persecuzioni. Quindi di omicidio.

I primi sei mesi del 2013 indicano un calo di questi episodi: 66 rispetto ai 76 del 2012. Ma non si può chiedere alla statistica una risposta a un problema che è, prima di tutto, culturale. Il lavoro di raccolta dati effettuato da La Stampa è ampio. Appositamente ampio. La definizione di femminicidio, come tutte le definizioni, è inflessibile e categorica. Ma come tutte le definizioni sembra zoppicare quando deve render conto dell’enorme varietà della casistica reale. Se non si hanno dubbi sul tremendo caso di Fabiana Luzzi, la 15enne uccisa dal proprio ragazzo a Corigliano Calabro, i confini si fanno più labili in altre occasioni. Può essere considerato femminicidio il caso di Marilena Ciofalo, uccisa con una pistola dalla propria compagna gelosa? E’ femminicidio il caso della madre uccisa dal figlio violento e con problemi psichici? Rientra nella casistica la drammatica strage compiuta da Mario Albanese che, geloso per la nuova relazione della ex, ha ucciso lei, il nuovo compagno, la figlia e il suo fidanzatino? Persino la rapina finita male di una prostituta, che a prima vista potrebbe essere catalogata come un caso di criminalità comune, può nascondere un femminicidio: i rapinatori hanno scelto la prostituta perché bersaglio relativamente facile o perché donna? E la violenza perpetrata su quel corpo sarebbe stata la stessa se la vittima fosse stata un uomo? La definizione scricchiola. Soprattutto quando è necessario indagare le motivazioni di menti che, spesso, vista l’efferatezza dei delitti, paiono ai più comunque e sempre folli.

Questo lavoro è ampio, ma non ha pretesa di essere esaustivo. Le schede sui singoli episodi non renderanno giustizia delle tante vite, uniche, scippate al loro futuro. Troverete episodi che potrebbero non rispondere subito alla definizione di femminicidio, altri immancabilmente mancheranno. Questo lavoro è una banca dati da interrogare e per interrogarsi, per cercare di approfondire un fenomeno che affonda le sue radici in un terreno più ampio, e purtroppo più fertile di quanto si pensi, di quello che anche le definizioni ufficiali possono fornire.

La Stampa 02.06.13