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“Il guanto di ferro”, di Bernardo Valli

I gnerali hanno messo in riga la rissosa società politica egiziana. Un golpe? Ci assomiglia. Ma un golpe bianco perché se è stata impiegata la forza militare, l’obiettivo non sembra la presa del potere. Ritenendosi i depositari della sicurezza nazionale, i generali hanno promosso un’operazione che ha come fine di mettere attorno a un tavolo tutti i litigiosi avversari che paralizzano il paese con le loro dispute e la loro incapacità, e di costringerli a raggiungere un compromesso. Il generale Abdel Fattah el-Sissi, capo del Consiglio supremo delle Forze armate, si proporrebbe di ripristinare il processo democratico minato dall’inettitudine del presidente islamista, Mohammed Morsi, e dalle imponenti manifestazioni dell’opposizione che ne chiedevano le dimissioni.
Di fronte al paese paralizzato, in preda a una crisi economica devastante, e alla minaccia di una guerra civile, il generale Sissi ha usato la maniera forte. Ha adottato uno stile da caserma. Non previsto dalla Costituzione ma iscritto nella tradizione egiziana dal 1952, da quando i colonnelli cacciarono re Faruk e proclamarono la repubblica. Da allora la società militare usufruisce di diritti particolari. Non sempre nel quadro della legge. In questo caso con la giustificazione di uno stato d’emergenza nazionale.
Il generale Sissi ha circondato il palazzo presidenziale con i carri armati e ha imposto in pratica a Morsi gli arresti domiciliari. Più tardi gli hanno comunicato che non era più il presidente dell’Egitto. Al capo dello Stato eletto un anno fa a suffragio universale diretto e, stando ai risultati e alle accuse dell’opposizione, rivelatosi incapace di governare, è stato impedito di fuggire, vale a dire di sottrarsi ai negoziati con gli avversari. I militari hanno bloccato nei loro domicili anche la guida suprema della confraternita dei Fratelli musulmani, Mohammed Badie, e il suo vice Khairat el-Shater, e li avrebbero poi costretti a partecipare a una riunione con i membri dell’opposizione, in particolare con Mohammed el-Baradei, premio Nobel ed ex funzionario delle Nazioni Unite, e i rappresentanti delle comunità musulmane cristiane. Di fatto, dopo avere lanciato un ultimatum, i generali hanno preso per il colletto i rappresentanti politici, li hanno fatti sedere attorno a un tavolo e adesso li costringono a trattare e a trovare un compromesso.
Nell’attesa che questa brusca procedura dia dei risultati, i militari progettano di creare un governo provvisorio, formato da giudici della Corte costituzionale, e guidato da un generale. L’uomo del momento è il generale Abdel Fattah el-Sissi. Ha cinquantotto anni e ha fatto tutta la sua carriera nella gerarchia militare dominata da Hosni Mubarak, il rais destituito dopo la rivolta partita da piazza Tahrir nel 2011. I suoi superiori diretti erano gli anziani generali via via sostituiti alla testa delle Forze armate. Sissi è stato designato capo del Consiglio supremo quando è stato messo a riposo il generale Tatawi, legato al vecchio regime e riluttante a riconoscere i poteri presidenziali di Morsi, non solo un islamista ma anche un civile. Abdel Fattah el-Sissi ha invece accettato il nuovo potere dei Fratelli musulmani, ed è stato nominato ministro della Difesa. Di fatto era l’esponente delle Forze armate nel nuovo potere, a fianco del primo capo dello stato non in uniforme nella storia della Repubblica egiziana.
Il generale Sissi viene descritto come un ufficiale rigoroso, profondamente legato alla società militare egiziana e alle sue regole. È anche noto per la religiosità. Si è creduto a lungo che la rigida osservanza delle pratiche religiose fosse un segno della sua appartenenza alla confraternita dei Fratelli musulmani. Ma il sospetto non era fondato. Un’affiliazione del genere non era ammessa a un alto ufficiale. Il generale Sissi è considerato uno tra gli alti ufficiali più legati agli americani. Quando l’ex capo del Pentagono Leon Panetta visitò le forze armate egiziane lo indicò come un generale in cui gli Stati Uniti riponevano tutta la loro fiducia. Sissi è anche un fine diplomatico. Dopo i carri armati, dicono coloro che lo conoscono, userà i guanti e sfodererà sorrisi.

La Repubblica 04.07.13