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“Se i trentenni non sono più giovani”, di Bruno Ugolini

Il recente decreto sul lavoro ha suscitato non tra gli esperti ma tra i giovani interessati un polemico dibattito. Anche perché le indicazioni fornite dal governo sulle condizioni necessarie per favorire la conquista di un posto di lavoro non erano del tutto chiare. Molti avevano capito che per entrare nella rosa dei futuri occupati occorreva oltre non avere un’età superiore ai 29 anni possedere contemporaneamente questi tre requisiti: essere privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi; essere privi di un diploma di scuola media superiore o professionale; vivere soli con una o più persone a carico. Nella realtà il testo del decreto spiegava come bastasse una delle tre opzioni per essere candidabili al posto di lavoro.

Ed ecco comunque scatenarsi su Twitter una ridda di battute spesso salaci: «Scusate, ‘ndo s’annulla la laurea? C’è ’na Sacra Rota a cui far domanda?»; «Letta ora sto miliardo e mezzo lo investiamo solo su chi non sa leggere e scrivere e paga più di 10000 euro d’affitto?»; «Ricapitolando, in Italia se hai più di trent’anni ed hai un’alta scolarizzazione, puoi tranquillamente rimanere disoccupato!»; «Sono neo-diplomato, cosa cambia per me con #decretolavoro?»; «Giovannini: più facile aprire nuova impresa! E in quali scuole lo insegnano?»; «Non cambia la musica per i giovani tra #fuga all’estero e #disoccupazione»; «Ma se il lavoro non c’è i giovani per cosa devono essere assunti?»; «Per gli over 30 nessuna speranza e nessun futuro».

Ed è proprio questo limite relativo all’età che fa più discutere. Ha spiegato Eleonora Voltolina, la fondatrice di «Repubblica degli stagisti» che «in Italia vi è un numero troppo rilevante di persone, spesso con alti titoli di studio, che stanno tra i 29 e i 34 anni e non hanno ancora trovato una decente collocazione nel mercato del lavoro… Sono piombati nel tunnel degli stage senza formazione e compenso e dei contratti a progetto sottopagati e senza progetto. Sono oggi troppo vecchi per accedere al contratto di apprendistato, decantato da tutti gli ultimi ministri del Lavoro come la modalità più corretta per inserire stabilmente i giovani. I loro cv sono poco appetibili per i direttori del personale, che preferiscono i 25enni freschi di laurea. Eppure sono loro, la generazione dei trentenni di oggi, ad avere maggior bisogno di aiuto. Sono loro che stanno per perdere l’ultimo treno per l’indipendenza economica, per un inserimento dignitoso nel mercato del lavoro».

La Voltolina ha anche scritto una lettera aperta al premier Letta insieme ad Alessandro Rosina, Marco Albertini, Arianna Bazzanella, Giulia Cordella, Francesco Giubileo e Michele Raitano. Nel lungo testo si afferma tra l’altro che «Non servono quindi specifiche misure di incentivo all’assunzione dei giovani con atteggiamento paternalistico. Il cambiamento vero può arrivare solo da politiche che migliorano l’efficienza del mercato del lavoro, l’allocazione delle risorse, la produttività, l’innovazione e la competitività». Tra gli interventi proposti: «una politica industriale che allarghi le opportunità nei settori più dinamici e innovativi, che riconosca caratteristiche e potenzialità delle nuove generazioni e riadatti il modello di sviluppo in modo da metterle meglio a frutto a vantaggio di tutti». Con quali risorse? «L’aiuto ottenuto dall’Europa è importante, in senso sia simbolico che sostanziale, ma non risolutivo per una vera svolta. Serve anche la capacità, il coraggio, la determinazione, di riorganizzare la spesa pubblica spostando risorse dalle politiche passive a quelle attive. Tutto va rimesso in discussione e per ciascun euro destinato in passato ad una specifica voce ci si deve chiedere se può ridurre maggiormente le disuguaglianze e rendere di più in termini di crescita se spostato altrove». Quel che conta, infine, è avere «un’idea chiara del modello di sviluppo che si intende costruire, una rotta chiara su cui puntare, non solo misure estemporanee per difendersi dal rischio di naufragio». Ed è questo forse il vero punto nodale: avere chiaro un punto di arrivo. Un traguardo, un impegno di questo tipo non lo si può però pretendere da quello che rimane un governo provvisorio, messo in piedi per affrontare le aspre tempeste contingenti.

L’Unità 09.07.13