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“Commemorazione del genocidio di Srebrenica”, di Marina Sereni

E’ con profonda emozione che porgo il benvenuto, a nome della Camera dei deputati, ai promotori di questa commemorazione delle vittime del genocidio di Srebrenica, avvenuto nel luglio di diciotto anni fa.
Ringrazio, in particolare, il collega Mario Caruso, il presidente Casini, l’ambasciatore Nerkez Arifhodzic, il prof. Antonello Biagini ed il prof. Francesco Guida che hanno deciso di accogliere l’invito a partecipare a questa iniziativa, moderata dallo scrittore e giornalista Guido Rampoldi, che tutti noi conosciamo per la qualità dei suoi saggi e delle sue opere letterarie.
Sono altresì grata all’attrice italo-bosniaca Nela Lučić che animerà questo incontro con la lettura di alcuni brani del grande drammaturgo bosniaco Abdullah Sidran, il più grande poeta e scrittore bosniaco, conosciuto anche in Italia per avere sceneggiato alcuni tra i più bei film di Emir Kusturica.
Esprimo inoltre il mio più profondo apprezzamento per la scelta di “fare memoria” della tragedia del luglio 1995 anche attraverso la presentazione di alcune struggenti opere del maestro Safet Zec che ha dedicato un suggestivo ciclo pittorico alla tragedia di Srebrenica.
Ricordare oggi quelle vittime significa non solo ascoltare le storie dei sopravvissuti ma interpellare le nostre coscienze affinché tutte le stragi dei Balcani, i dieci anni di guerre, le centinaia di migliaia di morti non divengano ricordi sbiaditi nella storia e nella memoria europee.
Il genocidio di Srebrenica è forse una delle incarnazioni più radicali ed eclatanti di quella che Hannah Arendt definiva “la banalità del male” che “può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo”.
Il dramma dei conflitti della ex Iugoslavia ha, infatti, riproposto in tutta la sua emblematicità le ragioni di quella riflessione sulle “incertezze dei diritti umani”, sulla grande aporia della cittadinanza moderna che si rivela drammaticamente attuale di fronte alla tutela delle minoranze, degli apolidi e dei migranti dei nostri giorni.
Esattamente venti anni fa iniziava il lungo e terribile assedio di Sarajevo. Ho di quegli anni molti ricordi personali, legati alla mia militanza nel movimento per la pace umbro e nazionale. Ricordo una carovana di pacifisti italiani ed europei che concludemmo proprio a Sarajevo con un grande meeting per chiedere alla comunità internazionale di prevenire la guerra, di sostenere quelle forze che allora tenacemente e testardamente sceglievano il dialogo e la nonviolenza. Purtroppo restarono inascoltate e l’Europa ha conosciuto di nuovo una guerra, terribile e crudele.
Proprio Abdulah Sidran, che ho prima citato, si è recentemente domandato cosa abbia significato l’assedio della capitale bosniaca, come abbia modellato la Storia quella tragica vicenda di morti e di privazioni. “La mia generazione – ha scritto il grande intellettuale bosniaco – resistendo al nazionalismo serbo, lottando in nome di una società multiculturale, ha conservato un volto, una forma ed un discorso. Quella dell’assedio fu una conoscenza dalle origini, essenziale. Fu una prova e una maturità. Fu la ragione contro i mostri. La lotta tra il Bene ed il Male è iniziata sulle mura di Sarajevo! Venti anni fa!”.
A fronte delle tremende responsabilità delle élites balcaniche dell’epoca, anche le classi dirigenti dell’Europa comunitaria non seppero affrontare quella lacerante tragedia di popoli e di società, poiché furono prigioniere di un catastrofico errore di valutazione, che riconduceva il processo di allargamento del progetto comunitario ad Est ad un incontro tra la “vecchia” Europa, occidentale, comunitaria ed atlantica ed una “nuova” Europa, orientale ed ex comunista.
Non esiste invece nessuna “nuova Europa”.
Esiste, più semplicemente, un’”altra Europa”, insieme laica e credente, cattolica ed ortodossa, ebraica e mussulmana, che è sempre stata parte integrante del nostro continente.
Perciò riunificare l’Europa significa riconciliare il Continente con se stesso. La riconciliazione vive oggi una sua dimensione pratica, quotidiana, rassicurante: gli imprenditori dei paesi della ex Iugoslavia riprendono a collaborare tra loro, gli editori croati partecipano alle fiere del libro di Belgrado, le nazionali di calcio giocano l’una contro l’altra: a questi sforzi si aggiunge un nuovo spirito di riconciliazione che sembra animare anche i nuovi leader politici dell’area.
Sappiamo però dall’esperienza maturata in altri contesti post-bellici che questi gesti sono destinati a rimanere delle dimostrazioni di buona volontà, piuttosto che segni intenzionali di mutamento, se non vengono sorretti da programmi istituzionali di riconciliazione, i cui fondamenti vanno ricercati nella giustizia.
Ma non vi può essere giustizia senza verità.
E’ il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, a ricordarci la drammatica eredità delle guerre nei Balcani: mentre il peso del passato continua a impedire la riconciliazione, ci sono ancora più di 12 mila persone disperse, 423 mila rifugiati che non possono tornare alle loro case, circa 20 mila apolidi o che rischiano di divenirlo e almeno 20 mila donne vittime di violenza sessuale che hanno ancora bisogno di sostegno.
Il commissario Muiznieks ha recentemente ribadito l’importanza di tutte le azioni giudiziarie volte a perseguire gli autori dei tanti crimini commessi in quegli anni e di tutte le iniziative che aiutino le popolazioni a scoprire ed a comprendere la verità su quanto è accaduto e il ruolo essenziale che ha il dialogo tra gli Stati.
In questa prospettiva i Parlamenti possono svolgere un ruolo decisivo: in quanto luoghi della rappresentanza e del confronto tra le diverse istanze della società civile, le Assemblee costituiscono infatti la sede più idonea per la gestione dei processi di pacificazione e di riconciliazione nazionale, assolutamente necessari affinché le ferite degli anni Novanta possano definitivamente rimarginarsi.
Con l’adesione della Croazia all’Unione, la carta geografica della costruzione comunitaria incorpora ora una vasta area grigia, nel cuore dei Balcani. Al pari di altri paesi dei Balcani occidentali, la Bosnia-Erzegovina, rimane sospesa in un limbo, paralizzata dalla crisi economica, dalla disoccupazione e da un debole contesto normativo.
Malgrado questo, la Bosnia-Erzegovina vive oggi una stagione politica e sociale di rinnovamento e di progresso che fa ben sperare nell’accelerazione del processo di adesione all’Unione europea, come peraltro ha già auspicato l’8 luglio scorso il presidente croato Josipovic nella sua visita ufficiale a Sarajevo: non a caso egli ha definito l’adesione bosniaca una “scelta voluta e naturale” che conferma come la stabilità rappresenti un interesse vitale per Zagabria.
Nei prossimi mesi il Governo di Sarajevo sarà chiamato ad adottare alcune decisioni assai delicate in relazioni al mantenimento di un assetto democratico e pluralista: mi riferisco alla spinosa questione del censimento della popolazione ed alla risoluzione della questione relativa alla condizione di minorità in cui versano i cosiddetti ostali, “gli altri”, o meglio “i rimanenti”, quella parte della popolazione che non si ascrive a nessuna delle tre nazionalità costitutive della Bosnia-Erzegovina (i serbi, i croati e i bosniaci musulmani), e che sono attualmente discriminati nell’assunzione di cariche istituzionali.
Vorrei richiamare a tale proposito, ricordando ancora la lezione di Hannah Arendt, come lo status giuridico degli “ostali” bosniaci – al pari di quello che ha riguardato altre situazioni analoghe che hanno tristemente attraversato l’Europa dei tragici anni Trenta e Quaranta, sia il terreno sul quale si misura l’effettiva vigenza del primo e più importante dei diritti umani: “il diritto di avere diritti”.
Concludo, riaffermando il pieno sostegno del Parlamento italiano alla democrazia bosniaca, che sorge dalla consapevolezza, condivisa da tutte le forze politiche italiane e ribadita dal Capo dello Stato in occasione dell’ingresso della Croazia nell’UE, che il nostro Paese possa fornire un importante contributo per aggiornare la road map delineata nel vertice europeo di Salonicco di dieci anni fa, per una piena integrazione di tutti gli Stati dei Balcani occidentali nella costruzione europea.