attualità, cultura

“Fuori i razzisti dalle istituzioni”, di Gad Lerner

Bisogna vincere la tentazione di rispondere per le rime a Roberto Calderoli. Lui non chiederebbe di meglio che un confronto sui tratti somatici e i quozienti intellettuali. Ma stavolta non potrà cavarsela rifugiandosi nella buffoneria un personaggio come lui, che la politica italiana ha tollerato rimanesse ai suoi vertici per quasi un ventennio.
L’aggressione verbale alla ministra Cécile Kyenge, mascherata come al solito da battuta di spirito, è stata un atto premeditato di violenza razzista. Calderoli sapeva bene quel che stava facendo. Con il suo ignobile giro di parole al comizio di Treviglio cercava la provocazione, in un momento di massima difficoltà della Lega Nord afflitta da una vera e propria emorragia di militanti; e sua personale, visto che dall’interno lo accusavano di eccessi di moderatismo.
Provocazione studiata, dunque, con il primo stadio di quell’odioso riferimento allo stereotipo coloniale più classico, l’uomo-scimmia, riferito agli africani. Ma l’intento razzista, se ancora ce ne fosse bisogno, è stato confermato da Calderoli nelle dichiarazioni successive, rilasciate ieri a Radio Capital, quelle in cui fingeva stupore per le reazioni alla sua battuta “innocente”. Ebbene, più volte al microfono, e con inequivocabile spudorata tenacia, egli ha insistito a negare che la cittadina italiana Kyenge, peraltro eletta nel Parlamento della nostra Repubblica, abbia il diritto di ricoprire un incarico di governo. «Può fare il ministro, ma in Congo – ha sostenuto Calderoli – non può fare il ministro in Italia». Con ciò lasciando intendere che a suo parere la Kyenge non solo non avrebbe il diritto di fare la ministra in Italia, ma non avrebbe neppure il diritto di considerarsi cittadina italiana.
Simili affermazioni non soltanto contraddicono la verità dei fatti: Kyenge è naturalizzata per legge cittadina italiana né più né meno di Calderoli, e ha quindi i tutti requisiti necessari per assumere incarichi di governo. Di più, queste falsità recitate con leggerezza da Calderoli determinano un vero e proprio vulnus istituzionale: può infatti un’istituzione parlamentare come il Senato della Repubblica avere fra i suoi vicepresidenti un esponente politico che nega l’altrui cittadinanza con argomenti relativi al luogo di nascita? Può permettersi, la nostra Repubblica, di concedere un tale ruolo pubblico a chi semina veleno razzista e alimenta il pregiudizio verso una
parte dei suoi concittadini?
C’è da augurarsi che oggi stesso il Senato provveda a sollevare Calderoli dalla carica che indegnamente ricopre, dopo che per troppi anni s’è finto di ignorare il cumulo di volgarità razziste che di volta in volta ha profuso contro singoli interlocutori o contro popoli e fedi religiose nel loro insieme.
La nomina di Cécile Kyenge come ministra dell’Integrazione è stato forse l’atto più innovativo (l’unico?) del governo Letta. Ma ha letteralmente scatenato una piccola minoranza di esagitati che l’hanno percepita come offesa intollerabile al loro ego xenofobo e hanno scatenato contro di lei una vera e propria guerra dei nervi. Cécile Kyenge ha mostrato una pazienza degna di miglior causa ogni qual volta l’hanno chiamata in causa a sproposito perché si giustificasse di fronte a episodi di violenza sessuale; hanno messo in dubbio la sua competenza in quanto è laureata in oculistica; hanno ironizzato sulla sua numerosa famiglia; l’hanno accusata di godere di protezioni eccessive, nel mentre che aizzavano con toni minacciosi la gente a manifestare contro di lei. L’esito di questa sollevazione contro la Kyenge è stato fallimentare, ma la ricerca della provocazione non si arresta nella speranza che possa derivarne il recupero di uno spazio politico perduto. Per questo è importante seguire cosa succederà nelle prossime ore.
Così come Borghezio è già stato espulso dal gruppo parlamentare cui era iscritto a Strasburgo, in seguito alle offese profferite contro la Kyenge, ci attendiamo che altrettanto faccia il gruppo dei senatori della Lega nei confronti di Calderoli. Non sarà una gran perdita. E servirà a ristabilire anche in Italia quella prassi europea per cui i razzisti vengono tenuti ai margini delle istituzioni, anche perché la destra liberale e moderata per prima si impegna a non dare loro spazio.

La Repubblica 15.07.13

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Calderoli, razzismo contro la Kyenge l’ira di Napolitano: “Imbarbarimento”, di SILVIO BUZZANCA

Dimettiti, scusati, vergognati. Brutta domenica per Roberto Calderoli, il leghista che al momento siede sulla poltrona di vicepresidente del Senato. Siede al momento, perché sabato sera ha pensato bene di scaldare gli animi dei militanti accorsi alla festa di Treviglio, nel bergamasco, con qualche “simpatica” battuta sulla ministra Cecile Kyenge che potrebbero costringerlo a lasciare «Io mi consolo – ha rivelato ai 1500 presenti – quando navigo in Internet e vedo le fotografie del governo. Amo gli animali, orsi e lupi, com’è noto. Ma quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di orango».
Ieri, poi, per tentare di spiegare, l’ex ministro, ha aggiunto pepe alle polemiche in un’intervista a Radio Capital. Perché per Calderoli, quella frase «è stata una battuta, per mettere della simpatia, non c’era niente di particolarmente contro. Era legata alle mie impressioni. Non l’ho paragonata a un orango, l’ho detto in riferimento ai lineamenti. A dimettermi non ci penso proprio».
Così anche questa volta, il pensiero dell’ex ministro tracimato dalla festa leghista provoca il finimomdo. Un’agitazione che spinge Giorgio Napolitano a mettere insieme tre episodi: le parole di Calderoli, l’incendio del liceo antiomofobico Socrate a Roma e le minacce all’ex ministro Mara Carfagna. Il presidente, fanno sapere dalla presidenza della Repubblica, «è colpito e indignato per i tre casi che dimostrano tendenza all’imbarbarimento delle vita civile e affronterà il tema nell’incontro con la stampa del 18 luglio».
Ultima mazzata su Calderoli che arriva in serata. Ultimo atto di una giornata iniziata presto, quando, è arrivata, prima di una lunga serie, la condanna di Enrico Letta. «Parole inaccettabili. Oltre ogni limite. Piena solidarietà e sostegno a Cecile. Avanti col tuo e col nostro lavoro», dice il premier. Condannano anche i presidenti di Camera e Senato. A seguire arriveranno manifestazione di solidarietà da molti ministri. Anche del Pdl, come la Lorenzin e la Di Girolamo.
Prende le distanze anche Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, pronta a combattere le proposte della ministra, ma non vuole certo seguire Calderoli. E alla fine arriva anche il “vattene” dal Pd. «Calderoli «accetti un consiglio, si dimetta», dice il segretario Guglielmo Epifani. E intanto parte una raccolta di forme online per le sue dimissioni. L’interessata, intanto commenta così: «Non deve chiedere scusa a me, piuttosto deve fare una riflessione sulla carica politica e istituzionale che ricopre».
La questione crea imbarazzo nei vertici leghisti. Al punto che Roberto Maroni ha telefonato a Calderoli per chiedergli di correre ai ripari e spegnere l’incendio che ha appiccato. Fonti leghiste parlano di un colloquio molto concitato durante il quale il “governatore” ha accusato Calderoli di avere insistito troppo nella polemica contro la Kyenge.
Dunque Maroni consiglia delle scuse. Che alla fine arrivano. Dopo la sortita di Napolitano. Perché Calderoli telefona alla ministra e racconta di «avere chiarito» e di averle dato «appuntamento in Parlamento per un confronto franco e leale ». E così Maroni, dopo un lungo silenzio può dire: «Calderoli ha sbagliato e ha chiesto scusa. Ha fatto bene a chiedere scusa, perché noi non attacchiamo le persone ma contrastiamo le idee sbagliate».

La Repubblica 15.07.13