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“I tanti controllori del Caso Ligresti che non hanno visto”, di Sergio Rizzo

Nella storia dei grandi crac finanziari all’italiana c’è una costante: i controllori che non controllano. O lo fanno male. Raramente per scarsa professionalità o carenza d’impegno. Più di frequente, invece, a causa dell’assenza di una caratteristica imprescindibile per chi veste i panni di sceriffo dei mercati: l’indipendenza. Se troverà conferma ulteriore nelle indagini della magistratura, la storia rivelata l’altro ieri sul Corriere da Luigi Ferrarella ne è la prova provata. Un testimone ha raccontato come per anni i controlli sulla Fonsai da parte dell’Isvap, che avrebbero forse potuto evitare il peggio a tanti risparmiatori, abbiano latitato. Il prezzo? La promessa della nomina a componente dell’Antitrust per il presidente dell’Isvap Giancarlo Giannini, caldeggiata da Ligresti in persona presso il premier dell’epoca, Silvio Berlusconi.
Le entrature politiche di Ligresti e le sue relazioni con quel mondo che ha Berlusconi come punto di riferimento sono arcinote. È stata ricordata la sua amicizia con Bettino Craxi, faro del Cavaliere negli anni ruggenti, cementata dagli innumerevoli incarichi del suo plenipotenziario nelle partecipazioni statali Massimo Pini in tante aziende del gruppo dell’ingegnere di Paternò: dalla Milano Assicurazioni, all’Immobiliare Lombarda, alla stessa Fonsai. Per non parlare dei rapporti con la famiglia dell’ex coordinatore del partito di Berlusconi Ignazio La Russa. Suo padre Antonino La Russa, segretario del Fascio di Paternò e deputato missino per sei legislature, è stato per anni consigliere della Sai. Come lui anche Vincenzo La Russa, fratello di Ignazio. Mentre il figlio dell’ex ministro della Difesa, Antonino Geronimo La Russa, è entrato nel 2010, alla vigilia del crac, nel consiglio della Premafin, la holding dei Ligresti.
Niente da dire, ci mancherebbe altro. Ognuno coltiva le amicizie e le relazioni che vuole. Anche con i politici. Ma credere di poter approfittare dei rapporti con la politica, e nella fattispecie con il presidente del Consiglio, per evitare i controlli su una società quotata in Borsa nella quale hanno investito i risparmiatori, in cambio della promessa al controllore di una prestigiosa nomina pubblica è un’altra faccenda.
Sempre se i fatti si sono svolti come ha riferito il testimone e avrebbe confermato al giudice lo stesso Salvatore Ligresti, l’episodio dice però qualcosa di più. Come si fa a chiedere al premier di impegnarsi a nominare una persona ai vertici dell’Antitrust, nomina che spetta per legge esclusivamente ai presidenti delle Camere allo scopo di garantirne l’imparzialità? Se questa è l’idea di indipendenza dei controllori che ha certa finanza e purtroppo anche certa politica, allora si capiscono tante cose.
Si capisce perché nel corso degli anni la Consob non sia riuscita a impedire infortuni a ripetizione, regolarmente pagati dai risparmiatori. Basterebbe ricordare come avvenne negli anni Ottanta la quotazione in Borsa della Parmalat, azienda già allora fortemente indebitata e che sarebbe risultata poi protagonista del crac del secolo, ma di proprietà di un signore, Calisto Tanzi, che coltivava con assiduità i rapporti con il Palazzo.
La verità è che le cose sono andate decisamente peggiorando man mano che le nomine nelle authority entravano sempre più nel gioco dello scambio politico. Dai professori si è così passati a ex sindaci, deputati rimasti senza poltrona o non più candidabili, consiglieri di Stato con pedigree ministeriali. Un bel viatico per l’indipendenza, non c’è che dire. Lo stesso presidente della Consob Giuseppe Vegas, ex funzionario del Senato, è un ex deputato del Pdl: addirittura ha ricevuto l’incarico dal governo del quale era in quel momento viceministro dell’Economia.
Per garantire l’indipendenza dei controllori, e quindi il loro potere effettivo di controllo, non ci sarebbe che una strada: sottrarre le nomine alla discrezionalità dei politici. Basterebbe scegliere i candidati con un bando pubblico, meglio se europeo. Più facile di così… Peccato che da quell’orecchio non ci senta nessuno.

Il Corriere della Sera 19.07.13