attualità, politica italiana

“Chi vuol distruggere i partiti”, di Bruno Gravagnuolo

Il diavolo si annida nei dettagli diceva Goethe. Ma questa volta il dettaglio è uno sbrego gigantesco, un pugno nell’occhio sferrato da destra nel buio. Al riparo di un comma di legge da emendare furbescamente. E sono cinque parole da inserire: «sanzione pecuniaria pari al triplo». Con le quali però, una pattuglia di deputati del Pdl, vuole derubricare il finanziamento illecito ai partiti, da reato penale a reato aministrativo. Con relativa sanzione pecuniaria, pari al triplo appunto della somma erogata illecitamente. E il tutto al posto della precedente formulazione dell’articolo 7 della legge 195 del 1974, terzo comma. Che suonava così: «reclusione da sei mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate». Insomma lo avete capito. Berlusconi e suoi vogliono che il finanziamento illecito ai partiti, quello che è stata la miccia di tangentopoli, divenga meno di un reato da giudice di pace. Meno di una multa per essere passati col rosso.

Indecente, no? Ma anche significativo però. Perché proprio quelli che vogliono abolire del tutto il finanziamento pubblico ai partiti, – con rigore e senza equivoci, come ribadisce Mariastella Gelmini – sono poi gli stessi che vogliono privatizzarlo sfacciatamente e integralmente. Senza regole e senza remore. È chiarissimo allora il loro «punto di caduta», la loro mira: distruggere la vita e l’identità dei partiti. Il loro carattere di associazione collettiva e di corpo intermedio. Che concorre con «metodo democratico» alle leggi e alla formazione della volontà popolare. Come sancito dalla Carta. Per mettere al loro posto dei cartelli mediatici e di opinione, riflesso integrale della volontà e delle dotazioni del capo. Il quale in assenza di vincoli, e in mancanza di finanziamento pubblico ai partiti, potrà fare quel vuole del suo «cartello», e finanziarlo a iosa. Sbaragliando al contempo qualsiasi «competitor», ormai con le risorse ridotte al lumicino e pure oggetto di disprezzo. Perché in passato ha usufruito di rimborsi e oggi stenta a raccogliere donativi. Eccoli allora i frutti di una malintesa ideologia della «Casta», coniugata in questi anni con la retorica del «mercato politico»: una partitocrazia privata, appannaggio di capi carismatici e lobby economiche. Che possono fare e disfare le loro creature, magari con l’appoggio di editori non puri, cartacei e non. Tutto ciò va scongiurato, contrastando in Parlamento e nel paese la depenalizzazione del finanziamento illecito. Ma al contempo ribadendo con forza che il finanziamento pubblico ai partiti – con regole e tetti prefissati – è non solo lecita, ma doverosa. Perché risponde a un principio: la politica democratica è un diritto di tutti. E artefici, in ogni paese democratico, ne sono i partiti.

L’Unità 27.07.13