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“Un testimone, un maestro” 30 anni fa la morte per mano mafiosa di Rocco Chinnici e della sua scorta

Trenta anni fa, il 29 luglio 1983, veniva ucciso a Palermo dal tritolo mafioso il giudice Rocco Chinnici, insieme ai carabinieri della scorta, il maresciallo Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, e al portiere dello stabile di via Pipitone, Federico Stefano Li Sacchi.
Stamane si è tenuta una commemorazione sul luogo della strage, alla presenza tra gli altri della figlia dell’ideatore del pool antimafia, Caterina Chinnici.

“Mio padre fu un precursore in un momento in cui non si parlava di mafia – e lo Stato forse non era ancora pronto a contrastare il fenomeno mafioso – ha detto la figlia del magistrato -. Era consapevole del rischio che correva, sapeva che si scontrava con una mafia non disposta a perdonare. Ciò non l’ha fermato, ha solo velato di tristezza il suo sorriso”.
“Le sue preoccupazioni andavano per gli uomini della scorta e per i cittadini – ha aggiunto -. Raccomandava ai bambini che giocavano sotto casa di non rimanere davanti al portone quando arrivava lui”. “Il suo sacrificio – ha concluso Caterina Chinnici – ha segnato una svolta. Il seme che ha piantato ha dato buoni frutti”.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo messaggio alla signora Caterina Chinnici e ai famigliari delle vittime in occasione del trentennale della strage, ha sottolineato come “il metodo investigativo indicato da Rocco Chinnici si è rivelato un “efficace strumento” di lotta alla mafia, portando a “successi insperati” e rinnovando “il sentimento di riconoscenza di tutti gli italiani e suo personale”.

“Con l’uccisione di Rocco Chinnici – ha affermato il capo dello Stato – la mafia si proponeva di decapitare l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, che sotto la sua direzione stava iniziando ad affrontare unitariamente quel fenomeno criminale, cogliendo rapporti e collegamenti che condussero in seguito ad individuare autori e cause di efferati delitti rimasti fino allora impuniti e di comprendere la complessa realtà di ‘cosa nostra’. Consapevole dell’altissimo rischio personale connesso al rigoroso impegno nella lotta alla criminalità organizzata, seppe trasmettere le sue intuizioni ai collaboratori, che ne raccolsero il testimone”.

Anche il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricordato il giudice ucciso.
“Nel 30mo anniversario della strage di via Pipitone – ha detto Grasso-, desidero rivolgere un pensiero memore, grato e commosso a Giovanni, Elvira e Caterina Chinnici, ai familiari del maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi, del brigadiere Salvatore Bartolotta e del portiere dello stabile Stefano Li Sacchi, che insieme a Rocco Chinnici furono uccisi quel 29 luglio del 1983”.

“Uomo di altissime doti umane e morali, Rocco Chinnici è stato un magistrato integerrimo, un punto di riferimento determinante nella formazione mia e di tanti colleghi, tanto da essere soprannominato il giudice papà, perché per noi fu testimone e maestro. La sua profonda capacità di analisi e le sue intuizioni gli avevano permesso di cogliere, quando ancora erano grandemente lacunose le conoscenze sul fenomeno, l’ordinarietà del potere mafioso, quei rapporti tra affari e potere che i processi successivi alla sua morte avrebbero poi svelato”.

“La sua religione – ha aggiunto Grasso – era il suo lavoro, la passione per quello che faceva. Credeva fermamente nella necessità del lavoro di equipe e pose le basi per la nascita di quello che sarebbe stato il pool antimafia. Era ben consapevole dell’altissimo rischio della sua persona, ma questa fredda lucidità non lo fece arrendere mai. Sapeva che con la sua uccisione si sarebbe tentato di eliminare le sue conoscenze, di soffocare la sua volontà di riscatto e per questo non si stancò mai di trasmettere le une e di infondere l’altra. Lo faceva dialogando con tutti, con la gente comune, con gli uomini di potere, con i suoi colleghi, ma soprattutto amava incontrare i giovani per parlare di antimafia, di lotta alla droga, di una Sicilia libera”.

“Prendiamo dunque esempio – ha concluso il presidente del Senato – da chi, come Rocco Chinnici, ha immolato la propria vita in nome della giustizia affinché questo sacrificio non sia reso inutile, affinché la storia di questi martiri ci dia la forza per continuare a lottare in nome della verità e della legalità”.

“Rocco Chinnici è considerato il padre di quel pool antimafia nato per stroncare e combattere la criminalità organizzata, che capì il sofisticato e perverso sistema ‘Cosa Nostra’ e intuì l’importanza di farlo conoscere e comprendere, parlandone alla gente, ai giovani, per poterlo estirpare”.
E’ quanto affermato dalla deputata del Pd e responsabile Antimafia e Legalità del Partito democratico, Pina Picierno.

“Con il suo lavoro e la sua attività investigativa ha lasciato un’importantissima eredità nella lotta alla mafia, pretendendo da politica e istituzioni più coerenza, più decisione nel colpire gli interessi economici delle mafie e le collusioni presenti in tutta Italia. A lui e alle altre vittime va il nostro commosso ricordo e riconoscimento per aver sacrificato la vita al servizio dello Stato e della legalità”.

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