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“In Emilia la manifattura non si arrende”, di Natascia Ronchetti

Alle spalle un passato glorioso – oltre un secolo di storia – e davanti solo vuoto e macerie. «Con il terremoto – dice Massimo Palmieri, presidente dell’omonimo salumificio a San Prospero di Modena – arrivano il senso della fine e la perdita della speranza. Ci siamo chiesti se potevamo stare sul mercato. La solidarietà degli altri imprenditori, delle istituzioni, a partire dalla Regione e delle maestranze, ci ha dato forza».
A oltre 430 giorni dalla prima scossa del sisma che nel maggio dello scorso anno ha piegato l’Emilia, il Salumificio Palmieri è risorto. Oltre un anno di forzata inattività produttiva, qualcosa come 15 milioni di danni, tra diretti (20mila metri quadrati di capannone sono stati demoliti) e indiretti, a causa della mancata produzione, l’azienda alimentare ha un nuovo stabilimento – 25mila metri, dei quali 13mila coperti, con un investimento di 12 milioni – e ricomincia a produrre, assume, mette in cantiere 6mila tonnellate all’anno di prodotto, pensa a incrementare la quota delle esportazioni. Questione di tenacia e determinazione. La stessa che ha permesso al tessuto industriale della Bassa Modenese di tornare a una produzione prossima al 100 per cento. Nonostante i mille ostacoli di una burocrazia farraginosa, delle difficoltà di accesso ai fondi per la ricostruzione.
Il sisma che ha colpito l’Emilia – Modena e Ferrara le province più colpite – è stato definito il primo terremoto industriale. Ha devastato un’area ad altissima densità produttiva capace di generare un valore aggiunto pari a 19,6 miliardi, oltre 12 miliardi di esportazioni. Nei soli 33 comuni del cratere operano quasi 48mila unità produttive. Un numero che sale a 66mila prendendo in considerazione anche le imprese collocate nei 57 comuni interessati dal sisma, tra il Modenese, il Ferrarese, vaste zone delle province di Reggio Emilia e di Bologna. Un’area dove, tra piccole, medie e grandi imprese, tra industrie e aziende artigiane, svettano distretti come quello del biomedicale di Mirandola o del tessile e della maglieria di Carpi.
Per tutti una débâcle. Le scosse del 20 e 29 maggio hanno infatti provocato danni per 5 miliardi, tra quelli a stabilimenti, magazzini e macchinari e quelli generati dallo stop produttivo. La resistenza delle imprese non è stata piegata dai cavilli di una burocrazia ancora pesantissima, nonostante tutti gli sforzi fatti dalla Regione per snellire e semplificare. Il modello telematico Sfinge, per accedere ai contributi a fondo perduto stanziati dalla legge sulla spending review, è ancora un problema. Le domande di risarcimento arrivano con il contagocce. Sono arrivate a quota 277, per 168,3 milioni; quelle approvate ammontano a soli 41 milioni.
L’azienda di San Prospero fu fondata agli inizi del Novecento. Tradizione familiare, investimento continuo sull’innovazione. E poi fondamenta robuste – con una solidità fatta anche di know how e competenze – che per questo storico salumificio ha rappresentato una lettera di credenziali per ottenere dagli istituti di credito i finanziamenti necessari a ripartire. «Il piano finanziario per ricominciare a produrre – dice oggi il direttore generale Paolo Arcangeli – e sostenere l’investimento di 12 milioni si è basato sulla solidità dell’azienda prima del terremoto». Uno sforzo non da poco per una impresa che, fino al dramma del sisma, fatturava 20 milioni. E che ora vuole tornare a crescere, incrementare la quota dell’export (adesso al 10%), creare occupazione. Subito dopo le scosse era ricorsa alla cassa integrazione per 40 operai, mantenendo al lavoro gli amministrativi. «Adesso i dipendenti sono 55 – prosegue Arcangeli – e presto stabilizzeremo venti stagionali. Ma il nostro obiettivo, a regime, è quello di arrivare a 70 unità. E non tutto sarà coperto dalla polizza assicurativa e dai fondi per la ricostruzione».

Il Sole 24 Ore 30.07.13