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“Ferragosto”, di Marino Niola

Da antica festa pagana a nuovo capodanno del turismo last minute. Da tradizionale celebrazione dell’Assunta a ultima liturgia del tempo libero. Da giorno sacro al riposo, contadino e operaio, a migrazione stagionale del popolo delle vacanze. E adesso che quel popolo è diventato interinale, disperso, insicuro del presente e incerto sul futuro, anche il Ferragosto si adegua. E diventa liquido, interstiziale, frugale. Un’autentica spending review delle ferie, per far fronte a una crisi che spesso ci fa rimpiangere il passato e ci costringe a reinventare il presente. In effetti, come tutte le festività, la pausa agostana assume gli umori del momento. E questo ne spiega le continue trasformazioni. Come dire che la parola resta mentre i comportamenti e gli atteggiamenti cambiano. Ma non del tutto. Perché anche nel nostro frenetico Ferragosto mordi e fuggi resta comunque qualcosa del rito di passaggio. Dell’avvicendamento tra la stagione vecchia e la nuova, che noi continuiamo di fatto a celebrare. A modo nostro. Mescolando vecchio e nuovo, sacro e profano, consuetudini famigliari e abitudini affluenti. Col risultato di farne un cantiere festivo sempre aperto.
La lunga marcia dei vacanzieri — con autostrade intasate e aeroporti in overbooking — i falò sugli arenili, i tuffi di mezzanotte, i concertoni sulle cime dei monti, i barbecue pantagruelici non sono tutta farina del nostro sacco. Perché vengono da molto lontano. E precisamente dalle romane Feriae Augusti
— le cerimonie che si celebravano a Roma in onore dell’imperatore Augusto, da cui la parola Ferragosto — che solennizzavano il giro di boa dell’anno agrario. Niente lavoro e tutti a far bisboccia fuori porta. Anche il Cristianesimo ha solennizzato questo accapo del calendario facendo del quindici agosto il giorno dell’Assunta, la più antica delle feste mariane e probabilmente la più popolare. Da sempre occasione di abbuffate e scampagnate, processioni e indigestioni, balli e sballi. Di qui deriva dunque quel sapore vagamente anarchico dei nostri rituali agostani. Sempre en plein air. Senza troppi formalismi. Liberi, casual, pratici. Eredi inconsapevoli delle lunghe durate della storia.
Perché è pur sempre un nuovo inizio quello che noi continuiamo a celebrare. Quando sulle nostre strade si consuma la transumanza estiva della società del tempo libero. E le lancette del tempo cominciano un nuovo giro dopo la data climax della bella stagione. Ritualizziamo quel che ritualizzavano i nostri antenati ma, ovviamente, lo facciamo a modo nostro. I tempi che scandiscono la vita di oggi, infatti, non dipendono più dall’anno astronomico e tantomeno dalle condizioni meteorologiche, dal cammino del sole o dalle fasi della luna. Ma sono cadenzati dall’organizzazione dei cicli produttivi. Adesso il bello e il cattivo tempo lo fanno la tecnologia e l’economia che hanno finito per produrre una riforma sotterranea del calendario. Una semplificazione che ha tagliato le fasi intermedie e ha dato al tempo sociale un ritmo binario, una scansione digitale. Lavoro sì, lavoro no. Così il nostro Ferragosto assomiglia sempre più a un provvidenziale pit-stop che fa ripartire gli ingranaggi sempre più stressati della nostra vita. È una vacanza nel vero senso della parola, che significa vuoto. Un vuoto cui cerchiamo di dare senso inventandoci nuovi riti e nuovi miti.
Perché a differenza delle feste comandate, Ferragosto non ha tradizioni né devozioni fisse. Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi e Ferragosto dove vuoi. Ma soprattutto come vuoi. Il risultato è un sincretismo festivo, una nuova architettura temporale, che mette insieme frammenti di passato e inventa usi e costumi a tempo determinato. Accostando i lembi più lontani della nostra storia individuale e collettiva. Ciascuno di noi offre un contributo estemporaneo alla costruzione collettiva di questo copione rituale. Basta guardare le ultime tendenze. C’è chi si butta sul vintage, fatto di tanto cibo e molti affetti, perché in fondo amici e famiglia restano il nostro bene rifugio. Anche se i menù si adeguano ai diktat dei masterchef di turno. Che stigmatizzano l’abbiocco cheap e propugnano la leggerezza chic. Piatti verdi e a chilometro zero. Etici e dietetici. Non più teglie unte da Sora Lella, ma lunch box biodegradabili da Cappuccetto Rosso. Ma c’è anche chi si immola sull’altare della fitness, chi va in cerca di emozioni con il bungee jumping, un salto vertiginoso nel vuoto da qualche ponte altissimo per vedere l’effetto che fa. E non mancano nemmeno quelli che festeggiano sorvolando paesaggi incantati in mongolfiera come tanti Phileas Fogg, l’impavido protagonista del giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne.
Pochi però rinunceranno ai bagni notturni. Che sono delle autentiche immersioni lustrali. E ai falò in riva al mare che allontanano le energie negative. Ripetendo un esorcismo antico quanto il mondo. Che adesso si è fatto particolarmente rumoroso e fantasioso da quando i fuochi artificiali sono diventati low cost. Dalla Cina con fragore. Insomma se la crisi rallenta le lancette dell’economia non ferma l’eterno ritorno del calendario. E in questa frenesia ferragostana, in cui Pasolini vedeva una sorta di raptus collettivo, un’insolenza obbligata, resta qualcosa di profondamente rituale. Un modo per chiudere col passato e propiziarsi il futuro. Mentre ci godiamo l’ultima spiaggia davanti a un tramonto rosso spritz.

La repubblica 15.08.13