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«Una crisi oggi significherebbe il caos», di Oreste Pivetta

Chiediamo al professor Giulio Sapelli, storico dell’economia e docente universitario, dell’Italia, del governo Letta, di Berlusconi e ci risponde a proposito dell’Europa e della crisi europea, anzi della «tristissima condizione europea», che vive nella sua dimensione quella «disgregazione molecolare del potere» che paralizza il nostro Paese, quel potere che una volta si chiudeva nell’arcipelago democristiano e nella compattezza di «forma classica socialdemocratica» del Pci, potere che non ha resistito a tangentopoli, alla globalizzazione, alla crisi, che fatica a ridisegnarsi dentro l’orizzonte basso dei guai giudiziari di Berlusconi e delle possibilità vie d’uscita.
L’Europa, professor Sapelli: ne ha lungamente discusso il presidente della Repubblica nella videointervista per il meeting di Cl, il capo del governo ne ha fatto il centro del suo intervento a Rimini. Condivide le preoccupazioni e insieme le speranze di Napolitano e Letta? «Si deve capire, e mi pare che Napolitano e Letta non solo lo abbiano capito ma l’abbiano anche espresso con grande chiarezza, che in Europa sta la chiave per superare una crisi che è politica, non solo economica. Questa necessità ha indicato anche il meeting di Cl, sottolineando ambiziosa- mente la dimensione in cui dovrebbe crescere quest’Europa: dall’Atlantico agli Urali. Invece s’assiste al progressivo allontanamento della Gran Bretagna, alla freddezza della Francia, alle rigidità tedesche, che è difficile immaginare come verranno superate, visto che la Merkel è destinata a rivincere e la Merkel non ha mai imparato la lezione di Bismarck, che sapeva bene come la forza e il futuro della Germania fossero legate alla qualità delle frontiere, cioè alla qualità dei rapporti tanto con l’Est quanto con l’Ovest. In questa situazione i progressi dell’Unione europea sono nulli: ad esempio non si riesce a costruire un esercito comune, che si dovrebbe fondare ovviamente sulle due grandi potenze militari di questa Europa, e cioè Germania e Francia. Non è questione di guerra e pace. È questione che se si vuol fare opera di dissuasione rispetto ai conflitti che infiammano il nord Africa, altra frontiera del continente, un esercito serve, non bastano i documenti. Senza questa unità, senza quell’aspirazione a unificarsi dall’Atlantico agli Urali, la nostra Europa rischia l’insignificanza». Tagliati fuori dalle responsabilità politiche, ma anche dalla rotte economiche? «Certo. È inevitabile che gli Stati Uniti, dopo averci proposto di aderire a un patto transatlantico, adesso si rivolgano verso l’Asia e soprattutto verso l’Africa…».
L’Africa che potrebbe rappresentare la grande sorpresa economica del secolo… «…ma anche politica, perché l’Africa per la prima volta sta disegnando i propri confini statuali. Non ho dubbi per il resto che presto l’Africa prenderà il posto di Brasile, India e Cina». Torniamo a Roma. Verrebbe da dire torniamo alla misura provinciale della nostra politica…
«La questione di un governo è questa, se non ci si vuole immiserire dentro la chiacchiera su Berlusconi, la con- danna, l’agibilità politica di Berlusconi, falchi e colombe. L’Europa unita “dall’Atlantico agli Urali” è fondamentale e dentro questa Europa è fondamentale l’Italia, il fronte sud: se cede, se questo governo cade, magari a un passo dal semestre europeo, se si va alle elezioni anticipate, non sarà la guerra civile che qualcuno ha evocato, ma sarà il caos, che trascinerà nella crisi più cupa dell’Europa, senza speranze di soluzioni rapide, perché siamo il fronte sud, come si diceva una volta, il punto nevralgico del rapporto tra Europa e Africa. In questo senso Letta a Rimini è riuscito in un discorso serio, responsabile, direi alto. Ha tralasciato le beghe di bottega. Ha fatto capire che cosa c’è davvero
in gioco, il senso di una ricerca d’equilibrio in un Paese disgregato, ricerca che è pesata sinora sulle spalle di un Atlante che si chiama Giorgio Napolitano e che non è più un giovanotto…». Che non è – mi permetto – Berlusconi, che non è il destino politico dell’ex premier…
«Dovremmo trovare il modo di azzerare la questione Berlusconi. Questo vale per il Pdl, ma pure per la parte più aggressiva e giustizialista del Pd…».
Berlusconi ha la carta in mano: basterebbe che si dimettesse, sdrammatizzando la situazione, garantendo la sopravvivenza di questo governo. Politica potrebbe continuare a farla…
«E potrebbe vincere qualsiasi battaglia elettorale. Non è detto che non ci stia pensando. Il suo partito potrebbe affrontare agevolmente anche la riforma della giustizia».
Tra tante brutte notizie, si è anche letto di un qualche miglioramento della nostra economia.
«Quando si arriva tanto in basso, appena ci si ferma già si pensa che le cose vanno meglio. In realtà sono quei classici rimbalzi che caratterizzano qualsiasi andamento economi- co. Aggiungo che la crisi ha colpito alcuni settori, meno altri, quelli più tecnologicamente avanzati, quelli a manodopera specializzata, quelli tipici del lusso. Perché ci sia un’autentica ripresa, sarebbe necessario l’intervento dello Stato: spesa selettiva che ridia lavoro e dinamismo anche al mercato interno. Per ora si perde soltanto, anche nel campo delle esporta- zioni. Anche per questo una crisi di governo e la relativa assenza di governo sarebbero esiziali: non dobbiamo mai dimenticare la sofferenza della gente e pure il rischio di forti tensioni sociali, finora in parte almeno ridimensionati dalla cassa integrazione. Ma l’avvenire? Esaurita la funzione degli ammortizzatori, consumati i risparmi?».

L’Unità 20.08.13