attualità, politica italiana

“Semmai Barabba”, di Massimo Adinolfi

Tutto ci si può aspettare in questi giorni delicati, meno un’uscita di Angelino Alfano che dia un sostegno smaccato ai giudici della Cassazione che hanno condannato in via definitiva Silvio Berlusconi per frode fiscale. Eppure è accaduto (o quasi). Perché chiamato a riflettere sull’esempio di Cristo, Alfano non si è fatto ripetere due volte l’invito e ha detto: «l’esempio di Cristo non poteva essere più pertinente perché evidenzia l’esigenza di un giusto processo e i limiti di un giudizio popolare». Ora, vi ricordate come andò quella volta? Pilato invita la folla a scegliere fra Gesù e Barabba e la scelta cade su
Barabba: il furfante è salvo e l’innocente in croce. Di qui l’acuta osservazione del vicepremier: la giustizia dell’epoca funzionava veramente male, e una bella riforma avrebbe evitato un esito così scandaloso. Orbene, veniamo al secondo processo più famoso della storia dopo quello di duemila anni fa: Berlusconi vi è stato condannato non dal giudizio popolare, ma dai giudici della Cassazione! Non solo, ma la condanna è giunta dopo tre gradi di giudizio, con l’avvocato Ghedini sempre al fianco, e dopo dibattimenti decisamente più articolati del pronunciamento popolare di una folla urlante, chiamata a profittare di una usanza graziosa del prefetto romano nella Giudea, quella di lasciar libero un prigioniero per i giorni di Pasqua. C’è di più. Quando il centrodestra insorge contro una sentenza di un tribunale che condanna un leader ancora acclamato da milioni di persone mostra, con ogni evidenza, che se Berlusconi fosse stato esposto alla folla l’avrebbe fatta franca. Delle due l’una, allora: o Alfano aveva intenzione di esaltare diritti e garanzie della civiltà giuridica moderna, quelle che mancarono nel processo a Gesù e non sono invece mancati nel processo a Berlusconi, oppure intendeva paragonare la condizione di Berlusconi a quella di Barabba, non a quella del Messia. Proprio come per Barabba, infatti anche per il Cavaliere il giudizio popolare avrebbe significato l’assoluzione.
Solo che ora bisognerebbe trovare un Ponzio Pilato qualunque che, in barba a principi non di giustizia ma di diritto, di civiltà giuridica, si affacci da qualche balcone e chieda non ai giudici togati ma alla folla di pronunciarsi per acclamazione. Ce ne sono, in giro?

L’Unità 23.08.13