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"Noi docenti, in prima linea per difendere la scuola", di Marco Rossi Doria

Ritorno al passato “Abbiamo meno ore, creiamo classi con 40 alunni come negli Anni Settanta”. Chi fa scuola ogni giorno può anche protestare ma poi si rimbocca le maniche.
Cagliari
«Anche se senti falsi o lontani i comunicati del Ministero, quello che conta all’avvio di anno è rispondere agli alunni, è la relazione educativa, il legame con chi impara, l’artigianato della didattica riscoperto con i tuoi colleghi. Non è rassegnazione, siamo indignati. Ma sentiamo la responsabilità civile. E anche un’altra cosa: l’attaccamento al lavoro, la non rinuncia». Insegnante di ruolo da 29 anni, esperta di didattiche attive del movimento di cooperazione educativo, Luisanna è maestra in una scuola del centro di Cagliari con 900 alunni. «Stiamo riprovando di fare le classi aperte, come negli Anni Settanta, mettendo insieme 40 bambini per poi fare gruppi, ricomporli, riorganizzarsi per difendere la scuola attiva, quella che non incolla nei banchi ma crea azione, entusiasmo, possibilità, favorendo le compresenze rese difficili dal taglio delle ore. Non possiamo rinunciare al nostro saper fare scuola, alle esperienze, ai risultati di tanti anni. Sarebbe un rinnegare se stessi, una dignità».

Napoli
Il senso di queste parole lo conferma Paola Carretta. Ha insegnato lettere nella difficilissima periferia orientale di Napoli. Poi è stata dirigente nelle scuole difficili del centro storico e poi a Piscinola, Pianura, Soccavo. La scuola Pirandello a ordinamento musicale – che ha appena lasciato per andare in pensione – ha 700 alunni.
«È da anni che abbiamo imparato a fare le nozze coi fichi secchi, senza che il dibattito pubblico del Paese se ne occupasse. Qui, nella scuola di base, dove si crea cittadinanza, il progetto su cittadinanza e Costituzione, che ha visto una partecipazione entusiasta dei ragazzi deve cercare oggi i soldi nel pacchetto sulla sicurezza. Scoviamo fondi sempre più scarni ovunque, con difficili negoziazioni. Perché è da tempo che i soldi a sostegno dell’autonomia delle scuole – legge 440 del 1997 – sono una chimera. Qui, fino al 2013, c’è ancora qualcosa dal Fondo sociale europeo per l’obiettivo dedicato al Mezzogiorno. Ma poi? Si fa fatica a fare bene la musica, gli strumenti non possiamo comprarli più per i ragazzini meno fortunati; è faticoso tenere in piedi il progetto sportivo fondato sul canottaggio; bisogna letteralmente inventarsi come curare le competenze cruciali in Italiano, matematica, lingue straniere, quelle misurate dall’Ocse. Eppure a continuare a fare queste cose ci si riesce. Ma solo grazie all’abnegazione dei docenti, alla dedizione. Ce ne sono anche di meno bravi. Ma sono un’esigua minoranza. La scuola tiene grazie a questo attaccamento».

Roma
Paolo Mazzoli, fisico, ha insegnato per 15 anni nella scuola primaria dedicandosi alla sperimentazione della didattica in scienze con i più piccoli. Poi è diventato dirigente e oggi guida la scuola Angelo Mauri di Roma. Gli chiedo nel merito della finanziaria, legge 111 del 2011.
«La finanziaria ha l’articolo 19 dedicato alla scuola. Il comma 4 riunisce in istituti comprensivi, con minimo mille alunni, le scuole primarie e medie. Oggi sono in atto ricorsi da almeno 3 regioni. Ma ok: diciamo che, grazie all’abnegazione di chi fa scuola, può essere anche un’occasione. Per costruire una scuola di base, come in Danimarca, fondata sulla continuità dai 3 ai 14 anni. Ma questo si fa solo se ci sono dirigenti per tutte le scuole, cosa che non è. E poi il comma 6 vieta che ci siano docenti esonerati sotto le 55 classi. Ma come si fa a governare una sfida didattica e un’organizzazione complessa senza un team di coordinamento? Mi verrebbe di proporre di cassare il comma o di annullare qualche migliaio di esoneri e darli alle scuole autonome, una misura a costo zero. Intanto i docenti tengono, sì. Ma c’è bisogno di formazione. I bambini e il mondo sono cambiati e pure le discipline. Perché non estendiamo alle scuole medie e superiori le 2 ore pagate per progettare e riflettere insieme, che è la base di ogni formazione: da 20 a 22 ore; e alla scuola d’infanzia 23 ore di lezione +2 di progettazione comune. Ma a patto che ci siano spazi contrattuali e soldi anche per guidarla e poi sul sapere e su come si trasmette ci vuole una formazione che alzi l’asticella per tutti».

La Stampa 19.0911