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«Ma la svolta può partire solo dall’Europa», intervista a Lucrezia Reichlin di Bianca Di Giovanni

L’economista italiana della London School: «Per uscire dalla crisi le soluzioni tecniche non bastano, serve un progetto ambizioso». Con la crisi la storia europea sembra arrivata ad
una svolta senza ritorno. Il vecchio continente arranca dietro i mercati in subbuglio. Come se ne esce? «Ci vogliono soluzioni che riassicurino i nostri creditori sulla capacità dei paesi europei a rischio a pagare e queste soluzioni implicano misure nazionali ma anche il rafforzamento delle istituzioni europee per il management della crisi. Non solo soluzioni tecniche, abbiamo bisogno anche di ricreare consenso attorno ad un progetto europeo che implichi più crescita e più giustizia. Abbiamo bisogno di una sorta di piano Marshall, un progetto ambizioso che coinvolga anche i cittadini». La pensa così Lucrezia Reichlin, docente di economia alla London Business School. Reichlin segue da oltre manica le sorti (pesantissime) del nostro Paese sui mercati, tocca con mano le distanze (siderali) tra i giovani e le donne italiane e quelli degli altri Paesi. C’è molto da fare: servono riforme subito, soprattutto per i più giovani (nuovo welfare) e per le donne che continuano ad avere «modelli sbagliati », spiega Reichlin. La politica oggi non può sbagliare. Da noi c’è la fine del berlusconismo. Ma in Europa si potrebbe parlare di fine del sarkosismo, o fine della Bce. Si è sbagliato tutto?
«Credo che il progetto non sia sbagliato, anzi, bisogna andare avanti con più Europa. Siamo a un punto di svolta perché delle carenze del governo dell’economia europea sono venute al pettine con la crisi del debito. Quella fondamentale è avere una banca centrale unica, che non ha il pieno potere di essere prestatore di ultimam istanza, cioè l’istituzione che garantisce la stabilità finanziaria in periodi
di emergenza. La ragione di questo limite è il fatto che le politiche fiscale rimangono nazionali, mentre la politica monetaria è unica. La direzione da intraprendere, quindi è la maggiore integrazione delle politiche fiscali. Serviranno soluzioni più robuste di quelle finora prospettate da Merkel e Sarkozy, di cui oggi vediamo tutti i limiti. Ogni decisione presa finora è stata superata dagli avvenimenti in poco tempo. Capisco i timori della Germania, ma allo stesso tempo mi sembra che i suoi leaders siano confusi. Certo, la risposta ottimale non può arrivare subito, ma dobbiamo almeno definire chiaramente dove dobbiamo andare».
E l’Italia è il Paese che cresce meno.
«Certo, perché anche dopo l’ingresso nell’euro è rimasta con una produttività bassa e una manodopera a scarso livello di educazione: non ha saputo fare un salto. L’Italia rimane un Paese molto sui generis dal punto di vista della criminalità e delle regole. È difficile stare in Europa in queste condizioni».
L’Italia ha sempre avuto alto debito. Senza la crisi sarebbe arrivata lo stesso a un punto di non ritorno?
«Il problema è il rapporto tra numeratore e denominatore. Si può avere anche un debito molto alto. La Gran Bretagna ad esempio è uscita dalla seconda guerra mondiale con un debito di oltre il 200% e ci ha messo 30 anni a contenerlo, però questo è stato possibile perché quello è stato anche un periodo di crescita. In Italia oggi i numeri non rendono più credibile la stabilità. Con la grande crisi il Pil è sceso e il deficit è salito perché ci sono meno entrate».
In Grecia e in Italia si punta sui tecnici: è un fallimento della politica?
«Sicuramente c’è una grande crisi politica, e me ne dispiace. Faccio a Monti i miei migliori auguri,ma nel medio periodo la politica dovrà tornare a governare. Non questa politica però».
Se lunedì la situazione resta confusa, come reagirebbero i mercati?
«Se la politica italiana non ha ancora capito che il governo si deve fare oggi, e che chiunque abbia esitazioni in questo momento condanna l’Italia a decenni di povertà, allora l’attacco speculativo sarà molto pesante Ci sarà il contagio verso la Francia, il che comporterà la fine dell’euro. Il mercanteggiamento di queste giornate dimostra esattamente
la mancanza di responsabilità e il cinismo di gran parte della classe politica che ha dominato questi ultimi 15 anni».
C’è una responsabilità delle opposizioni, così litigiose?
«Credo che oggi le opposizioni abbiano dimostrato molta maturità e responsabilità: stanno accettando di sostenere un governo che dovrà decidere cose molto complicate. Lo
fa nell’interesse di tutti, perché bisogna comprendere che siamo tutti sulla stessa barca».

L’Unità 12.11.11