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"Il giorno più lungo di Termini Imerese. L'ultimo targato FIAT", di Manuela Modica

L’ultima sveglia, da oggi non servirà più. Perché ieri si sono alzati per andare a svolgere un lavoro che si sa terminato. Perché dopo 40anni, dopo gli ultimi 9 di lotta, dopoquel 2008 in cui si faceva addirittura formazione. Perché è finita. Perché è finita ma non così: «Presidieremo l’entrata e impediremo l’uscita di altre macchine, fino a mercoledì. Non ce ne andremo finché non raggiungeremo un accordo che garantisca tutti», spiega Maurizio Landini, segretario della Fiom. Alla Fiat di Termini Imerese è arrivato il giorno più lungo: l’ultimo. Vincenzo La Barbera ogni mattina degli ultimi 23 anni s’è svegliato per andare a montare ammortizzatori, mozzi ai motori delle macchine fiat. Ieri è entrato in fabbrica per fare la stessa identica cosa «ma con il cuore a pezzi», sapendo di tornare a casa dalla moglie e i 4 figli (dai 10 ai 23 anni) senza riuscire più a scorgere il domani. Non lo sa neanche Giovanni Giudice che di figli ne ha 2 e un mutuo di 700 euro sulle spalle. A non saperlo, a non avere orizzonte sono in 2200, tra Fiat e indotto. Graziano Paolino alla Fiat ci lavora da 34 anni, fa discorsi lucidi, formali, inizia così: «L’unica risorsa importante in questo territorio». Ma appena gli si chiede dei figli spinge lo sguardo di traverso, trattiene il silenzio in gola. Così si assiste a una lotta lunga, raccontata dalle venature rosse degli occhi per non mostrare tutto. E vince: «Mia figlia ha 26 anni, mio figlio 24. Sono disoccupati ». Erano lì, ieri, incastrati dalla fine di un turno e l’inizio di un altro, riuniti davanti l’entrata della fabbrica siciliana degli Agnelli. Quando si entra nella mischiauna donna impazzisce davanti alle telecamere, sputa fuoco contro i giornalisti, contro tutti: «Perché non gliene importa niente a nessuno». Avvicinarla sembra pericoloso, e lo è: «Se ne vada, nonmi fido dimio marito si figuri di lei: poi dite solo quello che pare a voi». Ma si ha pazienza a sufficienza per aspettare che la rabbia cessi di trasfigurare la persona. Giusi Bastillo si chiama la signora bionda che s’è vista gridare in tv, ora a fuoco rallentato prova a spiegare calma, a contenere. E contiene tanto che mentre parla trema, stringe i pugni: «Io sono nonna, quando torno a casa trovo mia figlia separata e con la bambina di 6 anni, poi ho un altro figlio di 28. Abbiamo tutto sulle spalle io e mio marito e ora come facciamo?». Si scioglie in lacrime: «Sono 28 anni che lavoro qua, cosa faccio adesso? Lo sfogo di prima è disperazione perché avevamo aspettato di sapere che fine avremmo fatto noi dell’indotto (lavora per la Ssa, società che ha gestito fino a ieri il subappalto dei servizi di pulizia), ora che è finita la riunione a Palermo, ci hanno dato la sentenza: non avremo niente di niente». E risale le ottave, trascinata dalla cecità, perché l’orizzonte è perso E sono tanti, troppi, a raccontare la loro storia e piangere alle domande. Nonl’avranno, forse, è così. Perché le società in origine appaltatrici li hanno liquidati già e ricontrattualizzati solo da un anno, per questo nessuna garanzia. Per questo le grida, per questo è dura contenere le miccia di rissa che qui e lì sembrano esplodere. Perché gli ultimi 40anni sono morti ieri. Da quel 1970 in cui la Regione siciliana spinta dall’allora presidente degli industriali Mimì La Cavera, volle accontentare l’allora presidente fiat Vittorio Valletta che «venne in Sicilia – racconta Alberto Tulumello, Professore associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Palermo – dove a Carini si produceva la jeep della Willis, poi acquistata da Chrysler. Valletta venne a dirci: perché fare macchine americane? E fu accontentato. Con queste premesse nacque la Fiat di Termini Imerese, che oggi chiude, e questo è il paradosso, e farà la jeep a Torino». Ma i paradossi si snocciolano in questa giornata di battenti da chiudere: «Nel 2008 a luglio, la Fiat ha fatto fare a tutti i suoi dipendenti un corso di formazione di 3settimane, con la prospettiva persino di 250 assunzioni per produrre la nuova lancia Y», ricorda il Landini siciliano, Roberto Mastrosimone. Ma c’è anche lui, Maurizio Landini a declinare paradossi: «L’azienda non vuole garantire quegli incentivi che pure ha sottoscritto, che sono stati garantiti altrove, ma qui no e non vuol sentirne. Perché proprio qui? Maio non ho una risposta a questo. In linea con quanto sta facendo la Fiat, disdetta di contratto nazionale, modello gestione di fabbrica in cui non c’è più da contrattare niente con nessuno. E il governo ha accompagnato questo procedere». Ma arrivano parole nuove dal ministro del Welfare, Elsa Fornero. «La chiusura dell’impianto siciliano è figlia dell’assurda politica industriale decisa da Marchionne – prosegue Landini – a scapito della Sicilia e dell’Italia, avallata dal governo Berlusconi che, al contrario degli altri governi europei, non ha saputo far valere il proprio peso. La Fiat, infatti, è stata l’unica casa automobilistica a chiudere uno stabilimento nel proprio Paese».

L’Unità 25.11.11

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L´ultimo giorno di Termini ai cancelli operai disperati “Hanno ucciso il futuro”, di Emanuele Lauria

Un presidio blocca l´uscita delle auto 800 Lancia Ypsilon prodotte negli ultimi giorni
Politici, all´ultima manifestazione davanti l´ingresso dello stabilimento, non se ne sono visti

termini imerese – È arrivato anche un parroco a celebrare il funerale di quella che un tempo, quando c´era anche la Regione a pompare soldi pubblici, si chiamava Sicilfiat. Don Ciccio Anfuso si è fatto largo fra le tute blu riunite in assemblea, è salito sul palco di fortuna trainato da un´auto Nissan – l´ultimo sfregio dei dipendenti – e ha pronunciato il suo requiem guardando il colle che degrada sullo stabilimento: «Quando Agnelli si affacciava da lì, dalla Tunnaredda, rimaneva incantato da questa terra bellissima. Sfruttata per 41 anni e adesso abbandonata dalla Fiat». Dice «buon lavoro», il sacerdote, ai lavoratori rimasti senza impiego, nell´ultimo giorno di attività della fabbrica. Un incoraggiamento che cade nel vuoto, che si spegne in una rassegnazione più forte della rabbia in questa mattinata di umori tristi come il cielo sopra Termini. È Roberto Mastrosimone, delegato della Fiom e uno dei volti più noti della battaglia (perduta) per non far chiudere la Fiat a Termini, ad annunciare la linea della resistenza a oltranza. La strategia è quella del picchettaggio: da ieri sera un presidio di operai blocca l´uscita delle ultime 800 Lancia Ypsilon prodotte nella fabbrica. «Non ci muoveremo finché non sarà firmato un accordo con Dr Motor che garantisca tutti i lavoratori», dice Mastrosimone. Dando corpo alle incertezze che i leader nazionali di Fiom, Fim e Uilm non nascondono, arringando la folla: l´ultimo vertice di mercoledì al ministero ha prodotto un nulla di fatto che tiene in bilico il futuro di oltre duemila dipendenti (indotto compreso). Dr Motor è pronta a reimpiegarne 1.312. Altri settecento, i più anziani, dovrebbe essere accompagnati alla pensione con incentivi che costerebbero 17 milioni. Ma il Lingotto non ha intenzione di accollarsi questa spesa, se non in parte. E senza un´intesa sugli incentivi, spiega dal palco Bruno Vitali della Fim, «salta tutto l´accordo». E allora giù contro «l´arroganza di Fiat, che non vuole applicare per Termini – afferma il leader della Fiom Maurizio Landini – le tabelle utilizzate per Pomigliano e Cassino». Via con le accuse di discrimazione: «In Sicilia siamo figli di nessuno», afferma il sindaco Salvatore Buffafato che giudica la via di un boicottaggio dei prodotti Fiat come «una libera risposta alle provocazioni subite».
Ma politici, nell´ultima manifestazione davanti ai cancelli Fiat, non se ne vedono. Eppure vengono evocati come principale bersaglio dalle tute blu: Filippo Battaglia, 35 anni di servizio alle spalle, se la prende senza distinzione con l´ex ministro Scajola, con Berlusconi, Fini e Di Pietro, per concludere «con i 60 parlamentari siciliani che abbiamo mandato a Roma e non hanno fatto nulla per evitare questo disastro». Poco distante Calogero Volante, 64 anni di cui trenta trascorsi in catena di montaggio, ha gli occhi lucidi: «Volevamo lasciare un segno del nostro lavoro, qui invece presto sparirà tutto». La preoccupazione è della generazione di mezzo. Vincenzo Pasquale, 48 anni, due figli e una moglie insegnante precaria «vittima della Gelmini», dice di essere «troppo giovane per la pensione e troppo vecchio per affacciarsi con successo al mercato del lavoro. Ma i dubbi sul futuro – afferma – sono leciti: Dr attualmente produce poco più di tremila auto l´anno, quanto noi produciamo in una settimana». Ma sono i giovani operai i più spaesati. Francesco ha 27 anni, era entrato in Fiat da poco come «carrellista»: «Finalmente un posto fisso dopo occupazioni saltuarie da barista. Ora tutto mi crolla addosso. E oggi, a differenza di 30 anni fa, la crisi elimina pure la via d´uscita dell´emigrazione».
Si affacciano sul palco i rappresentanti di un indotto che conta quattrocento operai, ai quali non basta l´impegno dei vertici Dr di prorogare i contratti di fornitura in essere con la Fiat. «Hanno ucciso la speranza», grida Marco Costantino, uno dei 50 addetti della società di pulizie che da gennaio non avranno neppure la cassa integrazione. Voci da un pezzo di Sicilia che – prima del commiato di Fiat – ha visto declinare la produzione di yacht, la lavorazione degli agrumi, persino gli studios televisivi di “Agrodolce”. Svanito il sogno dell´industrializzazione, è difficile anche il ritorno fra i campi: lontani i tempi in cui gli operai Fiat svolgevano il doppio lavoro e venivano chiamati «metalmezzadri»: «Il territorio è stato devastato dal cemento e oggi la fanno da padroni gli extracomunitari che raccolgono le arance per 20 euro a giornata», dice Francesco Conte, operaio della Lear, azienda che produce sedili: «Mi auguro che Marchionne – conclude – provi il dolore nel cuore che stiamo vivendo in questo momento».

La Repubblica 25.11.11