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"Il divorzio più lungo del mondo", di Maria Novella De Luca

«Siamo stati insieme vent’anni, abbiamo avuto due figli, meravigliosi. Poi, un giorno, era l’estate del 2000, Marco mi ha detto che era finita, nella sua vita c’era un’altra donna, una nuova passione. In fondo me l’aspettavo, se un amore si esaurisce lo si capisce in due, ma i bambini erano ancora piccoli, credevo fosse giusto restare insieme per loro. Ci abbiamo messo 8 anni a dividere le nostre vite, abbiamo sofferto, litigato, ma sono stati i tempi della legge e del tribunale di Napoli a far diventare il nostro divorzio un calvario». Storia di Sara, di Marco e di tutti gli altri. Storie di un’Italia dove per divorziare ci vogliono 4 anni se tutto va bene, e chissà quanto se le cose si mettono male. Avvocati, giudici, due sentenze e migliaia di euro. «Perché la legge prima di tutto ti impone tre anni di attesa — aggiunge Marco, oggi risposato e di nuovo padre — come se la fine di un amore, che si spegne anno dopo anno, fosse qualcosa che si può recuperare

Divorzio breve, si ricomincia. Da oggi si torna in aula. Ma nulla è scontato, dopo il fallimento della votazione di tre settimane fa, naufragata sotto l’assalto di una nuova formazione trasversale di “paladini del matrimonio”, che vedono nell’accorciamento delle cause di separazione, una minaccia all’istituto della famiglia. (Il nuovo testo prevede infatti che gli anni di separazione passino da tre ad uno se nella coppia non ci sono figli, e da tre a due in presenza figli minori, con la divisione immediata dei beni comuni). Eppure 40 anni di statistiche, dal 1970 ad oggi, hanno dimostrato che le ricomposizioni tra “ex” sono davvero rare. E oggi ogni mille abitanti si contano 297 separazioni e 181 divorzi, mentre i matrimoni in media non durano più di 15 anni, e tra le coppie più giovani spesso la coppia si rompe alla crisi del settimo anno. Tanto che l’Istat da tempo ha creato una banca dati sulla “instabilità coniugale” degli italiani. I quali ormai fuggono all’estero, in Romania soprattutto, 6 mesi e il divorzio è fatto e trascritto in Italia, racconta l’avvocato Luca Ruggeri, studio a Frascati specializzato nel nuovo business del divorzio comunitario. «Per l’intera procedura, assistenza in Italia e all’estero, chiediamo 2800 euro, viaggi esclusi. Le richieste aumentano di giorno in giorno, ma noi come studio accettiamo soltanto coppie senza figli, perché in presenza di minori le cose diventano più complicate». «Coppie che ci hanno ripensato? In oltre sessant’anni ne ricordo soltanto una, forse due, e di divorzi ne ho seguiti a migliaia. Quando si arriva alla separazione, quando si bussa alla porta dell’avvocato, non si torna più indietro. E quei tre anni di attesa, quell’assurda pausa di meditazione in attesa del divorzio, non è mai servita a nessuno. È soltanto una cappa di piombo che provoca danni a tutti». Le parole di Cesare Rimini, il più famoso degli avvocati matrimonialisti italiani, ma anche scrittore e narratore, non lasciano spazio a dubbi: l’attuale legge sul divorzio è pessima, non funziona, è punitiva e di certo non serve a rincollare i pezzi, anzi i cocci, di un amore. Ma attenzione, mette in guardia Rimini, con il disincanto di chi teme anche questa volta il naufragio della discussione sui veti del voto cattolico. Il nuovo testo che l’aula dovrebbe votare «non è granché», visto che prevede, se ci sono figli minori, due anni di separazione prima di poter chiedere il divorzio. «Credete forse che i bambini quando i genitori si dividono calcolino i mesi che passano tra una sentenza e l’altra? Per loro l’unica cosa che conta è la serenità. E prima le situazioni si definiscono meglio è. Bisognerebbe eliminare i due gradi di giudizio, arrivare al divorzio immediato. O almeno che ci sia soltanto un anno di separazione per tutti, figli o non figli». Invece il mondo di chi si lascia è un mondo di attese. Migliaia di giorni che si trasformano in an- ni. E se il divorzio non è consensuale, il terreno di scontro può diventare infinito, una guerra dei trent’anni in cui ognuno resta prigioniero dell’altro, i figli si trasformano in “migranti” dell’affido congiunto, e tutti comunque si ritrovano più poveri. Alla Lid, Lega italiana per il divorzio breve, associazione radicale che prende il nome dalla famosa Lega fondata da Marco Pannella negli anni Settanta, ogni giorno arrivano decine di storie. «Molte raccontano una vita sospesa — spiega Diego Sabatinelli, segretario della Lid — e c’è una grande attesa per la riforma della legge. Anche se il vero cambiamento, così da sempre chiedono i radicali, sarebbe arrivare al divorzio immediato e in un unico giudizio». Vite sul filo. Come quella di Simona che ha 35 anni, vorrebbe un figlio, ma il suo compagno Daniele, che di anni ne ha 50, si è separato da poco, e l’attesa perché lui sia “libero all’anagrafe”, come dice Simona, “sembra infinita”. «Daniele non tornerà mai con sua moglie, se tutto va bene riusciremo a sposarci soltanto nel 2016, ma fino al divorzio il suo patrimonio non potrà essere svincolato da quello della moglie, lui è un impiegato, io ho un lavoro precario, così per noi è quasi impossibile fare un progetto, pensare di comprare una casa. Certo non aspetteremo la sentenza per avere il nostro bambino, ma questo accanimento contro chi vuole divorziare mi sembra davvero ingiusto». Invece la Camera, dove oggi il nuovo testo verrà votato, potrebbe decidere che la legge va bene così, che il divorzio deve restare “lungo” e fermo alla riforma del 1987, quando i tempi della separazione passarono da 5 a 3 anni. Allargando sempre più la distanza tra la politica e le persone, visto che secondo un sondaggio Eurispes di pochi giorni fa, l’82% degli italiani è favorevole, anzi auspica, un accorciamento dei tempi del divorzio. Martina Pesce ha soltanto 30 anni e si definisce oggi “ragazza madre” di Alessia, ragazzina sveglia con gli occhi neri. «Aveva il doppio della mia età, e l’ho amato con tutta l’irragionevolezza dei diciott’anni. Quando l’ho lasciato mi ha imposto una separazione giudiziale tremenda, tanto che per chiudere non ho preteso nulla, ho perso anche la casa che mi avevano lasciato i miei genitori… Ma Alessia non è riuscito a portarmela via». E parla di avvocati squali, di tribunali inaffidabili e di periti incompetenti Gaetano, ex dirigente d’azienda, oggi retrocesso a quadro dopo un lungo periodo di mobilità, nel pieno di una separazione burrascosa, e che soltanto pochi mesi fa, dopo 4 anni, è riuscito e rivedere i propri figli. Una storia dove la perdita degli affetti si somma oggi alla povertà, come per molti padri separati. «In questa battaglia, dal 2008 ad oggi, ho perso tutto, beni, proprietà, per anni non ho potuto fare il padre, e ogni mese per vivere mi restano in tasca non più di 300 euro. Ma al di là delle guerre personali, chi divorzia si ritrova intrappolato in un sistema di attese e di rinvii, e così la vita va in pezzi».

Repubblica 19.6.12

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“Se l’amore finito ha bisogno di tempi brevi”,di Michela Marzano

“E vissero per sempre felici e contenti!”. Nelle fiabe, dopo mille peripezie, tutto finisce bene. “Lui” e “lei” si incontrano, si sposano, hanno tanti bambini e si vogliono bene per sempre. Nelle fiabe appunto. Dove l’amore è perfetto perché “lui” o “lei” sono capaci di darci tutto quello che vogliamo, corrispondono alle nostre aspettative, non ci deludono, non ci tradiscono, non cambiano… Peccato che nella vita le cose siano molto più complicate. E che quel “per sempre” si scontri spesso contro il muro della realtà. Una realtà fatta di incomprensioni e di tradimenti. Di cambiamenti e di sconfitte. Perché “lui” non è capace di ascoltarci e di capirci, torna a casa sempre più tardi, è nervoso e sfuggente. Perché “lei” assomiglia sempre di più a sua madre, non ha nessuna fiducia in se stessa, si occupa solo dei bambini… E allora, dopo un po’, ognuno vive separatamente. Oppure si litiga per qualunque cosa e la vita comunediventa un inferno.
Non perché uno dei due sia “colpevole”. Non perché si prenda il matrimonio alla leggera. Non perché nel mondo contemporaneo non esistano più valori. Solo e banalmente perché la vita è così. È complicata e difficile. E poi si cambia. Ognuno di noi cresce, matura, si trasforma. E talvolta non ce la fa proprio più a continuare a vivere con la stessa persona. Anche se quando ci si era sposati si era sinceri. Anche se la volontà di costruire una famiglia insieme c’era tutta. Allora perché non separarsi e non divorziare? Perché trascinarsi e rovinare tutto, anche i ricordi più belli della vita in comune?
Dopo l’introduzione nel 1970 del divorzio nell’ordinamento giuridico italiano e il referendum del 1974, anche in Italia è possibile sciogliere giuridicamente il vincolo matrimoniale. Oggi, con la proposta di un “divorzio breve” si tratta solo di rendere le procedure più flessibili e meno complicate. Un passo ulteriore, ma necessario, per tutti coloro che si trovano ad affrontare questo momento di lacerazione, come accade già nella maggior parte dei paesi europei. Perché nonostante tutto, non si divorzia mai a cuor leggero. Esattamente come non ci si separa facilmente. Che si tratti di una separazione o di un divorzio, è sempre un momento di rottura. E non è certo la presenza o l’assenza di ostacoli giuridici che determinano o meno la fine di una storia d’amore. Talvolta l’amore è finito da tempo, e il divorzio è solo un atto formale. Talvolta anche dopo il divorzio, alcune persone non riescono a fare il lutto della perdita dell’altro e continuano a non separarsene psicologicamente.
Divorziare significa prendere atto che la vita in comune non è più possibile. Significa “perdere” una persona che si è amata, e che forse si ama ancora. Significa lasciarsi alle spalle quel progetto di vita in cui si era creduto e per il quale ci era sicuramente battuti a lungo. E quindi anche “perdonarsi” e “perdonare” per quella storia ormai finita, che niente e nessuno può far continuare. Anche quando sarebbe meglio, spesso per motivi materiali, restare insieme. Oppure anche per i figli, come si sente dire ancora oggi. Come se per i figli fosse meglio assistere alle scenate tra i genitori, oppure all’indifferenza reciproca che talvolta si installa in una coppia e che spegne, poco a poco, ogni passione.
Separazione e divorzio fanno parte della vita. È così. Perché accade che le cose finiscano. E non sono certo le regole che impongono anni di separazione prima di chiedere un divorzio che possono funzionare come un deterrente. Al contrario. Aspettare anni prima di poter presentare una richiesta di divorzio rischia di rendere i rapporti tra i due coniugi ancora più tesi, e di inasprirne talmente le polemiche che, prima o poi, uno dei due rischia di crollare. Certo, non tratta di introdurre una procedura lampo, come nel 1792 in Francia, quando bastava che il marito andasse in comune e chiedesse il divorzio per ottenerlo. Si tratta solo di permettere a due persone che non vogliono (o non possono) più restare insieme di mettere fine al proprio matrimonio in tempi ragionevoli. Senza per questo immaginare che il divorzio sia semplice. Non lo è mai, anche quando è “breve”. Anche se permette di prendere atto da un punto di vista giuridico della fine di una storia, prima di cominciarne una nuova. Perché l’amore, anche se tra due persone non c’è più, dura per sempre. E anche se, a differenza delle fiabe, non è perfetto, è pur sempre il motore della vita. Anche quando cambia forma. Anche quando si rivolge ad un’altra persona.

Repubblica 19.06.12