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"Pensioni, enormi risparmi. Ecco perché si possono eliminare certe ingiustizie" di Cesare Damiano

Sul tema dello stato sociale si gioca l’identità dei partiti progressisti europei. Le ricorrenti dichiarazioni di Mario Draghi a proposito della presunta fine del welfare del vecchio continente ci costringono a misurarci con una dura realtà ma, al tempo stesso, ci spingono a non arrenderci di fronte all’esigenza di tutelare la parte più debole della popolazione, soprattutto nell’attuale situazione di crisi. Lo stato sociale europeo, nella sua ispirazione di fondo, non può essere semplicemente cancellato. Il problema è quello di una sua revisione e di una capacità di innovazione che sappia far recuperare alla politica una visione strategica e un progetto di futuro. Per il Partito democratico si tratta di un elemento essenziale di identità politica e culturale, in molti casi percepita dai lavoratori e dai pensionati eccessivamente incerta. Nel dibattito politico più recente comincia finalmente a farsi strada una esplicita critica al liberismo economico e si comincia a mettere in discussione l’eccesso di rigorismo di cui, in Europa, è interprete Angela Merkel insieme alla Banca centrale europea e, a livello globale, il Fondo monetario internazionale. Ormai tutti si accorgono che di
rigore si può morire e che se ad esso non si accompagna una scelta
di sviluppo e di equità sociale, si favorirà la tendenza recessiva in atto con conseguenze sociali devastanti. Condurre una politica che ci faccia ritrarre dall’orlo del baratro non significa soltanto sfuggire alla morsa speculativa dei mercati finanziari, ma anche impedire che il prezzo del risanamento venga esclusivamente pagato dalle imprese, dai lavoratori e dai pensionati. Prestare eccessivo orecchio alle richieste della finanza, che prima chiede il rigore e poi la crescita, è come inseguire l’albero di Bertoldo, dimenticando i problemi dell’economia reale e le sofferenze dei corpi sociali più deboli. Si commette un errore se si pensa che gli interessi dei mercati e del sistema finanziario siano gli stessi delle imprese:
quando le banche acquistano denaro dalla Bce all’1%, comprano titoli di Stato che rendono 5 volte tanto e oppongono una dura resistenza a erogare prestiti alle piccole imprese e alle famiglie, non fanno il loro mestiere e non aiutano la crescita del Paese nel momento della crisi. Non a caso, come Pd, noi chiediamo al governo di invertire rapidamente la rotta e di dare segnali di investimento di risorse per lo sviluppo del Paese e per la diminuzione della pressione fiscale su imprese e lavoro. A questo fine si potrebbe decidere una oculata vendita di una parte del patrimonio pubblico e di utilizzare quanto si ricava dalla lotta
all’evasione fiscale. Non tutto può andare esclusivamente a riduzione del debito.
Per quanto riguarda l’azione riformatrice svolta fin qui dal governo, vorremmo ancora una volta sottolineare quello che a nostro avviso appare con sempre maggiore evidenza come un limite di impostazione delle riforme stesse: l’assenza di gradualità nell’innalzamento dell’età pensionabile a cui si accompagna, dal 2017, una diminuzione della durata delle tutele in caso di disoccupazione. Questa impostazione, che sul sistema pensionistico ha sicuramente prodotto enormi risparmi che sono stati utilizzati per ripianare il debito, costringerà l’attuale governo e quelli successivi a interventi di correzione. Si veda il caso dei cosiddetti “esodati”, termine con il quale, occorre ricordarlo, si debbono ricomprendere platee di lavoratori ben più vaste e composite: lavoratori con accordi di mobilità; lavoratori che si sono licenziati individualmente, soprattutto nelle piccole imprese; esodati delle Poste, dell’Eni edi Telecom; lavoratori della scuola e lavoratori che, a causa dell’aggancio del momento di andare in pensione alla cosiddetta aspettativa di vita, saranno costretti ad aspettare per anni l’assegno pensionistico per una beffarda differenza di maturazione del diritto di pochi giorni o settimane. Sarebbe stato meglio agire con maggiore gradualità, oppure, “mettere da parte” una quota dei risparmi conseguiti, anche solo il 10%,per poter correggere le inevitabili distorsioni che la riforma avrebbe prodotto e anche per finanziare ammortizzatori sociali maggiormente inclusivi per le giovani generazioni. Abbiamo voluto fare alcuni conti basandoci sulle stime della Ragioneria generale dello Stato. Se soltanto con l’ultima riforma si risparmieranno ogni anno, dal 2020, 22 miliardi di euro, ciò significa che nel periodo 2020-2050 si produrrà una colossale redistribuzione di risorse da Stato sociale a debito di quasi 650miliardi di euro. Se a questa cifra dovessimosommaregli interventi fatti dai diversi governi dal 2004 al 2011 sul sistema pensionistico andremmoal raddoppio. Naturalmente siamo disponibili a ricrederci se abbiamo commesso alcuni errori di calcolo. Al contrario, resteremmo sempre più convinti che una maggiore gradualità avrebbe consentito di affrontare meglio il problema (perché non far salire progressivamente quota 97, che sarebbe andata in vigore con la vecchia riforma del 2007 dai 1 gennaio 2013, fino a quota 100?).
L’obiettivo si sarebbe comunque raggiunto,masenza provocare vistose
e laceranti contraddizioni sociali. Se i mercati, per appagarsi, hanno bisogno di simboli, noi non crediamo che la politica debba muoversi in quella direzione. Abbiamo combattuto, come Pd, per correggere i contenuti iniziali della riforma delle pensioni e abbiamo ottenuto risultati importanti, anche se non del tutto sufficienti. Continueremo la nostra battaglia per impedire che centinaia di migliaia di lavoratori vivano quotidianamente nell’ansia di dover rimanere per lunghi anni senza stipendio, senza
tutele sociali e senza pensione. Le incongruenze sociali del nuovo sistema devono essere corrette.

L’Unità 21.04.12

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